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lunedì 1 ottobre 2018

Dobbiamo liberare l'umanità dalla “trappola del lavoro”.


I salari nel mondo

Più ci si addentra nello studio del mondo del lavoro e più ci si rende conto di quanto sia caratterizzato da un'eclatante ingiustizia.

Esattamente all'opposto di quanto si possa ingenuamente pensare, nell'odierna società capitalistica, l'orario di lavoro è direttamente proporzionale al livello di sfruttamento subito. 

In altri termini, più si lavora e meno si guadagna!

Mentre per procurarsi i livelli più bassi di retribuzione si devono dedicare 10-12 ore al giorno a delle mansioni ripetitive e logoranti, a mano a mano che si risale la scala sociale il carico di lavoro diminuisce e i compensi aumentano a dismisura, fino ai casi limite in cui si percepisce un reddito cospicuo senza neanche dover lavorare.

Neanche il più stacanovista degli operai riuscirebbe a coprire due turni di lavoro, senza finire in breve tempo all'ospedale, ma quando si tratta di ruoli di alto livello, molto ben retribuiti, come per magia, ciò diventa possibile: questo significa che il carico di lavoro richiesto da quest'ultima tipologia di mansioni è notevolmente inferiore rispetto a quanto imposto ad un normale lavoratore. 

Un esempio su tutti sarà più che sufficiente: in Italia, ha fatto clamore il caso di un super-uomo che aveva cumulato ben 25 cariche di prestigio ricoperte simultaneamente (di cui alcune in conflitto d'interessi). 

Ora, a meno di essere in possesso di un dispositivo in grado di dilatare il tempo, è oltremodo chiara l'impossibilità di svolgere un così gran numero di ruoli in contemporanea. Del resto, pur ipotizzando una giornata lavorativa di 10 ore effettive, si avrebbe un orario di lavoro medio per ogni carica pari a 24 minuti al dì. 

Ipotizzando una settimana lavorativa di 5 giorni per 11 mesi di lavoro all'anno e considerando che il nostro collezionista di poltrone guadagnava (ufficialmente) 1,2 milioni di euro all'anno, ovvero in media 48.000 euro ad incarico, si scopre che la sua retribuzione media per ogni ruolo era prossima ai 220 euro per 24 minuti di lavoro, corrispondenti a 550 euro all'ora!

In pratica ciò che quel soggetto guadagnava in due ore, un normale operaio italiano deve sudarselo lavorando per circa un mese.

Le retribuzioni non variano soltanto in base alla tipologia di lavoro, ma anche a seconda della nazione.

Nel mondo, tra i Paesi con le retribuzioni annue medie più elevate, riferite ad un singolo individuo senza famiglia e/o figli a carico (anno 2015 fonte Eurostat), si segnalano: Svizzera 69.870 dollari; Norvegia 44.161 dollari; Lussemburgo 38.490 dollari; Regno Unito 37.995 dollari; Islanda 36.065 dollari; Danimarca 34.878 dollari; Paesi Bassi 34.499 dollari; Stati Uniti 34.158 dollari; Svezia 33.919 dollari e Finlandia 30.065 dollari.

Al lato opposto della classifica ci sono: Bulgaria 4.333 dollari; Romania 5.119 dollari; Lituania 6.651 dollari; Ungheria 6.702 dollari; Turchia 7.678 dollari; Slovacchia 8.169 dollari; Croazia 8.841 dollari; Repubblica Ceca 8.940 dollari; Polonia 8.967 dollari; Estonia 10.544 dollari.

Si tenga presente che la precedente classifica è incompleta perché, purtroppo, per quanto io abbia cercato, non sono riuscito a trovare dati più accurati in merito. Inoltre, mi sarebbe piaciuto riportare una comparazione aggiornata tra le retribuzioni nette delle varie nazioni del mondo a parità di potere d'acquisto, ma l'unica classifica che sono riuscito a trovare si riferisce ai Paesi dell'OCSE e risale all'anno 2008. La riporto qui di seguito: 

Corea del sud 39.931 dollari; Regno Unito 38.147 dollari; Svizzera 36.063 dollari; Lussemburgo 36.035 dollari; Giappone 34.445 dollari; Norvegia 33.413 dollari; Australia 31.726 dollari; Irlanda 31.337 dollari; Paesi Bassi 30.796 dollari; Stati Uniti 30.774 dollari; Germania 29.570 dollari; Austria 28.996 dollari; Svezia 27.581 dollari; Canada 26.994 dollari; Grecia 26.512 dollari; Belgio 26.311 dollari; Francia 26.010 dollari; Finlandia 25.911 dollari; Islanda 25.134 dollari; Spagna 24.632 dollari; Danimarca 24.531 dollari; Nuova Zelanda 23.650 dollari; Italia 21.374 dollari; Portogallo 19.150 dollari; Repubblica Ceca 14.540 dollari; Turchia 13.849 dollari; Polonia 13.010 dollari; Rep. Slovacca 11.716 dollari; Ungheria 10.332 dollari e Messico 9.716 dollari.

