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venerdì 5 ottobre 2018

Breve analisi sociologica sugli uomini più abbienti e le aziende più ricche del mondo


Da un certo punto di vista può essere rilevante, per le sue implicazioni sociologiche, scoprire chi sono, e soprattutto di che cosa si occupano, gli individui più ricchi del mondo, anche se forse sarebbe più corretto definirli come i più grandi sfruttatori parassitari dell'umanità.

Proprio così: sfruttatori, perché è impossibile arricchirsi in modo smisurato senza approfittarsi del lavoro degli altri; parassitari, perché l'operazione di accumulazione è una chiara forma di parassitaggio sociale perpetrata a danno dei lavoratori e delle fasce più deboli della popolazione.

Un semplice esempio sarà più che sufficiente a far comprendere la gravità della situazione anche agli individui più indottrinati dall'ideologia capitalistica.

Un operaio che guadagna 1.000 euro al mese lavorando 8 ore al giorno, continuerebbe a guadagnare 1.000 euro al mese anche se raddoppiasse il suo ritmo di lavoro, perché così prevede il contratto che ha sottoscritto.

Un capitalista, invece, di norma guadagna molto di più di un suo operaio, pur lavorando anch'esso 8 ore dì (ammesso che si degni di lavorare, perché nel suo caso non sussiste alcun obbligo) e per giunta può darsi che si veda incrementare il suo compenso anche senza aumentare il proprio ritmo di lavoro. Com'è possibile?

Se un capitalista può guadagnare più di un operaio, talvolta anche senza far nulla, è soltanto perché il suo stipendio si compone del frutto delle fatiche di altri esseri umani; ciò significa che i suoi incrementi di ricchezza non dipendono tanto da ciò che egli fa, o non fa, direttamente, ma dal livello di sfruttamento dei suoi dipendenti.

È facile ricavare 20.000 euro al mese se si ha la possibilità di schiavizzare 100 operai: basta sottrarre ad ognuno di essi 200 euro al mese; e se poi ci si volesse procurare un aumento, basterebbe farli lavorare di più, mantenendo le loro paghe invariate.

Un simile meccanismo è posto alla base dei rapporti tra capitalisti e lavoratori: da un lato ci sono dei parassiti che vogliono arricchirsi sulle spalle degli altri; dall'altro ci sono dei lavoratori che, pur di ricevere un salario per vivere, “accettano”, grazie alla pressione di un ricatto economico e all'azione di numerosi condizionamenti mentali, che sia giusto essere derubati di una parte del proprio lavoro.

Con questi presupposti, non c'è da stupirsi se i capitalisti cerchino in ogni modo d'intensificare lo sfruttamento dei lavoratori.

Chiaramente, l'intensità dello sfruttamento dipende dal contesto sociale, ma a mio avviso ogni forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo è da considerarsi intollerabile, semplicemente perché, oltre a rappresentare una palese forma d'ingiustizia, non è affatto necessario che qualcuno si approfitti del lavoro degli altri per produrre i beni ed i servizi di cui l'umanità ha bisogno.

Infatti, si potrebbe mettere insieme il frutto del lavoro per condividerlo equamente con tutti i soggetti che hanno partecipato all'attività, senza che vi siano dei parassiti che ne traggano un maggior vantaggio rispetto ad altri. O ancor meglio, ognuno potrebbe dare un contribuito alla società, in base alle proprie capacità, e ciascuno potrebbe ricevere ciò di cui ha bisogno per soddisfare le sue reali necessità.

L'umanità ha un assoluto bisogno d'individui creativi e intelligenti che siano in grado di organizzare il lavoro nel migliore dei modi possibili, e che siano disposti a spendersi con dedizione per l'interesse generale, ma può fare benissimo a meno dell'azione nociva di soggetti avidi ed egoisti che sfruttano il lavoro degli altri per accumulare quanta più ricchezza gli è possibile.

Oggi, invece, in modo del tutto paradossale, accade che se un povero sottrae una sola volta 100 dollari ad un ricco finisce immediatamente in galera, mentre quando un ricco riesce ad accumulare 100 milioni di dollari rubando ripetutamente 100 dollari a 10.000 lavoratori, mese dopo mese, per anni e anni, costui viene osannato per le sue spiccate abilità imprenditoriali!

