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sabato 9 marzo 2019

Che cos'è la Sociologia?


Un trattato di sociologia degno di questo nome dovrebbe fornire una risposta alla seguente domanda: che cos'è la sociologia?

Mi spiace deludere il lettore fin dalle prime righe di quest'opera, ma il massimo che sono in grado di fare non è di definire che cosa sia la sociologia, bensì di dire che cosa sia per me la sociologia.

Infatti, non vi è accordo neppure tra i sociologi rispetto a cosa sia effettivamente la sociologia, tanto è vero che molti di essi hanno formulato definizioni personali differenti.

Effettuando delle ricerche, sembrerebbe che la dicitura più utilizzata sia la seguente: la sociologia è la scienza che studia la società. 

Ma quella che a prima vista potrebbe apparire come un’ottima definizione, ad uno sguardo più accorto si rivela essere alquanto imprecisa, problematica ed insoddisfacente.

Prima di sostenere che la sociologia sia una scienza che studia la società, bisognerebbe specificare che cosa s'intende per “società”, e si dovrebbe anche chiarire che cos'è la “scienza”.

Inutile dire che rimandare il problema della definizione del vocabolo “sociologia” alla qualificazione di questi due ulteriori termini, ovvero “scienza” e “società”, non può far altro che rendere ancor più arduo il compito dell’individuazione di un’unica dicitura che sia in grado di mettere tutti d’accordo.

Diciamo fin d’ora che per quanto riguarda la società, con un po’ di riflessione, si può senz’altro ottenere una definizione piuttosto soddisfacente; ma il voler elevare la sociologia al rango di scienza è una pretesa davvero eccessiva. Cerchiamo di capire il perché...


Che cos'è la società?

Affinché vi sia una società, intesa nel senso intuitivo del termine, è evidente che debbano esserci degli "esseri viventi" che interagiscono in base al loro "pensiero". 

Osserviamo, però, che queste interazioni non potrebbero avvenire se quegli individui non operassero all'interno di un qualche genere di "ambiente". 

A rigor di logica, non si può escludere né che gli esseri viventi interagiscano anche con l'ambiente, e non solo tra di loro, né che l'ambiente sia anch'esso un essere vivente. 

Vi è poi un'altra situazione, ancor più controintuitiva, ovvero che, in realtà, sia l'ambiente, che gli esseri viventi, siano manifestazioni individualizzate di una medesima sostanza dotata di una qualche forma di pensiero. 

Chi non gradisce questi termini filosofici, pensi pure ad un campo energetico unificato regolato da leggi, così come potrebbe intenderlo un fisico. In tal caso, la sostanza sarebbe l'energia ed il pensiero verrebbe ad identificarsi con le leggi fisiche che ne regolano il funzionamento. 

Tenuto conto di queste riflessioni, possiamo sostenere che la società è un sistema complesso composto da un ambiente popolato da individui che mettono in atto delle interazioni operando sulla base del proprio livello di pensiero.

Non serve molto per rendersi conto che la precedente dicitura è così generale da riuscire ad includere non solo la società, o meglio, le organizzazioni sociali prodotte dagli esseri umani, ma anche le società originate dagli animali e dalle piante, oltre alla realtà sociale complessiva che scaturisce dalle interazioni tra queste forme di vita ed il regno inorganico che forma il pianeta Terra. 

Per essere ben posta, la precedente definizione richiede di specificare chi siano gli individui e quale sia l'ambiente; ciò detto, essa sussiste per le società prodotte da un qualsiasi insieme di esseri viventi, dove con questi termini ci si riferisce agli elementi facenti parte di una o più collettività che siano in grado di operare sulla base di una qualche forma di pensiero.

Con queste precisazioni la definizione appena enunciata include anche il caso di società organizzate, o partecipate, da robot dotati di un qualche livello d'intelligenza artificiale. Del resto, anche una semplice automazione agisce in base a quello che si potrebbe intendere come il suo “pensiero”.

Ma la medesima definizione continuerebbe ad esser valida anche se si prendessero in esame i comportamenti e le interazioni con gli esseri umani di civiltà extraterrestri e/o di esseri spirituali che "vivono" in una realtà metafisica.

Tutto ciò a riprova della bontà di quanto è stato appena formulato. Del resto ogni forma di vita dà origine ad un certo ordine sociale e quindi è il minimo che si possa chiedere che una buona definizione di società “funzioni” a prescindere dalla natura dei membri che producono quelle realtà.