Nel corso degli ultimi 10 anni, la situazione è variata sensibilmente, anche a causa della crisi economica che (guarda caso) è esplosa proprio nel 2008, ma la precedente classifica può esserci comunque utile per mettere in evidenza alcune dinamiche.

In quell'anno, la media OCSE si attestava sui 25.739 dollari di retribuzione netta all'anno, oggi il dato è di 43.015 dollari per il lordo, che a fronte di un 25,5 % di tassazione, si traduce in un compenso netto di 32.046 dollari. In Italia il salario lordo medio è di 42.166 dollari che però, dopo una tassazione del 31,1 %, si trasforma in 29.052 dollari. 

Non esultino gli italiani che credono di guadagnare in media 2.093 euro al mese, perché quel dato è espresso a parità di potere d'acquisto: nel 2017, infatti, il reddito medio dichiarato in Italia era pari a 20.940 euro, corrispondenti a 1.745 euro al mese.

E si tenga presente che anche per tutti questi numeri vale quanto già affermato altrove: si tratta di valori soggetti alla morale trilussiana della media del pollo. 

Precisiamo, infatti, che i redditi da lavoro dipendente rappresentano circa il 52 % del reddito complessivo dichiarato, quelli da pensione il 30 % e che il 45 % dei contribuenti italiani dichiara meno di 15.000 euro, un 50 % si posiziona tra 15.000 e 50.000 euro, un 5 % dichiara più di 50.000 euro ed infine un individuo ogni mille denuncia un reddito superiore ai 300.000 euro annui.

I lavoratori autonomi hanno il reddito medio più elevato, pari a 41.740 euro, i titolari di ditte individuali dichiarano 21.080 euro, il reddito medio dei lavoratori dipendenti è pari a 20.680 euro, mentre i pensionati devono accontentarsi di 17.170 euro.

Vi è inoltre una grande differenza a seconda dell'area territoriale di residenza. I redditi, infatti, aumentano progressivamente, dai 16.600 circa delle isole e del sud Italia, ai 23.860 del nord-ovest, passando per i 21.700 del centro.

E fin d'ora non abbiamo neanche preso in considerazione la perdita di potere d'acquisto, che in alcuni casi può dar luogo a situazioni paradossali in cui pur guadagnando di più rispetto al passato, si riesce a comprare di meno!

A tal proposito diciamo solo che in un decennio dall'introduzione dell'euro, i lavoratori italiani hanno subito una perdita di potere d'acquisto quantificabile in 5.453 euro; se invece si prendono in considerazione le famiglie, la perdita di potere d'acquisto è stimata in 11.054 euro. 

Stando alle dichiarazioni del Codacons, da gennaio 2002 a gennaio 2012 la perdita di potere d'acquisto per il ceto medio è stata del 39,7 %; in 10 anni una famiglia composta da 4 persone ha subito una stangata dovuta ad aumenti dei prezzi, rincari delle tariffe, manovre economiche, caro-affitti, caro-carburanti, prossima ai 10.850 euro.

E poi è arrivata la crisi economica a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita degli italiani, creando i presupposti per far avanzare il progetto d'introduzione forzata del neoliberismo e della continua cessione di sovranità, in totale sfregio della carta costituzionale. Ma questa è un'altra storia di cui non ci occuperemo.

Se invece si analizza la sola zona euro, in relazione ai salari accreditati nel 2017, si possono suddividere i vari Paesi dell'Europa a 28 in tre gruppi:

1) nel primo, si guadagna più di 2.500 euro al mese. Ciò accade in: Austria (2.504 euro), Belgio (2.608 euro), Svezia (2.710 euro), Germania (2.719 euro), Finlandia (2.724 euro), Olanda (2.729 euro) e Irlanda (2.790 euro), Lussemburgo (3.228 euro) e Danimarca (3.807 euro);

2) nel secondo, i salari sono compresi tra 1.000 e 2.500 euro. Ciò si verifica in: Spagna (1.639 euro), Portogallo (1.017 euro), Grecia (1.023 euro), Slovenia (1.190 euro), Malta (1.265 euro), Cipro (1.291 euro), Italia (2.033 euro), Francia (2.356 euro) e Regno Unito (2.381 euro);

3) infine, nel terzo, troviamo i Paesi con uno stipendio medio inferiore a 1.000 euro al mese, tutti facenti parte dell’Europa orientale: Bulgaria (407 euro), Romania (563 euro), Lituania (566 euro), Lettonia (619 euro), Ungheria (686 euro), Polonia (768 euro), Croazia (824 euro), Slovacchia (845 euro), Repubblica ceca (882 euro) ed Estonia (942 euro).