Eppure, se sottrarre 100 dollari ad un ricco è un reato, accumulare 100 milioni di dollari, pur con delle azioni definite “legali”, dovrebbe essere considerato un reato ancor più grande, perché se un povero toglie ad un ricco 100 dollari il ricco continua ad esser tale, mentre sottrarre 100 milioni di dollari al resto della società, può significare che migliaia di persone soffriranno la fame.

Questo semplice argomento dimostra che i capitalisti, oltre ad essere degli sfruttatori parassitari, sono anche dei "malfattori", anche se non nel senso usuale del termine.

Gli individui più ricchi del mondo

A giudicare dai patrimoni di alcuni soggetti, è del tutto evidente che i più grandi furfanti dell'umanità non si trovino nelle galere ma ai vertici di qualche multinazionale.

Secondo il Bloomberg Billionaires Index, nel 2017, i 500 uomini più ricchi del pianeta possedevano complessivamente 5.300 miliardi di dollari, con un incremento di ricchezza del 23% rispetto al 2016.

Se invece si prende in considerazione la classifica redatta da Forbes, si scopre che, ad oggi, i 2.208 uomini più ricchi del mondo sommano una ricchezza di 9.100 miliardi di dollari, una cifra in crescita del 18% rispetto al 2017, quando i miliardari erano 2.043.

Statisticamente parlando, 9 miliardari su 10 sono uomini e, in media, ciascuno di essi possiede all'incirca 4,1 miliardi di dollari.

In realtà, l'1% dei più ricchi ha accumulato per sé il 13,2% di tutta la ricchezza dei miliardari. Infatti, le 20 persone più ricche del pianeta sommano un valore di 1.200 miliardi di dollari, corrispondente ad una media di 60 miliardi a testa.

Ciò significa che è sufficiente considerare le ricchezze di qualche decina di persone tra quelle più abbienti al mondo per eguagliare il valore del PIL di una nazione come l'Italia.

Tra di essi, vi è senza dubbio Jeff Bezos, fondatore e Ceo di Amazon, attualmente l'uomo più ricco del mondo, con un patrimonio personale stimato in 112 miliardi di dollari.

A seguire, nella classifica dei più ricchi, troviamo: Bill Gates, fondatore di Microsoft, con una ricchezza di 91 miliardi di dollari; Warren Buffett, un magnate della finanza amministratore delegato nonché presidente della holding Berkshire Hathaway, soprannominato “l'oracolo di Omaha” per la sua sorprendente abilità negli investimenti finanziari, grazie alla quale è riuscito ad accumulare una fortuna di circa 85 miliardi di dollari; l'imprenditore francese Bernard Arnault, proprietario di LVMH, azienda leader a livello mondiale nel settore del lusso, con 72 miliardi di dollari.

Nelle posizioni successive troviamo: Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook (71 miliardi di dollari) e Amancio Ortega, fondatore di Zara (65,8 miliardi di dollari).

In Italia, invece, gli uomini più ricchi sono: mister Nutella, vale a dire Giovanni Ferrero, amministratore delegato dell'omonima industria dolciaria (24,4 miliardi di dollari); Leonardo del Vecchio, fondatore e presidente di Luxottica (22,7 miliardi di dollari).

Seguono: Stefano Pessina vicepresidente e CEO di Walgreens Boots Alliance, un'azienda americana con sede a Deerfield (Illinois) leader mondiale nella distribuzione di prodotti per la salute e il benessere (11,3 miliardi di dollari);

Paolo Rocca, proprietario del gruppo industriale Techint (9,18 miliardi di dollari); Silvio Berlusconi, sul quale stendiamo un velo pietoso (8,49 miliardi di dollari); ed infine lo stilista Giorgio Armani (8,23 miliardi di dollari).

In verità, da un punto di vista sociologico, non è molto importante individuare chi siano gli uomini più ricchi del mondo; ciò che invece è significativo, è evidenziare l'attività che ha consentito a questi omuncoli di accumulare così tanta ricchezza.