Per i nostri scopi tutto ciò è più che sufficiente. Possiamo quindi occuparci della presunta scientificità della sociologia.


La sociologia è una scienza?

Qualche riga fa, abbiamo detto che prima di affermare che la sociologia è una scienza, ammesso che lo sia effettivamente, bisognerebbe intendersi su che cos'è la scienza.

Per rispondere in modo soddisfacente a questa domanda si dovrebbe disporre di un criterio di demarcazione condiviso, mediante il quale stabilire i “confini” tra ciò che è scienza e ciò che non lo è. 

Sfortunatamente il cosiddetto “problema della demarcazione” non è ancora stato risolto. 

Ciò significa che per appurare l'eventuale scientificità della sociologia bisogna analizzare l'appartenenza di questa disciplina ad alcune categorie significative, per vedere se essa esibisce, oppure no, quelli che potrebbero essere considerati come i tratti caratteristici della scienza.

A tal fine, può essere utile introdurre la seguente tripartizione tra scienza esatta, dura e molle.

Diciamo “esatta” una disciplina che, con i suoi metodi, è in grado di raggiungere la verità e di rispondere ai quesiti di pertinenza del proprio ambito con assoluto rigore, dando risultati certi, misurabili, riproducibili ed esprimibili in modo analitico ed oggettivo.

Diciamo “dura” una disciplina che sviluppi conoscenza basandosi su fatti, osservazioni ed esperimenti riproducibili, condotti con metodologie chiare e con razionalità, effettuando misurazioni fisiche ed elaborazioni logiche, matematiche e statistiche, al fine di formulare, corroborare e/o confutare intuizioni, asserzioni, congetture, leggi, modelli, teorie e paradigmi inerenti alla realtà, giungendo a conclusioni che tipicamente si accordano con i fenomeni ed esibiscono un carattere quantitativo e predittivo.

Diciamo “molle” una disciplina la cui attività di ricerca, avente l'obiettivo di scoprire, interpretare, confutare e revisionare fatti, eventi, comportamenti, leggi e teorie relative a qualunque ambito della conoscenza e dell'esperienza, per qual si voglia motivo, non viene (interamente) condotta con i metodi delle cosiddette scienze dure. Ciò, ad esempio, può accadere perché tali metodi non sono ritenuti soddisfacenti o, addirittura, non possono essere applicati, in quanto il campo di ricerca indagato è al di fuori della loro portata. 

Osserviamo, en passant, che una scienza esatta è, a maggior ragione, anche una scienza dura, ma il viceversa non sussiste, perché si può provare che l'applicazione dei metodi della scienza dura non è sufficiente per raggiungere la verità.

Infatti, la conoscenza prodotta da una scienza così intesa ripone le sue fondamenta sull'induzione, ma questo basamento è tutt'altro che granitico. 

Da un punto di vista logico, non vi è alcuna garanzia che una teoria formulata considerando un numero finito di occorrenze sia vera, e non si può esser certi della sua veridicità neanche dopo averla impiegata per effettuare previsioni puntualmente avveratesi.

Ciò accade perché il disporre di un numero finito di evidenze positive, per quanto grande esso sia, non è sufficiente per ottenere una dimostrazione rigorosa.

Lo ha appreso, suo malgrado, il celebre Tacchino induttivista, ideato dal logico Bertrand Russell per spiegare i limiti della conoscenza induttiva, quando, un giorno, dopo aver raccolto e analizzato in modo paziente ed oculato una lunghissima casistica di evidenze empiriche, s'illuse d'esser in grado di prevedere il futuro e formulò una teoria ottenuta con la seguente inferenza induttiva:

«Siccome fino ad oggi ho sempre ricevuto il cibo alle nove del mattino, allora posso esser certo che continuerò a ricevere il cibo ogni giorno alla medesima ora». Una previsione che si rivelò incontestabilmente falsa la vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.

Questa storia ci aiuta a comprendere che una teoria non può essere verificata empiricamente, a prescindere dal fatto che essa scaturisca da una pura intuizione e/o dall'analisi di un'enorme casistica di dati empirici. 

Ciò detto, se per scienza s'intende una disciplina che disponga di un “metodo” per stabilire quale sia la verità, allora questa scienza non è di certo la sociologia, né la fisica, ma la matematica.