Una tendenza importante, che non ci si può esimere dal sottolineare, riguarda la crescita dei salari avvenuta in Cina negli ultimi anni: basti sapere che tra il 2005 e il 2016 nelle più importanti città cinesi le paghe medie orarie del settore manifatturiero sono triplicate, fino a toccare la cifra di 3,60 dollari all’ora. 

In America Latina, invece, si è verificata la tendenza opposta: nel medesimo lasso di tempo, infatti, il salario medio orario in Brasile è sceso da 2,90 dollari a 2,70, mentre in Messico si è passati da 2,20 dollari a 2,10. 

Anche il Sud Africa ha visto diminuire le retribuzioni nel comparto manifatturiero, passando da 4,30 dollari all’ora a 3,60. Forti diminuzioni dei salari degli operai si sono verificate anche in Europa, in particolare in Grecia e Portogallo.

Questo significa che in alcune grandi realtà cinesi il salario delle tute blu è ormai più alto rispetto a quello dei colleghi impiegati in Brasile, Messico e nei Paesi dell'est Europa, ed ha quasi raggiunto il livello dei lavoratori Greci e Portoghesi.

Pertanto, si può pensare che nei prossimi anni gli sfruttatori - pardon! - gli investitori internazionali non saranno più attratti dalla Cina e cominceranno ad orientarsi verso altre nazioni, a patto che queste ultime siano in grado di offrire infrastrutture adeguate alla produzione e alla distribuzione, oltre a masse di schiavi da sfruttare.

Tra i terreni candidati ad ospitare le nuove ondate di delocalizzazioni citiamo l'America Latina, l'est Europa e il sud-est asiatico. 

Ovviamente, non siamo ancora giunti alla fine dell'era del dominio cinese nel comparto manifatturiero, ma stando a queste tendenze, si può ipotizzare che stiano maturando le condizioni per una svolta. 

Più avanti nel corso della trattazione, introdurremo un ulteriore elemento di riflessione potenzialmente in grado, di per sé, di stravolgere le suddette dinamiche: quello relativo all'automazione.

Per il momento ci limitiamo ad osservare che la classifica dei Paesi più industrializzati del mondo vede ancora la Cina in testa, seguita rispettivamente da: Usa, Giappone, Germania, Corea del Sud, India, Italia, Francia, Gran Bretagna e Messico.

Rispetto alla quota di mercato relativa al manifatturiero, Cina e Usa si spartiscono il 29,5 % e il 19 % della torta, e sono seguiti da: Giappone 8,4 %, Germania 5,9 %, Corea del Sud 2,8 %, India 2,5 %, Italia 2,3 %, Francia 2,2 %, Gran Bretagna 1,9 % e Messico 1,5 %. Pertanto, la Cina è ancora leader a livello mondiale.

Quanto fin qui riportato dimostra, in modo inequivocabile, che vi sono enormi differenze tra gli orari di lavoro e le retribuzioni degli esseri umani, che variano profondamente a seconda dei ruoli e dei luoghi.

Si tratta di un fenomeno assurdo che manifesta la grande limitatezza dell'odierno sistema socio-economico, che non è neanche lontanamente in grado di assicurare delle comparabili condizioni di benessere a tutti i membri della società e che invece genera, per sua costruzione, disparità e ingiustizia in ogni dove. 

La cosa più scandalosa in tal senso è che, a parità di condizioni, un operaio riceva un salario decisamente più elevato rispetto ad un suo collega impiegato nel medesimo settore ma in un'altra nazione.

Ad esempio, un operaio della FCA (Fiat Chrysler Automobiles), se lavora in Italia guadagna 1.350 euro al mese circa, ma se lavora in Serbia percepisce una retribuzione di soli 350 euro! 

E tutto ciò mentre l'ormai defunto Sergio Marchionne, amministratore delegato di FCA, accumulava avidamente un tesoro personale prossimo ai 700 milioni di euro, e l'azienda maturava fior di miliardi di utili, alla faccia delle condizioni di sfruttamento degli operai. 

È del tutto assurdo che due individui che si trovano a distanza di qualche centinaia di km e che dedicano il medesimo tempo, alla stessa attività, realizzando un identico numero di prodotti della stessa qualità, ricevano due compensi enormemente differenti. 

Eppure, questa eclatante ingiustizia rappresenta la normalità nell'odierno sistema socio-economico, ed immancabilmente un'élite di parassiti approfitta di una simile disparità di trattamenti per trarne il maggior profitto, grazie alla commercializzazione globalizzata di beni realizzati in Paesi dove i costi di produzione sono ridotti ai minimi termini.