Il cammino che un individuo riesce a compiere non è mai un'impresa individuale: in esso si riflette la società in cui, e con cui, quel soggetto ha interagito. Inoltre, le azioni di ogni soggetto influenzano, in qualche misura, la società all'interno della quale hanno potuto verificarsi. Ciò è tanto più vero quanto più gli individui sono influenti.

Jeff Bezos non sarebbe divenuto miliardario fondando un'azienda di commercio elettronico se non fosse vissuto in una società consumistica e globalizzata, in cui una rete di calcolatori connette miliardi d'individui in modo capillare.

La crescita di Amazon, inquadrabile nel recente fenomeno del boom dell’e-commerce, ha comportato, e comporterà, il fallimento e la conseguente chiusura di un gran numero di negozi tradizionali, facendo registrare un certo incremento di lavoro nel settore delle consegne a domicilio, almeno fin quando i campanelli delle abitazioni non saranno suonati da droni automatici, invece che da fattorini umani.

In un certo senso, si può sostenere che sia stato Bill Gates, che in passato fu anch'esso l'uomo più ricco del mondo, ad aver contribuito a creare le condizioni affinché l'e-commerce diventasse un fenomeno di massa.

Infatti, senza un sistema operativo efficiente e semplificato nell'utilizzo, come quello sviluppato nel corso degli anni da Microsoft, è assai improbabile che un così elevato numero d'individui avrebbe potuto utilizzare quotidianamente gli odierni calcolatori.

Che un magnate della finanza figuri in terza posizione nella classifica degli uomini più ricchi, può essere interpretato come un indicatore del fatto che la speculazione finanziaria viaggi a briglia sciolta e che negli ultimi decenni sia avvenuta un'esplosione di quel genere di capitalismo noto come “ capitalismo finanziario”.

Per fare in modo che un'azienda che vende prodotti di lusso, come quella di Bernard Arnault, consenta ad un individuo di scalare la vetta della ricchezza globale, c'è bisogno che vi sia un'élite sufficientemente ampia in grado di acquistare beni a carissimo prezzo per ostentare il proprio rango sociale.

E quale periodo storico si presta meglio di qualunque altro a tal fine, se non quello attuale, dato che la distribuzione della ricchezza ha raggiunto dei livelli di iniquità che farebbero impallidire i faraoni dell'Antico Egitto e al contempo i mezzi di comunicazione di massa danno un risalto quotidiano alla vita e agli averi dei più abbienti per diffondere stili di vita consumistici?

Dalla spasmodica, martellante e onnipresente pratica di condizionamento mentale pubblicitaria finalizzata alla diffusione di comportamenti sociali basati sull'avere e sull'apparire, trae grande giovamento anche il patron di Zara.

Infatti, senza una massa appositamente addestrata ad un consumo superfluo che, per cercare di alleviare la propria miseria esistenziale, veste "alla moda", imitando i ricchi acquistando prodotti a basso costo, nessun marchio di abbigliamento avrebbe potuto realizzare ben 2.232 filiali in 93 paesi del mondo.

Mark Zuckerberg, con il suo Facebook, meriterebbe un intero saggio di approfondimento, data la novità, l'importanza e le implicazioni in ambito sociologico della sua piattaforma social.

Per il momento, mi limito a sostenere che anche Facebook è figlia dei suoi tempi: l'attività di Zuckerberg s'inquadra perfettamente in un contesto consumistico sempre più volto ad un controllo sociale individuale, in un mondo interconnesso grazie ad una rete di calcolatori.

Facebook, infatti, svolge una duplice funzione: 

1) da un lato, acquisisce informazioni puntuali su ogni utente che interagisce al suo interno, creando così delle vere e proprie “identità digitali”. Ciò gli consente di effettuare delle profilazioni accuratissime mediante l'analisi di gusti, preferenze, orientamenti, abitudini, intenzioni, frequentazioni, geo-posizionamento etc etc, ottenuti registrando, ed elaborando tutto ciò che viene detto, scritto, postato, osservato, inviato, comunicato e cliccato all'interno del social network;

2) dall’altro, sfrutta questa grande mole di dati per ricavare profitti, vendendo informazioni e identità digitali per fini statistici legati al marketing e concedendo la possibilità di promuovere, pervio pagamento, ogni genere di prodotto all’interno della piattaforma, mostrando le campagne pubblicitarie ad una platea accuratamente selezionata per essere altamente ricettiva al messaggio promozionale.

