Tratto dal saggio L'illusione della libertà, disponibile in download gratuito al seguente indirizzo.
È veramente stupefacente che pur disponendo di sofisticate automazioni e complessi algoritmi d'intelligenza artificiale gli esseri umani dedichino ancora così tanto tempo al lavoro.
Ancor più sensazionale è il fatto che gli stessi lavoratori temano a tal punto di rimanere disoccupati, da sperare che i processi produttivi non vengano automatizzati.
Ma il colmo dei colmi è che anche i lungimiranti sindacalisti, che in teoria dovrebbero prodigarsi per tutelare i lavoratori, accettino l'avvento delle automazioni consapevoli del fatto che comporterà un esclusivo vantaggio per gli sfruttatori; o peggio ripudino anch'essi l'automatizzazione dei processi, invece di organizzare una ben più desiderabile alternativa, nella quale i moderni mezzi produttivi automatici, strappati dal dominio dei capitalisti, siano finalmente impiegati per ridurre il lavoro umano, pur continuando ad assicurare un reddito decoroso ai lavoratori.
È del tutto evidente che anche il sindacato sta dalla parte dei capitalisti e ne rappresenta un braccio operativo, il cui compito è fare in modo che i subordinati tollerino la moderna schiavitù lavorativa servendo i loro padroni senza fiatare, invece d'ambire all'emancipazione e alla libertà.
Chiunque affermi di voler difendere il "diritto al lavoro" fa sempre riferimento al primo articolo della costituzione italiana, dimenticandosi puntualmente di tutelare il "diritto alla felicità", che invece dovrebbe essere il vero diritto sul quale fondare la costituzione di ogni paese del mondo.
Un individuo che per sopravvivere deve vendere il proprio tempo, asservendosi nei confronti dei detentori di capitale, non può definirsi libero ma schiavo, e tanto meno riuscirà a essere felice, perché la libertà è una condizione necessaria per la felicità.
Molte pagine della costituzione odorano di cattolicesimo e capitalismo. Leggendole ci si accorge che sono state scritte in modo tale da curare gli interessi del potere nelle sue molteplici forme.
I capitalisti avevano un gran bisogno di una massa d'individui acritici, docili e ubbidienti, disposti a sacrificare la propria vita per soddisfare le loro ignobili esigenze di potere e di profitto.
Per ottenere tal fine, in passato ricorsero all'azione coercitiva diretta basata sull'uso della forza, fin quando non intuirono che per fare in modo che gli esseri umani si procurassero autonomamente il proprio asservimento, la strategia più efficiente consisteva nel trasformare la schiavitù in una scelta libera e volontaria, facendo credere alla massa che lavorare fosse un diritto sacrosanto, sancito addirittura dalla costituzione, con tanto di sindacalisti che si battono per difendere l'opportunità di essere un moderno schiavo salariato.
Serviva un apposito sistema scolastico la cui frequentazione doveva essere obbligatoria per manipolare al meglio le menti delle nuove generazioni;
si doveva diffondere la convinzione che fosse giusto e doveroso sacrificare il tempo della vita per un lavoro insensato e disumano, offerto da una minoranza di sfruttatori parassitari che inseguono il proprio profitto;
Il sistema scolastico avrebbe anche dovuto fornire gli strumenti conoscitivi per trasformare gli studenti in schiavi provetti, e per far questo era necessario tenerli al riparo dallo scetticismo, dalla logica-razionale, dalla creatività e dall'esercizio del libero pensiero;
la scuola avrebbe dovuto allenarli al rispetto e alla sottomissione nei confronti dell'autorità, insegnando loro a obbedire senza discutere, a competere e a inseguire degli obiettivi distorti.
È così che si realizza un ambiente socio-culturale auto-stabilizzante composto da individui non pensanti, pronti a sprecare la propria vita nelle aziende.
I prigionieri si trasformano in guardiani di se stessi, carcerati in grado di rinchiudersi autonomamente in cella e che agiscono affinché tutti gli altri subiscano la medesima sorte.
La massa deve schernire, avvilire, punire e isolare le pecore nere che ripudiano la moderna schiavitù del lavoro e riescono ancora a immaginare la libertà per se stesse e per l'intera umanità.
Se tutto ciò poi non dovesse bastare, il tipico ricatto capitalistico, che costringe a procurarsi il denaro per non morire di fame, sarà sufficiente a riportare sulla "retta via" quella sparuta minoranza d'individui che sono riusciti a mantenere intatte le loro capacità cognitive: la via dell'asservimento nei confronti del capitale.
Il sistema trasforma gli esseri umani in automazioni che svolgono il lavoro al posto delle macchine e dei software d'intelligenza artificiale, sperimentando un'esistenza insensata in quella che potremmo definire, senza esagerazioni, una follia sociale, nella quale il malessere psico-fisico ed esistenziale dovuto a un lavoro contro natura e non più necessario, diviene un'auspicabile ambizione.
Il sindacato incalza: «bisogna garantire a tutti un lavoro a tempo pieno, perché il lavoro è dignità, il lavoro rende liberi!».
In verità il punto nodale non è dare a tutti un lavoro a tempo pieno, ma fare in modo che ogni essere umano possa sperimentare le condizioni necessarie per vivere felicemente la propria esistenza, e si dà il caso che per essere felici si debba innanzitutto essere liberi.