In tutta la mia esistenza non ho mai visto due matematici litigare, per il semplice fatto che essi sono abituati a dimostrare in modo rigoroso le verità della matematica. 

E quando i matematici non riescono a provare le loro opinioni hanno l’onestà intellettuale di ammettere che ciò che vanno sostenendo sia soltanto una congettura, rispetto la quale non si è ancora riusciti a stabilire se essa, in realtà, sia vera o falsa, o se sia possibile o meno compiere tale impresa. 

La matematica è così onesta da esibire addirittura i suoi limiti: nel 1931, infatti, è stato provato, da quello che in molti reputano essere il più grande logico di tutti i tempi, Kurt Gödel, che, sotto certe condizioni, esistono verità indimostrabili

Ma anche l'indimostrabilità va provata, altrimenti si ricadrebbe nel campo delle opinioni. E come insegna Euclide, ciò che è affermato senza prova, può essere negato senza prova!

Che il teorema di Pitagora sussista all'interno della geometria euclidea è una verità appurata, al di fuori di ogni discussione. In tal senso, la matematica è una scienza esatta. E per quanto ne sappiamo ad oggi, non è esagerato congetturare che essa sia l'unica scienza esatta. 

Non a caso il Principe dei matematici, Carl Friedrich Gauss, definì la matematica come la regina delle scienze. I matematici, però, non indagano la realtà fisica, ma una realtà metafisica, perché è proprio lì che “vive” la verità. 

Alcuni ritengono che le verità della matematica esistano di per sé, a prescindere dal fatto che un matematico fornisca una dimostrazione che le riguarda e che qualche genere di essere vivente abbia, o non abbia, consapevolezza che esse esistano e siano vere.

Di solito, però, quando si parla di scienza, si ha in mente un'attività volta a stabilire un sapere intersoggettivamente valido riferito al mondo fisico, che magari sia ottenuto sulla base di fatti, misurazioni ed esperimenti. 

In tal caso, la regina delle scienze andrebbe individuata nella fisica e sarebbe naturale sostenere che essa sia la scienza dura per eccellenza.

Come abbiamo già ricordato, vi è una differenza sostanziale tra una scienza dura, come la fisica, ed una scienza esatta, come la matematica: mentre i matematici raggiungono la verità, dimostrandola, gli scienziati, con i loro metodi, sono condannati all'ignoranza della verità.

Seppure, in qualche modo, essi raggiungessero la verità, non riuscirebbero a provarlo, quindi, a differenza dei matematici, non potrebbero esserne pienamente consapevoli: è questa la limitazione a cui devono sottostare gli scienziati.

Il massimo che essi possono fare, se sono intellettualmente onesti, è di assumere come valide, e non vere, le loro teorie, fin quando qualcun altro non riuscirà a confutarle e/o a sviluppare delle concezioni ad esse "superiori", perché le nuove formulazioni, esibendo un maggior potere esplicativo e/o predittivo, hanno maggiori qualità epistemiche, o perché, risultando più semplici e/o eleganti rispetto alle precedenti, hanno delle qualità super-epistemiche maggiormente desiderabili.

In molti credono che la scienza sia vera perché, di fatto, funziona. Essi ritengono che siccome il loro computer è stato costruito grazie alle conquiste della scienza, allora ciò che dice la scienza corrisponde alla verità.

Ma su questo aspetto bisogna fare molta attenzione, perché il fatto che una teoria “funzioni” da un punto di vista concreto, non implica logicamente che essa sia vera. 

Esistono teorie false che consentono comunque di sviluppare tecnologia perfettamente efficiente. Inoltre, si possono portare esempi di coppie di teorie in contraddizione l'una con l'altra, che però, all'atto pratico, risultano addirittura equivalenti in termini di potere predittivo. In tal caso, è del tutto evidente che (almeno) una delle due debba essere necessariamente falsa!

Ad esempio, quando Guglielmo Marconi realizzò uno dei suoi più celebri esperimenti, che gli consentì di inviare informazioni a grande distanza senza fili, lo fece credendo (erroneamente) che le onde elettromagnetiche si propagassero seguendo la curvatura terrestre. 

Questa teoria era falsa, infatti le onde elettromagnetiche si propagano in linea retta, ma ciò non gli impedì di realizzare con successo il suo esperimento. Com'è possibile? 