Questo è quanto si può dire a livello ufficiale. Ma l'aspetto più preoccupante di Facebook risiede nella possibilità di condizionare direttamente il pensiero dei suoi utenti con delle strategie su misura.

Se infatti si conosce il profilo psicologico di un individuo e si ha modo d'inviargli delle informazioni personalizzate, allora si può anche "dirigere" la psiche di quel soggetto verso una certa “direzione”, utilizzando appositi messaggi e alterando la sua percezione della realtà.

Ciò può accadere anche senza introdurre chissà quale sofisticheria, già scegliendo cosa mostrare con maggior frequenza e cosa non mostrare: una scelta del tutto arbitraria svolta da un algoritmo “misterioso” programmato con finalità del tutto oscure agli utenti.

Già da questa breve premessa, chiunque può intuire il potenziale devastante dal punto di vista del controllo sociale di piattaforme come Facebook e dei motori di ricerca come Google, combinati con dispositivi dotati di ogni genere di sensore, come i moderni smartphone: si tratta di tecnologie che, per la prima volta nella storia dell’umanità, sono in grado di analizzare direttamente ogni aspetto della vita, ed indirettamente anche del pensiero, della quasi totalità degli individui, interagendo in modo intimo e differenziato con ogni singolo utente perennemente tenuto sotto controllo.

Spiare, condizionare e indirizzare la massa in modo quanto più efficace possibile, è sempre stato l'obiettivo di ogni gruppo di potere elitario nella storia dell'umanità; onestamente, mi resta davvero difficile pensare che chi detiene il potere oggi si lasci sfuggire l'occasione di sfruttare a suo vantaggio questa tecnologia così sofisticata...

Le aziende più grandi del mondo

Per cogliere alcune tra le dinamiche più significative di una società, è importante analizzare anche i dati relativi alle aziende che realizzano maggior profitto nel mondo.

In generale, possiamo sostenere che più “grande” diviene un'azienda, vale a dire maggiore è il suo fatturato ed i suoi utili, e più si trasforma in un attore sociale in grado d'incidere sulle dinamiche sociali, determinandole.

Cominciamo col dire che nel 2016 le prime 25 aziende a livello mondiale hanno maturato complessivamente all'incirca 25 mila dollari di profitto netto al secondo, corrispondenti a circa 788 miliardi all'anno.

Geograficamente parlando, il 68% dei profitti è stato realizzato nelle economie dei Paesi avanzati. Nord America ed Europa si spartiscono rispettivamente il 26% ed il 25% dell'intera torta. A seguire troviamo: Cina (14%), Giappone (7%) e America Latina (6%).

Significativo è il dato secondo cui il 10% delle aziende multinazionali più grandi ha realizzato l'80% dei profitti complessivi, a riprova del loro straordinario potere.

Se si guarda alle prime 10 aziende per fatturato, si ha la seguente classifica riferita all'anno 2015: 

al primo posto troviamo Walmart la più importante catena di negozi al mondo nel canale della grande distribuzione (485,7 miliardi di dollari);

seconda, terza, quarta, quinta e sesta posizione, sono tutte occupate da grandi aziende petrolifere, ovvero rispettivamente Sinopec (446,8 miliardi di dollari), Royal Dutch Shell (431,3 miliardi), China National Petroleum Corporation (428,6 miliardi), ExxonMobil (382,6 miliardi), BP (358,7 miliardi);

al settimo posto vi è la più grande società elettrica del mondo, ovvero la State Grid Corporation of China (339,4 miliardi); l'ottavo ed il nono posto sono occupati da due grandi produttori di automobili, la tedesca Volkswagen (268,6 miliardi) e la giapponese Toyota (247,7 miliardi);

infine, in decima posizione, troviamo la Glencore, un'azienda commerciale specializzata nella fornitura di materie prime (221,0 miliardi).

Questi dati ci mostrano in modo inequivocabile come quella attuale sia ancora una società profondamente basata sulle fonti fossili, con tutto ciò che ne consegue, come ad esempio guerre ed inquinamento.