Differenze di genere e maternità

Quando un'analoga disparità di trattamento, rispetto a quella appena illustrata, si presenta tra le condizioni di lavoro e di retribuzione delle donne rispetto agli uomini, si parta di differenza di genere.

L'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) sostiene che non vi sia un solo Paese al mondo, né un solo settore, in cui le donne ricevano gli stessi stipendi degli uomini, senza alcuna eccezione, né per età, né per qualifiche.

A livello globale, il salario delle femmine risulta mediamente più basso del 23% rispetto a quello dei maschi.  

Che l'inserimento delle donne nel proprio organico sia problematico per i capitalisti è un fatto di banale comprensione: di norma, le donne sono dotate di minore forza e resistenza fisica rispetto agli uomini, ciò le taglia fuori da tutte quelle mansioni che richiedono una certa fisicità. 

Inoltre, a differenza degli uomini, le donne possono avere delle gravidanze e ciò rappresenta un enorme problema per gli sfruttatori. Ciò le mette in cattiva luce per ogni genere di mansione, anche per quelle che non richiedono vigore fisico.

A mio avviso, simili discriminazioni sono assolutamente ridicole, gli stipendi dovrebbero essere equiparati, già per il semplice fatto che sia le donne che gli uomini dedicano il medesimo numero di ore ad analoghe attività. 

Inoltre, entrambi i genitori dovrebbero avere diritto, non a qualche mese, ma ad alcuni anni di riposo dal lavoro a pieno stipendio, per stare a stretto contatto con il/la nascituro/a e prendersene cura nel migliore dei modi come minimo per i primi 3 anni di vita, così come suggerito dalla neuroscienza e dalla psicologia.

È infatti noto che per ottenere un sano e corretto sviluppo emotivo, sentimentale e cognitivo del neonato, un aspetto di fondamentale importanza per formare un essere umano adulto in grado di concentrarsi, applicarsi e interessarsi agli altri e al mondo con creatività, fiducia e altruismo, nei primi anni di vita si debbano far crescere i bambini in un ambiente familiare sano e sereno, in cui la madre vive in funzione del figlio ed il padre supporta la propria compagna in questo arduo compito.

Parcheggiare dei neonati all'interno di asili nido perché “si deve lavorare”, non farà altro che provocare un trauma da distaccamento all'infante, che vedendosi separare dalla madre, sua unica fonte di sopravvivenza, si sentirà letteralmente morire. 

Anche il far crescere bambini in famiglie che non possono essere serene a causa di problemi economici e/o delle condizioni di sfruttamento lavorativo subite, causerà un danno alla psiche dei neonati. 

Simili situazioni contribuiranno allo sviluppo di adulti psico-apatici, ovvero privi di empatia e di fiducia nei confronti degli altri e del mondo, minando le condizioni della loro felicità e, in ultima analisi, danneggiando l'intera società.

Nei primi mesi di vita, infatti, si formano le mappe cognitive e affettive, ed è di fondamentale importanza che esse siano di ottima fattura: per questo motivo, la società dovrebbe fare tutto il possibile per creare le migliori condizioni per far sviluppare e crescere in modo sano e sereno gli esseri umani del futuro, in particolar modo nelle prime fasi di vita.

E di certo ciò non sarà possibile, fin quando i genitori verranno costretti a lavorare oltre misura e a sperimentare l'incertezza, lo stress, l'oppressione e la sofferenza dovuti alla ristrettezza economica, alla precarietà e/o allo sfruttamento, caratteristici dell'odierna organizzazione socio-economica.

È assurdo che s'ignorino perfino le indicazioni fornite dalla più avanzata scienza applicata all'ambito dello sviluppo dei bambini, anche se sarebbe bastato non più che un briciolo di buon senso per comprendere che il mettere al mondo dei figli rappresenta una fase di particolare importanza, perché in quel periodo si sta plasmando quello che sarà un nuovo essere vivente. 

E non si capisce come sia possibile che una creatura forgiata dalla paura, dall'ansia, dal dolore e dalla sofferenza, che, una volta nata, debba anche subire dei traumi da distaccamento, possa sviluppare appieno il proprio potenziale positivo.

Anche per questo motivo, la donna dovrebbe avere la possibilità di cessare di lavorare non appena scopre di essere incinta, e non a ridosso del parto, così da potersi rilassare e portare a compimento, nelle migliori condizioni possibili, ciò che in quel periodo della sua esistenza è il suo compito più importante: dar forma e vita ad un altro essere umano.


La disoccupazione nel mondo

In un sistema socio-economico che utilizza il denaro, dove chi non lavora non ha diritto ad un reddito di esistenza incondizionato, la maggior parte delle persone subisce gli effetti di un potente ricatto economico: «se non ti trovi un lavoro, rischi di soffrire la fame».