Perché la Terra è circondata dalla ionosfera che, agendo come una sorta di specchio, riflesse i segnali inviati da Marconi, consentendo che la comunicazione avvenisse anche oltre oceano!

Non essendo a conoscenza dell'esistenza della ionosfera, i più eminenti scienziati dell'epoca non diedero alcuna fiducia al giovane inventore: essi ritenevano che, a causa della curvatura terrestre, le onde elettromagnetiche si sarebbero disperse nello spazio.

Una conclusione teoricamente valida che però si rivelò empiricamente falsa. 

Ciò prova che, certe volte, un teoria falsa può comunque rendere possibile lo sviluppo di apparecchiature tecnologiche perfettamente funzionanti.

Si pensi ora al sistema tolemaico e a quello copernicano. Il primo, è un modello geometrico in cui la Terra viene posizionata al centro del sistema solare; il secondo, invece, posiziona al centro del medesimo sistema il Sole. 

La logica vuole che almeno uno tra questi due modelli sia falso, ammesso che non lo siano entrambi, perché se è vero che la Terra è posizionata al centro del Sistema solare, allora non è vero che quel luogo è occupato dal Sole. 

Eppure, introducendo un artificioso sistema basato su epicicli e deferenti, il sistema geocentrico-tolemaico è in grado di descrivere il moto dei pianeti in modo accurato tanto quanto il sistema eliocentrico-copernicano ottimizzato con l'introduzione delle orbite ellittiche calcolate sulla base delle Leggi di Keplero. 

Ciò prova che teorie incompatibili possono avere il medesimo potere predittivo, sebbene il sistema copernicano sia più semplice ed esibisca una maggiore eleganza rispetto al suo rivale.


Ma tutto ciò non ha niente a che fare con la verità, perché potrebbe darsi il caso che la teoria più complessa e meno elegante sia anche quella vera.

Il fatto che esista “il metodo scientifico” per mezzo del quale gli scienziati colgano la verità è niente di più di un luogo comune da dare in pasto alle masse per incrementare con un espediente retorico l'autorevolezza della scienza e l'autorità degli scienziati.

Basterebbe aprire un manuale di filosofia della scienza per scoprire che il metodo scientifico non esiste, e che la terminologia più adatta, ed intellettualmente onesta, per definire la conoscenza scientifica sia “sistema di credenze”.

E non c'è neanche bisogno di scomodare le più recenti tesi di Paul Feyerabend, che descrive la ricerca scientifica come un'impresa anarchica, dato che già Karl Popper, nel 1956, nel suo Poscritto alla logica della scoperta scientifica, sosteneva che non c'è alcun metodo per: scoprire una realtà scientifica; accertare la verità di un'ipotesi scientifica; stabilire se un'ipotesi è probabilmente vera. 

Essere consapevoli che la scienza, pur avendo una grande importanza per le società umane, non è detentrice della verità, è fondamentale per evitare di trasformare quella che dovrebbe essere la vera scienza, vale a dire una scienza non dogmatica sempre aperta e pronta a rimettere in discussione le sue teorie per individuare i propri errori e migliorarsi, in un bieco scientismo dogmatico, dispotico e totalitario, disposto persino ad ignorare le evidenze contrarie pur di salvare le proprie credenze, e gli interessi di chi trae vantaggio da esse, comportandosi al pari delle peggiori religioni, che, così come ogni altro gruppo di potere, non esitano a ridicolizzare, emarginare, perseguitare, torturare e uccidere, coloro che dedicano la propria esistenza alla ricerca del vero ed al conseguimento del bene comune.

Le “verità” della scienza non possono essere equiparate alle verità della matematica, perché a differenza delle prime queste ultime vengono dimostrate.

Facendo leva su questo equivoco, ho sentito pronunciare numerose volte da alcuni celebri scientisti la seguente assurdità: «La scienza non è democratica». Soltanto un completo ignorante in merito alla filosofia della scienza potrebbe asserire una simile bestialità. 

In primo luogo, si può osservare come il voler stabilire la presunta democraticità della scienza sia come discutere del sesso degli angeli, dato che la scienza non è una forma di governo; a meno che l'intento di questi "grandi" pensatori al servizio del Potere non sia proprio quello di utilizzare una falsa scienza per governare i popoli in modo assolutistico e dittatoriale.