Di conseguenza, non stupisce che nella classifica vi siano due compagnie specializzate nella produzione di automobili, e ancor meno che vi sia un fornitore di materie prime.

Osserviamo, en passant, che se si confronta il fatturato attuale di Walmart (500,3 miliardi di dollari) con quello di Amazon (177,9 miliardi) si nota un rapporto di 2,8 a 1: questo significa che gli acquisti on line stanno diventando sempre più comuni, tanto che si può azzardare di prevedere un sorpasso rispetto alla modalità di acquisto tradizionale entro qualche anno. 

La presenza della State Grid Corporation of China nella classifica si spiega facilmente tenendo in considerazione il grande processo d'industrializzazione messo in moto dalla Cina negli ultimi decenni.

Se invece che al fatturato si guarda al profitto, la situazione cambia in modo sostanziale, così come indicato nella seguente classifica riferita all'anno 2015:

1) Industrial and Commercial Bank of China (44,7 miliardi di dollari)
2) Apple (39,5 miliardi di dollari)
3) China Construction Bank (36,9 miliardi di dollari)
4) ExxonMobil (32,5 miliardi di dollari)
5) Agricultural Bank of China (29.1 miliardi di dollari)
6) Bank of China (27.5 miliardi di dollari)
7) Wells Fargo (23 miliardi di dollari)
8) Microsoft (22 miliardi di dollari)
9) Samsung Electronics (21.9 miliardi di dollari)
10) JP Morgan Chase (21.7 miliardi di dollari)

Ciò che salta subito all'occhio, guardando il precedente elenco, è la presenza di ben 6 compagnie appartenenti al settore bancario, di cui 4 battono bandiera cinese e le restanti 2 americana (Wells Fargo, JP Morgan Chase).

In verità non c'è di che stupirsi: in un mondo fondato su di un'economia monetaria in cui le banche creano denaro dal nulla a costo zero e lo prestano al mondo intero previa richiesta di un interesse, sarebbe stato strano se questi enti non avessero realizzato profitto!

C'è però una differenza sostanziale tra le banche cinesi e quelle americane: le prime, in qualche misura, sono partecipate e controllate dallo Stato, le seconde sono interamente private.

Ciò significa che, mentre nel primo caso una parte del profitto è gestito dallo Stato, che ci si augura lo utilizzerà in qualche modo per le necessità del proprio Paese, nel secondo i profitti arricchiscono dei soggetti privati che non hanno nessun obbligo nei confronti della comunità.

Posto che per il bene dell'umanità le banche andrebbero completamente eliminate dalla faccia della Terra, e con esse anche il denaro ed il concetto di debito, se per assurdo si fosse costretti a scegliere tra una banca pubblica ed una privata, non c'è alcun dubbio che si debba preferire una banca pubblica.

Se poi la banca in questione fosse una banca centrale, la sua privatizzazione comporterebbe la perdita della sovranità monetaria da parte dello Stato, il quale, non potendo più creare il denaro dal nulla, si dovrebbe finanziare come ogni comune mortale, pagando suon d'interessi reali, e così facendo sarebbe maggiormente esposto ai ricatti dei mercati, con tutte le conseguenze negative del caso.

Ma quali sono le banche più potenti al mondo? Se si guarda alla capitalizzazione, nel 2017, Wells Fargo e JP Morgan Chase occupavano le prime 2 posizioni a livello mondiale, rispettivamente con 262 e 230 miliardi di dollari.

Seguivano in ordine decrescente: Industrial and Commercial Bank of China (196 miliardi di dollari), la britannica HSBC Holdings (191 miliardi di dollari), Bank of America (182 miliardi di dollari), China Construction Bank (161 miliardi di dollari), l'americana Citigroup Inc (145 miliardi di dollari), Agricultural Bank of China (126 miliardi di dollari), Bank of China (115 miliardi di dollari) e Commonwealth Bank of Australia (115 miliardi di dollari).

Ciò mostra la grande forza a livello internazionale del sistema bancario cinese, ormai comparabile, se non superiore, a quello americano.