E così, volenti o nolenti, a meno di esser sufficientemente ricchi per vivere di rendita o di riuscire a trovare una strategia per sfruttare il lavoro degli altri, tutti gli esseri umani che vivono nelle “moderne” società vengono costretti a lavorare.

Date queste convenzioni sociali, e considerato che i ricchi che possono permettersi il lusso di non lavorare sono assai pochi, ci si aspetterebbe che, come minimo, tutti abbiano un lavoro dignitoso che gli consenta di vivere. E invece no!

Nel mondo si stima che più di 200 milioni di persone siano disoccupate. Considerando un numero di 3,3 miliardi di persone attive, il tasso di disoccupazione a livello mondiale si attesta intorno al 6 %. Ma in alcuni Stati va persino peggio.

A titolo di curiosità, citiamo il caso più eclatante, quello dello Zimbabwe, dove il tasso di disoccupazione è compreso tra l'80 e il 95 %. Seguono: Burkina Faso 77 %, Gibuti 60 %, Siria 50 % e Senegal 48 %. Al lato opposto, vi è la Cambogia, dove la disoccupazione è quasi assente, seguita da Qatar, Thailandia, Bielorussia e Benin con un tasso che oscilla intorno all'1 %. 

Non discuteremo in dettaglio questi dati, diremo solo che gli elevati tassi di disoccupazione dei Paesi del primo gruppo sono correlati a guerre, dittature e sfruttamento coloniale, mentre il fatto che nel secondo gruppo quasi tutti abbiano un'occupazione non garantisce che le condizioni di vita siano dignitose: anche nei campi di concentramento vi era piena occupazione. 

Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è del 4,1 %, in India si segnala non più di un 3,5 % di disoccupazione, mentre in Cina la disoccupazione urbana è vicina al 5 %, anche se non è dato sapere il tasso riferito all'intera nazione.

Se si guarda ai Paesi dell'OCSE, si può calcolare una disoccupazione media del 5,1 %, traducibile in 33,2 milioni di disoccupati. 

Restringendoci all'Unione Europea il dato percentuale sale al 7,1 %, corrispondente a circa 17,9 milioni di disoccupati, mentre se ci si limita alla sola zona euro si ha una disoccupazione dell'8,5 %, corrispondente a 14,1 milioni di disoccupati.

In Europa i livelli di disoccupazione più bassi si registrano rispettivamente in: Repubblica Ceca (2,4 %), Germania e Malta (entrambi al 3,6 %), Ungheria (3,9 %), Gran Bretagna (4,3 %) e Olanda (4,4 %). Al lato opposto troviamo: Grecia (20,7 %), Spagna (16,4 %), Cipro (11,1 %), Italia (10,8 %), Croazia (10 %) e Francia (9,2 %).

Se si trascurano le profonde differenze tra i vari Paesi dell'OCSE, e si considera soltanto il tasso di disoccupazione medio, si può notare come il dato sia quasi ritornato ai livelli pre-crisi, ma prima di esultare bisognerebbe ricordare che, da un punto di vista qualitativo, le condizioni di lavoro dei nuovi occupati sono peggiorate rispetto al passato, a causa di una crescente precarizzazione del lavoro e di una generalizzata intensificazione del livello di sfruttamento dei lavoratori. 

La trappola del lavoro

Il fatto che nell'odierna società vi siano dei disoccupati è estremamente grave, perché se da un lato s'impone l'obbligo di dover lavorare per vivere e dall'altro il lavoro non c'è, significa che si stanno negando a centinaia di milioni di persone le condizioni effettive per poter sopravvivere. 

Così come è altrettanto grave che tutti gli individui che non sono sufficientemente ricchi debbano lavorare per la maggior parte del tempo, non avendo modo di vivere la vita in libertà.

È questa una doppia contraddizione che, all'interno di una società basata sull'uso del denaro, dev'essere assolutamente risolta o garantendo un lavoro dignitoso a tutti, con un impiego che sia compatibile da un lato con la volontà, la libertà e la felicità dei singoli individui, e dall'altro con l'interesse generale, o assicurando a tutti un reddito di esistenza incondizionato accreditando ai cittadini una somma di denaro che sia sufficientemente elevata da consentire un'esistenza libera, serena e felice, anche se non c'è lavoro a sufficienza per tutti, perché ad esempio, grazie all'avvento delle automazioni, il bisogno di lavoro umano per realizzare beni e servizi diminuisce.

Violare le precedenti condizioni, significa accettare tacitamente di condannare alla miseria una certa parte della popolazione che, senza un reddito derivante da un lavoro o da un sussidio universale, di fatto, non avrebbe i mezzi monetari per poter acquistare beni e servizi indispensabili per vivere.