In secondo luogo, si può notare come, per sua natura, la scienza sia assolutamente democratica, dato che le “verità” scientifiche si basano, o almeno dovrebbero basarsi, sull'accordo dei membri della comunità scientifica che le reputano tali. 

Nessun paradigma si sarebbe potuto affermare se non vi fosse stato il consenso della più ampia fetta dei ricercatori. Ma si dà il caso che questa modalità di operare sia chiaramente democratica.

E anche se ciò non fosse vero, sarebbe un gran bene per l’intera umanità se la scienza divenisse assai più democratica, libera ed aperta, del più democratico dei sistemi democratici concepibili, e cominciasse ad ascoltare, valutare, prendere in seria considerazione e finanziare, le intuizioni ed i progetti di ricerca di ogni membro della società che si contraddistingua per intelligenza ed acume, favorendo l’esercizio del libero pensiero, senza ostacolare il concepimento, l’espressione e la diffusione delle idee. Perché dico questo?

Perché la scintilla che accende le grandi rivoluzioni scientifiche, illuminando gli spiriti fino al punto d'indurre un cambio di paradigma, non scaturisce dall'azione della maggioranza degli scienziati, i quali, come insegna Thomas Kuhn, operano come dei risolutori di rompicapo, muovendosi entro i confini imposti dal paradigma dominante, ma dalle imprese individuali, o al limite di un piccolo numero di pionieri, che grazie a delle intuizioni geniali riescono ad uscire dagli schemi, “vedendo” e comprendendo cose che fino a quel momento nessun altro essere umano era riuscito nemmeno a concepire. Per avere idee geniali non è necessario essere degli scienziati, è sufficiente essere dei geni. 

All’atto pratico, è più probabile che idee rivoluzionarie provengano da individui non condizionati dalle nozioni reputate consolidate, che non dai cosiddetti esperti di settore, i quali, dopo anni di studio in un certo campo del sapere, non riescono a vedere nulla di tutto ciò che si trova al di fuori delle gabbie di pensiero in cui hanno rinchiuso le loro menti, dando per scontato e ovvio ciò che in realtà si sono soltanto illusi di sapere, adottando un approccio fideistico e divenendo vittime di quell’atteggiamento che in psicologia è noto con il nome di fissità funzionale.

Ciò detto, si può discutere se la conoscenza scaturita dall’operato della comunità scientifica rappresenti, o meno, il miglior sistema di credenze a disposizione dell’umanità, ma questa è un’altra storia, che ci condurrebbe troppo lontano dalle finalità di questo scritto, ancor più di quanto non abbiamo già fatto con la precedente digressione, sconfinando nell’ambito della filosofia della scienza...

Che la sociologia non sia una disciplina del calibro della matematica è un'ovvietà talmente evidente che non ha bisogno di esser discussa, ma non è poi così difficile provare che la sociologia non possa essere neppure una scienza dura, al pari della fisica e degli altri campi ad essa affini. Il perché è presto detto.

Uno dei capisaldi della fisica è la riproducibilità degli esperimenti. In linea di principio, ciò consente ai membri della comunità scientifica di corroborare, o smentire, i risultati che gli scienziati sostengono di aver ottenuto. Ma in generale in sociologia la riproducibilità non è data. 

Gli esperimenti sociologici riguardano i membri delle società, i quali sono esseri viventi dotati di pensiero. Ma il livello di pensiero, che determina come essi agiscono, non è una costante. Al contrario: esso varia nel tempo e nello spazio. Inoltre, di norma, i soggetti che sono stati sottoposti ad un esperimento modificano il loro pensiero a causa dell'esperienza. 

Questo significa che in sociologia non può esservi alcuna riproducibilità, perché se il medesimo esperimento venisse implementato a distanza di anni, in luoghi diversi e/o fosse riproposto agli stessi soggetti, il livello di pensiero non sarebbe più il medesimo. Di conseguenza le azioni di quegli individui non sarebbero le stesse e ciò potrebbe modificare sostanzialmente i risultati, fino ad invertire l'esito dell'esperimento.

La suddetta criticità è ancor più vera se ci si occupa degli esseri umani, i quali sono individui unici ed irripetibili. 

Supponiamo di voler condurre un esperimento sociale su di un gruppo di esseri umani. Selezionarli in Italia, non è la stessa cosa che selezionarli in Cina, se non altro perché si avrebbe a che fare con culture profondamente differenti. 