Del resto, sommando le quattro principali banche cinesi, vale a dire Industrial & Commercial Bank of China, China Construction Bank, Agricultural Bank of China e Bank of China, si raggiunge la cifra di 13.637 miliardi di attività finanziarie all'anno, superando di misura le 11 più grandi banche statunitensi che totalizzano attività per 12.196 miliardi di dollari.

Per completare la riflessione in merito alla classifica delle 10 aziende che realizzano i maggior profitti, possiamo aggiungere che ExxonMobil è l'unica delle 6 grandi compagnie petrolifere presenti nell'elenco delle aziende con il maggior fatturato a figurare anche nella classifica di quelle con maggior profitto.

Evidentemente, di norma, l'attività petrolifera consente un minor ritorno economico rispetto ad altre attività, pur movimentando ingenti quantità di denaro.

Spicca invece la presenza di ben 3 aziende su 10 legate al settore dell'informatica e dei prodotti elettronici (Apple, Microsoft e Samsung), perfettamente in linea con lo spirito dei tempi di una società sempre più interconnessa tramite computer, tablet e smartphone. 

Per completare il quadro, vale la pena di dedicare qualche capitolo all'analisi di alcuni settori economici strategici che, pur non figurando nelle precedenti liste, svolgono un ruolo decisivo all'interno dell'odierna società: cominciamo con quello della salute e procediamo con quello della guerra. (trovate i capitoli qui)

Mirco Mariucci

Fonti

  1. I 10 uomini più ricchi al mondo nel 2017. Panorama, Simona Santoni, 28 dicembre 2017.
  2. Uomini più ricchi del mondo, la classifica 2017 di Bloomberg (e i guadagni). Quotidiano.net, 27 dicembre 2017.
  3. I più ricchi del mondo: domina Bezos, cade Trump. Ferrero primo italiano. Il Sole 24 Ore, Alberto Annicchiarico, 06 marzo 2018.
  4. Jeff Bezos è l'uomo più ricco del mondo secondo Forbes. Silvio Berlusconi al 190mo, Ferrero primo degli italiani. Huffington Post, 7 marzo 2018.
  5. Paperoni: ecco gli uomini più ricchi del mondo. MSN, 17 aprile 2018.
  6. Classifica Forbes: uomini più ricchi del mondo nel 2018. Blastingnews, Marco Mancini, 7 marzo 2018.
  7. È di Amazon la colpa della chiusura dei negozi? Non ancora (lo dicono i dati). AGI, Sonia Montrella, 25 gennaio 2018.
  8. Morire di Amazon: così l’e-commerce farà sparire i negozi. Linkiesta, Fabrizio Patti, 24 febbraio 2017.
  9. Usa: record di chiusure negozi, stroncati da Amazon. Wall Street Italia, 8 novembre 2017.
  10. Effetto Amazon sulla chiusura di 288 librerie in Italia. E paga le tasse in Lussemburgo. Business Insider, Gea Scancarello, 21 dicembre 2016.
  11. Quanto guadagnano le più grandi aziende del mondo (al secondo)? Il Sole 24 Ore, Filippo Mastroianni, 6 febbraio 2018.
  12. Le 20 imprese italiane più grandi. Panorama, Massimo Morici, 30 ottobre 2017.
  13. Fortune500: le 10 aziende più ricche del mondo. Panorama, Cinzia Meoni, 9 maggio 2013.
  14. Le 5 aziende più ricche del mondo: high tech. Digitalic, 31 maggio 2017.
  15. Amazon: 1,9 mld di dollari di profitti nel Q4 2017. HD Blog, 2 febbraio 2018.
  16. Amazon, straripano utili e fatturato. Facebook vola a +9%. Il Sole 24 Ore, Marco Valsania, 26 aprile 2018.
  17. Le Banche più ricche e grandi del mondo. Economia Italiana, 9 novembre 2017.
  18. Le banche più ricche del mondo. Metalli Rari, 23 settembre 2014.
  19. I più grandi colossi finanziari al mondo: le banche cinesi in cima alla classifica. Business Insider, Eleonora Giovinazzo, 29 maggio 2018.
  20. La classifica delle più grandi aziende della difesa 2017. Flyorbit news, 27 luglio 2017.

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