Bisognerebbe anche considerare che avere un lavoro non significa necessariamente affrancarsi dalla povertà; inoltre, in molti casi, il lavoro, invece di gettare le basi per l'auto-realizzazione e la felicità individuale, diviene la causa dell'auto-distruzione personale, dell'annullamento del lavoratore, della sua malattia e, in ultima analisi, della sua infelicità.

Nel mondo esiste un’ampia classe composta da persone denominate “working poor” (lavoratore povero): si tratta d’individui che sono poveri, e continuano a rimanere tali, pur lavorando anche per 8-12 ore al giorno con continuità, per tutta la vita attiva, per il semplice fatto che la paga ricevuta non è sufficiente per liberarli dalla loro condizione di miseria.

Non a caso si parla di “trappola della povertà”, per sottolineare il fatto che se l'attività a cui un essere umano dedica il proprio tempo non è sufficientemente remunerativa, l'effetto che si produce è quello di rimanere imprigionati in un ciclo che riproduce se stesso, mantenendo sostanzialmente invariate le condizioni esistenziali di chi vi rimane intrappolato all'interno.

Personalmente proporrei di estendere questo concetto anche al mondo del lavoro e alle sue finalità, in tal senso: se l'organizzazione del lavoro non è appositamente concepita e specificatamente finalizzata alla liberazione dell'umanità dal lavoro, si corre il serio rischio di creare una “trappola del lavoro”, all'interno della quale gli esseri umani resteranno bloccati fin quando le condizioni ambientali saranno tali da riuscire ad alimentare i consumi e a sostenere la vita. 

Per quanto ho potuto comprendere con le mie analisi, attualmente l'umanità si trova esattamente all'interno di una “trappola del lavoro”, in particolar modo a causa delle ideologie partorite da presunti intellettuali, vittime dei preconcetti dell'epoca in cui sono vissuti e della loro evidente limitatezza mentale, che disgraziatamente continuano ancora oggi ad escogitare soluzioni per “creare più lavoro”, invece di pensare a come “liberare l'umanità dal lavoro” e da tutti i disastri sociali ed ambientali causati proprio dall'odierna organizzazione del lavoro. 

L'obiettivo degli odierni economisti non è liberare gli esseri umani dal lavoro, ma riprodurre le condizioni che assicurino il lavoro: soltanto un folle potrebbe concepire una simile bestialità.

Io sono fermamente convinto che, se ci fosse la volontà e gli esseri umani cooperassero condividendo il medesimo fine, nel giro di una sola generazione si riuscirebbe a porre rimedio a tutte le ingiustizie sociali e si potrebbe eliminare l'obbligo di lavorare, pur garantendo a tutti gli esseri umani elevate e comparabili condizioni di benessere materiale all'interno di una società ecologicamente sostenibile. 

Ma un simile obiettivo, ad oggi, non viene neanche lontanamente preso in considerazione, né dalle masse assopite e indottrinate, che prendono ben volentieri parte al "gioco del Potere", né dai politici al servizio del capitale, né dagli economisti imbevuti dell'ideologia crescitista, né dai sedicenti intellettuali, che a forza di imparare a memoria le cose che hanno detto i pensatori del passato non sono più in grado di concepire idee originali, ed ancor meno dal Potere, intento a mantenere l'attuale ordine delle cose esattamente così com'è.

Se si guarda all'organizzazione del lavoro da un punto di vista più ampio, si vede in modo chiaro che le forze in campo non si dirigono sinergicamente verso una meta comune volta alla realizzazione del benessere collettivo, tutt'altro! 

I lavoratori vagano smarriti, privi di un piano d'azione, la loro energia psico-fisica viene dissipata ripetendo giorno dopo giorno gesta folli e senza senso, che li mantengono in condizione di schiavitù, mentre globalmente s'ignorano gli effetti dovuti alla risultante delle attività lavorative.

Invece di lavorare per costruire un mondo migliore, i moderni schiavi del lavoro si danno da fare senza sosta per causare il collasso della propria società, sprecando, inquinando, distruggendo, uccidendo, sfruttando e schiavizzando, le risorse, la natura, l'ambiente, gli animali, i propri simili e se stessi: essi sono giunti alla completa follia!

È del tutto evidente che l'organizzazione del lavoro debba essere totalmente ripensata, cominciando col rimettere in discussione il fine da perseguire e proseguendo col ripensare le modalità con il quale raggiungere i rinnovati obiettivi. 

Senza una nuova visione del mondo, che tenga in considerazione le principali criticità dell'epoca corrente, non ci sarà alcun futuro per l'umanità.