Scoprire che un campione di italiani, sotto certe condizioni, reagisce adottando alcuni specifici comportamenti, non autorizza a sostenere che le stesse dinamiche verranno messe in atto anche dai cinesi. 

Se a distanza di qualche anno si ripetesse l'esperimento nelle medesime nazioni, i risultati non sarebbero più gli stessi, perché nel frattempo il livello di pensiero sarebbe variato. La stessa cosa accadrebbe, a maggior ragione, se si riutilizzasse il medesimo gruppo di persone. 

Di norma, ciò non accade nello studio della natura. Quando i fisici teorici conducono esperimenti con gli elettroni, essi assumono (tacitamente) che i fenomeni siano retti da leggi che determinano il comportamento di quelle particelle in modo tale che ciò che accadeva nel 1970 accada ancora oggi, a prescindere dal fatto che ci si trovi al CERN di Ginevra o ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso.

L’esperienza suggerisce che, ai fini dello studio dell’elettricità, gli elettroni siano intercambiabili, ma la stessa cosa non può dirsi quando s’intende indagare un fenomeno relativo ad una società composta da esseri umani. 

In generale, infatti, ciascuna persona reagisce ai medesimi stimoli ambientali in modo dissimile rispetto alle altre e, per di più, il suo comportamento muta al variare del tempo e dell'esperienza pregressa.

Queste criticità, sebbene non siano le uniche, sono già di per sé sufficienti per decretare la non scientificità, in senso duro, della sociologia.

Ciò non impedisce di certo ai sociologi di avvalersi degli strumenti e dei risultati della scienza per effettuare studi ed analisi. Tutt'altro: essi hanno il preciso dovere di impiegare e tenere in considerazioni i mezzi ed i risultati propri degli altri campi del sapere, nel caso in cui ciò sia utile.

Ma questa accortezza, pur conferendo spessore ed autorevolezza alla sociologia, non è sufficiente per trasformarla in una scienza dura equiparabile, ad esempio, alla fisica.

Non resta che affrontare la posizione di chi ritene che la sociologia sia sì una scienza, ma una scienza cosiddetta “molle”. In tal caso, però, la discussione sarà oltremodo breve.

Ritengo infatti completamente priva di senso questa moda contemporanea di voler etichettare tutto come “scienza”, anche quando non lo è, come se ciò che non fosse scienza non avesse alcun valore (che assurdità!).

Se vi è una scienza, questa non può che essere una scienza dura, seppur con tutti i limiti ed i problemi dovuti ai suoi metodi, dei quali bisognerebbe essere consapevoli.

Se quanto è stato esposto finora è corretto, si deve convenire che, qualunque cosa sia, di certo la sociologia non è una scienza, e che quindi la definizione di sociologia intesa come “scienza della società” debba essere rigettata. 

Non che ciò rappresenti qualcosa di unico e sconvolgente di cui preoccuparsi, dato che, in verità, l'elenco delle cosiddette discipline “scientifiche”, che in realtà non lo sono affatto, è assai ampio e non include soltanto la sociologia. 

Ad esempio, nella sezione del Trattato dedicata all'economia dimostreremo come questa disciplina, così come intesa oggi, non possa definirsi scientifica, se non altro perché con i suoi modelli ignora i risultati della fisica, che invece, per quanto abbiamo sostenuto finora, è da considerarsi la scienza per eccellenza.

Vorrei sottolineare che la non scientificità della sociologia non inficia in alcun modo la sua grande importanza: neanche la filosofia è una scienza, ma ciò non gli impedisce di essere addirittura più importante della scienza stessa. 

Si consideri che la filosofia: ha generato la scienza; indaga le fondamenta della scienza; rimette in discussione le teorie scientifiche, consentendo di avanzare nel cammino della conoscenza quando gli scienziati brancolano nel buio; ammonisce gli scienziati indirizzando la scienza in direzione del bene e della verità.

In altri termini, la filosofia è madre, musa e guardiana della vera scienza. Ma questo è soltanto uno degli innumerevoli, e non meno importanti, compiti svolti dalla filosofia.

Io ritengo che una sorte analoga spetti anche alla sociologia, anche se il suo obiettivo è più specifico rispetto a quello della filosofia, e precisamente consiste nel prendersi cura della società e dei suoi membri.