Ma la cosiddetta “intellighenzia” è troppo impegnata nel predicare il verbo della religione economica dominante, in cui crede in modo acritico, fideistico ed irrazionale; ecco perché non è neanche in grado di rendersi conto di queste impellenti necessità, nonostante i limiti dell'odierno livello di pensiero siano macroscopici. 

Pazienza, ce ne faremo una ragione: del resto, solo un pazzo affiderebbe agli artefici dell'odierno disastro socio-economico il prezioso incarico di portare a compimento una simile impresa. 

L'umanità ha un forte bisogno di nuove energie, di menti geniali che non siano condizionate dalle ideologie dominanti, e che siano in grado di elevarsi al di sopra delle credenze e dei preconcetti della propria epoca. 

Il punto non è creare più lavoro, senza alterare alcuna dinamica sociale, mantenendo così in essere tutte le storture dell'odierna organizzazione del mondo del lavoro, il punto è rimettere in discussione le logiche adottate che producono ingiustizia, disuguaglianza, sfruttamento, distruzione e insostenibilità, concependo altre logiche che non causino le distorsioni riscontrate nell'odierna società.

Perché si dovrebbe continuare a mantenere in essere il lavoro inutile e dannoso, quando invece sarebbe saggio eliminarlo? 

Perché si dovrebbe incrementare ulteriormente il lavoro, quando si potrebbe redistribuirlo, eliminando così la disoccupazione?

Perché si dovrebbe costringere l'umanità a compiere lavori detestabili che potrebbero essere egregiamente svolti dalle automazioni?

Perché gli orari di lavoro dovrebbero essere diversi, quando si potrebbe distribuire equamente il carico di lavoro tra tutti i membri della società abili al lavoro?

Perché si dovrebbe continuare a tollerare che ci sia chi guadagna troppo e chi poco (o nulla), quando invece si potrebbe condividere la ricchezza prodotta, così che che tutti abbiano denaro a sufficienza per vivere? 

Perché si dovrebbe necessariamente sottostare alle logiche del profitto, nonostante quest'ultime siano puramente convenzionali?

Perché gli esseri umani dovrebbero continuare a vivere nell'odierna società, tollerando le sue storture, quando la trasformazione dell'ordine sociale dipende dalla loro volontà?