In tal senso, ci si dovrebbe più propriamente riferire alla sociologia, così come da me concepita, ridefinendola come SocioSofia.

Ma che cos'è, dunque, la sociologia? O, meglio, la sociosofia?


La sociologia secondo Mariucci

La sociologia è una disciplina in cui ci si occupa di studiare, analizzare, descrivere e interpretare la società, cercando d'individuarne il funzionamento e le tendenze, mettendo in evidenza le eventuali criticità in essa presenti, al fine di concepire e proporre soluzioni per migliorare le condizioni di vita di tutti gli esseri viventi che ne fanno parte.

Molti pensatori ritengono che la sociologia debba limitarsi ad analizzare, descrivere ed interpretare la società in modo quanto più possibile distaccato ed oggettivo. E che il compito di individuare criticità e soluzioni spetti ad altri. 

Io non sono affatto d'accordo: il compito della sociologia è sì quello di studiare la società, ma per migliorarla. E non si può migliorare la società limitandosi ad evidenziare le sue criticità, senza poi indicare la via per risolverle.

La fase di osservazione, comprensione e descrizione è fondamentale per acquisire consapevolezza, ma la ricerca sociologica non deve arrestarsi a quel punto. 

Una volta che un sociologo è riuscito a penetrare nelle dinamiche della società, egli ha il preciso dovere morale, non solo di descrivere i problemi, ma anche di occuparsi dei loro rimedi.

Chi altri, se non il sociologo, potrebbe ideare e/o analizzare in modo comparato le possibili soluzioni, al fine di stabilire quale tra esse produca le migliori condizioni di vita per i membri della società?


Si pone ora una ulteriore questione: esiste un metodo, per così dire, sociologico? 

Ma anche in tal caso la risposta è negativa, tanto che si potrebbero traslare in questo ambito le tesi di Feyerabend, sostenendo che l’indagine sociologica sia essenzialmente un’impresa anarchica.


Così come accade per la scienza, dove non esiste un metodo scientifico, sebbene si possano dare delle indicazioni per fare della “buona” scienza, la stessa cosa si verifica, a maggior ragione, per la sociologia.


In generale, le società sono caratterizzate da una complessità intrinseca assai elevata. Di conseguenza, quando si tenta di analizzare e fornire dei rimedi nell'ambito della sociologia, un approccio monodisciplinare è condannato al fallimento già in partenza. 

Voler guardare la società da una sola angolazione significa esser ciechi rispetto a tutte le altre prospettive, che invece sono necessarie per raggiungere una piena comprensione della realtà.

È quindi evidente che per portare a compimento con successo l'arduo ma doveroso compito della sociologia, un sociologo, nel corso della sua ricerca, debba adottare un approccio multidisciplinare. E per farlo, dovrebbe padroneggiare quanti più campi del sapere gli è possibile.

Come minimo, un buon sociologo dovrebbe avere conoscenze sufficientemente elevate in: filosofia, logica, matematica, scienza, economia, psicologia, arte, letteratura, religione, esoterismo... e così via, perché da quante più angolazioni osserverà la società, tanto maggiore sarà la profondità delle tesi che riuscirà a sviluppare. Ciò è ancor più vero per quanto riguarda l'individuazione delle soluzioni. 

All'atto pratico, le ricette di un economista rischiano d'ignorare gli aspetti fisici e/o quelli psicologici; le proposte di un politico possono risultare eticamente discutibili e/o ecologicamente insostenibili... e così via.

Se tali soluzioni venissero attuate, risolverebbero una criticità causandone delle altre, le cui conseguenze potrebbero addirittura essere più gravi del male che s'intendeva combattere.

Che senso ha far crescere l'economia a tutti i costi per salvare un sistema economico fallimentare dalle sue evidenti contraddizioni, se poi da questa crescita non consegue una maggiore sostenibilità ambientale, un qualche incremento di tempo libero dalle costrizioni del lavoro e una maggior felicità?

Questo è ciò che accade quando si perde di vista la visione d'insieme e si dà credito a cosiddetti “esperti” che si sono altamente specializzati in un solo ambito, spingendosi fino al punto paradossale in cui si sa tutto su di un minuscolo settore e si è completamente ignoranti in tutti gli altri campi del sapere. 

Ne consegue che se si vuole seriamente ottenere qualcosa di significativo in sociologia, l'unica possibilità consiste nel remare contro corrente rispetto all'odierna tendenza volta alla cecità della specializzazione, ricominciando ad adottare un sano approccio multidisciplinare. Del resto, la sociologia, per sua natura, è una disciplina trasversale rispetto ai vari campi del sapere.

Il perché si spingano gli individui all'estrema specializzazione, in parte, ha a che fare con un discorso riguardante il controllo sociale: un esperto è un individuo che ha speso l'esistenza ad ampliare la sua conoscenza rispetto ad un solo settore, ma al di fuori di esso egli è un completo ignorante al pari di chi come lui non ha approfondito gli altri ambiti del sapere. 

Quel soggetto, però, a causa dei suoi titoli altisonanti, si crede più intelligente rispetto alla media. Ma nella maggior parte dei casi basta porgli qualche domanda al di fuori del suo campo di studi per smascherare la sua pochezza cognitiva. Così facendo quell'individuo non riuscirà a comprendere le vere dinamiche della società e sarà facilmente controllabile.

Oggigiorno i ricercatori devono sfornare articoli come fossero file di pane, se vogliono, prima, vincere i concorsi e, poi, continuare a fare ricerca, agendo secondo l'imperativo categorico dell'odierna scienza: publish or perish! (pubblica o muori!). Si tratta di un'ottima ricetta per produrre montagne di pubblicazioni insignificanti, ostacolando il conseguimento di risultati profondi ed importanti. 

E come se non bastasse, la maggior parte di essi, per farsi pubblicare i propri articoli e riuscire così a portare a casa uno stipendio, deve sottostare alle pretese delle riviste scientifiche e dei finanziatori: questo è quanto di meglio si possa chiedere per far sì che la ricerca non compia più quella che invece dovrebbe essere la sua vera missione.

Tutto ciò è ancor più vero per i sociologi: fin tanto che essi continueranno ad effettuare le loro piccole ricerchine in un minuscolo ambito, producendo decine di pubblicazioni scientifiche all'anno, che per forza di cose saranno di basso livello, non riusciranno mai e poi mai a comprendere le dinamiche complessive del sistema sociale in cui vivono, e ancor meno saranno in grado di rimetterlo in discussione nella sua totalità, donando all'umanità una nuova visione del mondo, perché una simile impresa richiederebbe anni e anni di lavoro.

In molti ritengono, erroneamente, che per diventare un sociologo sia sufficiente laurearsi in sociologia. Ma così come l'essere laureati in matematica non è né necessario, né sufficiente per trasformare un individuo in un matematico, allo stesso modo accade per i laureati in sociologia. Come sosteneva Alfréd Rényi, un matematico, per dirsi tale, deve convertire caffè in teoremi.

Un sociologo, invece, dovrebbe concepire idee per trasformare in meglio la realtà, convertendo cioccolato in utopie.

Purtroppo, ad oggi, nella quasi totalità dei casi, neppure i ricercatori universitari ed ancor meno i professori di sociologia sono dei veri sociologi: i primi, perché con le loro ricerche non servono l’umanità, ma rispondono agli interessi dei loro committenti; i secondi, perché, dopo anni e anni di studio forzoso finalizzato al superamento di futili esami, non sanno far altro che ripetere a memoria le tesi sviluppate da altri pensatori.

Chi può dirsi, dunque, sociologo? O, meglio, sociosofo?

Chiunque scelga di dedicarsi alla sociologia in modo disinteressato, tentando, con le proprie ricerche riguardanti la società, di migliorare le condizioni di vita di tutti gli esseri viventi, servendo sempre il bene e la verità.

Mirco Mariucci

Fonti:

Sociologia
Filosofia della scienza
  • Scientismo. Wikipedia.https://it.wikipedia.org/wiki/Scientismo 
  • Scientismo. Enciclopedia Treccani.http://www.treccani.it/enciclopedia/scientismo/ 
  • Il primo libro di filosofia della scienza, di Samir Okasha e M. Di Francesco, 2006.
  • Filosofia della scienza, di James Ladyman e T. Piazza, 2007.
  • Poscritto alla logica della scoperta scientifica. Il realismo e lo scopo della scienza, di Karl R. Popper, Bartley W. W. III, 2009.
  • La struttura delle rivoluzioni scientifiche, di Thomas S. Kuhn e A. Carugo, 2009.
  • Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, di Paul K. Feyerabend e L. Sosio, 2013.


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