Mirco Mariucci

Fonti
  1. Caso Mastrapasqua, Adusbef: “Collezionista di 25 poltrone”. Il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2014. 
  2. Mastrapasqua si arrende: “mister 25 poltrone” lascia la presidenza dell’Inps. Il Fatto Quotidiano, 1 febbraio 2014. 
  3. Mastrapasqua, l’uomo dei 25 incarichi, si dimette da presidente Inps. Bergamo News, 1 febbraio 2014. 
  4. Salari in Europa, ecco dove i lavoratori vengono pagati meglio. Europa Today, 31 marzo 2018.  
  5. La classifica dei Paesi con gli stipendi più alti del mondo. Ecco dov’è l’Italia. Money, Cristiana Gagliarducci, 17 Febbraio 2017.
  6. Gli stipendi medi netti annuali dei paesi Ocse. Il Sole 24 Ore, fonte: Ocse, Rapporto sul prelievo fiscale sui salari 2007-2008.
  7. Stipendi - Secondo la classifica Ocse, in Italia un disastro. La gazzetta del mezzogiorno, 11 marzo 2008.
  8. Cuneo fiscale 12 punti sopra la media Ocse. Il Sole 24 Ore, Claudio Tucci, 12 aprile 2017.
  9. Italia quinta al mondo per imposte sugli stipendi. Ocse: lavoratori ancora troppo tassati. L'unione sarda, 11 Aprile 2017. 
  10. Lo stipendio medio addebitato in ogni Paese europeo. Idealista news, 29 maggio 2018.
  11. Il reddito medio degli italiani è di 20.690 euro. Bonus Irpef restituito da 1,7 milioni di contribuenti. Il Sole 24 Ore, Marco Mobili, Giovanni Parente, 28 febbraio 2017.
  12. Il reddito medio sale a 20.940 euro, zero Irpef per oltre 10 milioni italiani. Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2018. 
  13. Euro ha ucciso potere d’acquisto del ceto medio italiano. Wall Street Italia, 25 novembre 2013. 
  14. Euro, 15 anni fa l’entrata in vigore. Come sono cambiati i prezzi. Il Fatto Quotidiano, 1 gennaio 2017. 
  15. Salari, Cgil: potere d'acquisto giù di 5.500 euro in 10 anni. Epifani: pesano le tasse. Adnkronos.
  16. Euro, in 10 anni la perdita del potere d'acquisto per il ceto medio è stata del 39,7%. Corriere Della Sera, 30 dicembre 2011.
  17. Industria, l’Italia resta la settima potenza mondiale. La Stampa, Sandra Riccio, 8 novembre 2017.
  18. Confindustria, in classifica manifatturiero Italia settima, dominano Cina e Usa. Il Diario del Lavoro, 8 novembre 2017. 
  19. Confindustria: Italia resta settima in classifica manifatturiero, ma cala nel tessile. Fashion Network, 8 novembre 2017. 
  20. La FIAT ha concordato un aumento dei salari dei suoi dipendenti in Serbia, dopo gli scioperi delle scorse settimane. Il Post, 24 luglio 2017. 
  21. Gli operai serbi vincono contro Fiat: aumenti per tutti e bonus produttività. Tiscali News, 25 luglio 2017.
  22. Ad un operaio della Fiat occorrono due secoli per guadagnare lo stipendio di Marchionne. Tiscali News, 4 ottobre 2016.
  23. Quanto guadagna un operaio della Fiat? Money, Simone Micocci, 6 luglio 2018.
  24. Gli utili di Fiat Chrysler balzano a 1,8 miliardi. "Fiducia per gli obiettivi al 2018". Repubblica, 26 gennaio 2017. 
  25. Il tesoro accumulato da Sergio: 700 milioni. Il Giornale, Camilla Conti, 22 luglio 2018.
  26. Fiat Chrysler, nel primo trimestre l'utile cresce del 59% e scende l'indebitamento. Repubblica, 26 aprile 2018.
  27. Parità di genere sul lavoro, Onu: “Le donne guadagnano il 23% in meno degli uomini. È il più grande furto della storia”. Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2018. 
  28. Onu: "Le donne guadagnano il 23% meno degli uomini. Il più grande furto della storia". Repubblica, 20 gennaio 2018.
  29. Economia: tasso disoccupazione. Index Mundi, 1 gennaio 2018.
  30. Ocse: Italia terzo Paese come numero di disoccupati. In calo i salari reali. Il Giornale, Raffaello Binelli, 4 luglio 2018.
  31. Ocse: "Italia terza per disoccupazione, scendono i salari reali". Tg Com 24, 4 luglio 2018. 
  32. Ocse, disoccupazione cala a 5,5% a dicembre, in un anno -0,7 punti. Ask News, 12 febbraio 2018. 
  33. OCSE: tasso disoccupazione ancora in calo a maggio. Qui Finanza, 10 luglio 2018. 
  34. Ocse, disoccupati maggio 5,1% vicino minimo storico, Italia 10,7%. Conferenza delle Regioni e delle Prince autonome, 10 luglio 2018.
  35. Nell’eurozona ci sono 14 milioni di disoccupati. True Numbers, 7 febbraio 2018.  
  36. Lavoro, Eurostat: Italia terzo paese in UE per disoccupazione. Qui Finanza, 4 aprile 2018.
  37. Lavoro, la disoccupazione in Ue torna ai livelli 2008. In Italia il tasso resta più alto di 4 punti e ci sono 750mila precari in più. Il Fatto Quotidiano, 2 maggio 2018. 
  38. Disoccupazione all’8,6% nell’Eurozona e al 7,3% nell’intera Ue. Euro News, Veronica di Norcia, 1 marzo 2018. 
  39. Zona Euro, in lieve calo il tasso di disoccupazione. Repubblica, 2 luglio 2018.
  40. In America non si trova più un disoccupato. Huffington Post, 13 gennaio 2018. 
  41. La Cina nei primi tre mesi del 2018 è cresciuta tantissimo. AGI, Eugenio Buzzetti, 18 aprile 2018. 
  42. India, cala il Tasso di Disoccupazione: 3,46%. Idea investimento, 19 Ottobre 2017. 
  43. India: Oil prevede tasso di disoccupazione stabile al 3,5 per cento quest’anno. Agenzia Nova, 1 agosto 2018.

1 commento:

  1. Buonasera Mirco, sono d'accordo con te quando dici che una donna appena sa di essere in gravidanza debba avere la possibilità di stare subito in pace e tranquillità per vivere il periodo dell'attesa in un clima di serenità. Purtroppo lo pensiamo in pochi...anzi, una donna che lavora fino ad un mese prima del parto è considerata dinamica, brava, responsabile, attaccata al lavoro cosiccome tornare al lavoro quando il bimbo ha appena tre mesi. Io credo che la natura insegna: siamo o non siamo alla fin fine degli animali anche noi? I mammiferi in genere portano appresso sempre i loro piccoli, li tengono a diretto contatto con il loro corpo. A noi mamme moderne ci viene detto che prima distacchiamo i nostri piccoli da noi e meglio è... si infatti i risultati di vedono: le ultime due generazioni sono composte di individui che, tanto per citare Baumann, sono caratterialmente "liquidi" e predisposti a vivere per consumare.

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