Ma se a causa dei vincoli imposti dall'odierna organizzazione del mondo del lavoro non siamo nemmeno padroni del nostro tempo, come possiamo sostenere di essere liberi?
Per quanto il sistema s'impegni per farci credere il contrario, trascorrere 8-10 ore al giorno all'interno di un'azienda per guadagnarsi da vivere, senza considerare spostamenti, straordinari e pause pranzo lontano da casa, non significa essere liberi ma schiavi.
Siamo naturalmente incompatibili con il grigiore delle aziende, con gli obblighi e le costrizioni del lavoro subordinato, perché abbiamo trascorso milioni di anni tra il verde delle foreste, nella più totale libertà e assenza di ogni tipo di confine al di fuori di quello dovuto a un limpido cielo blu.
Non ci siamo evoluti all'interno delle fabbriche come schiavi del capitale, ma come esseri liberi di vivere la vita, immersi nella bellezza della natura.
Anche per questo il lavoro demandato dai padroni ai propri dipendenti, che guarda caso quegli sfruttatori si guardano bene dal compiere in prima persona, induce problemi psico-fisici di vario genere.
L'odierna concezione del lavoro è antitetica al raggiungimento della felicità perché il lavoro non è affatto organizzato pensando a quel fine, ma mira a curare gli interessi del capitale.
Non solo il lavoro insegue dei fini distorti, ma è organizzato nel peggiore dei modi possibili, ignorando le sterminate potenzialità offerte dalle moderne conoscenze scientifico-tecnologiche.
Viviamo nel tempo in cui le macchine stanno iniziando a pensare, ma l'idea più intelligente che l'essere umano medio riesce a concepire è quella di una società che si auto-condanna a un lavoro totalizzante, nonostante gli odierni apparati tecnologici potrebbero tranquillamente svolgere quei compiti in modo autonomo e decisamente più efficiente.
Abbiamo mezzi e conoscenze per assicurare libertà e abbondanza all'umanità, ma continuiamo a vivere in una società dove regnano lo sfruttamento, la povertà e un'odiosa costrizione nei confronti del lavoro.
Stiamo sfruttando le potenzialità delle moderne conoscenze scientifico-tecnologiche come farebbero dei perfetti idioti; è come se i contadini del passato avessero rigettato l'uso dell'aratro tirato dai buoi per paura di perdere il loro lavoro, che consisteva nel dover arare a mano i campi.
Non ci sono casse automatiche nei supermercati ma commesse che sprecano la loro vita davanti a una calcolatrice semi-automatica e devono anche esser grate per questo, perché altrimenti resterebbero senza uno stipendio.
Abbiamo mezzi e conoscenze per eliminare, o quasi, l'obbligo del lavoro umano, pur consentendo a tutti di disporre gratuitamente di beni e servizi di elevata qualità;
solo che, a forza di pensare solo a soluzioni basate sul: lavorare per forza, lavorare di più e creare più lavoro, siamo diventati ciechi a tutte le altre possibilità che, come è ben evidente, sono di gran lunga migliori.
Non si tratta di aumentare il lavoro per garantire un'occupazione a tempo pieno a tutti, ma di aumentare l'efficienza diminuendo il lavoro umano scaricandolo sulle macchine, ambendo, in prospettiva, alla piena disoccupazione, pur fornendo a tutti ciò di cui hanno bisogno per vivere.
Per quanto strana e paradossale possa apparire, questa idea oggi è fisicamente realizzabile e quindi possibile, a patto che ci sia una volontà comune orientata in quella direzione. Ma allora perché le automazioni ci appaiono così tanto minacciose?
Il fatto è che l'attuale sistema economico non è in grado di distribuire a vantaggio di tutti gli incrementi di efficienza dovuti all'automatizzazione dei processi produttivi e di fornitura dei servizi.
Se immaginiamo d'introdurre in una fabbrica un braccio robotico in grado di compiere i medesimi compiti di un certo numero di esseri umani, la soluzione più sensata sarebbe di ridurre, in qualche misura, il lavoro agli operai, mantenendo il loro stipendio invariato;
invece, il capitalista licenzia i lavoratori in eccesso e mantiene il profitto per sé, mentre tutti gli altri continuano a lavorare 8 ore, esattamente come prima.
Bene che vada, se il capitalista intuisce che ci sono spazi per vendere più prodotti sul mercato, può scegliere di non licenziare aumentando la produzione sfruttando la maggiore efficienza dovuta alle macchine. Così facendo non si crea disoccupazione, ma ancora una volta l'orario di lavoro resta invariato e il profitto finisce nelle sue tasche, invece che in quelle dei lavoratori.
In generale i nuovi disoccupati devono trovarsi degli altri lavori che però, a causa delle automazioni, tenderanno a diminuire sempre di più in ogni settore.
Si chiama disoccupazione tecnologica e rappresenta una dinamica in crescente aumento. Senza applicare alcuna contromisura, sempre più persone resteranno per forza di cose disoccupate perché, in futuro, le macchine svolgeranno una quota sempre maggiore di lavoro al posto degli esseri umani.
A questo punto interviene la soluzione classica che prescrive di creare più lavoro per ridurre nuovamente l'intera umanità in schiavitù, invece di sfruttare le potenzialità della tecnologia in modo intelligente per assicurare a tutti libertà e abbondanza.
Per far ciò, l'economista classico, che ha una mente talmente condizionata da non consentirgli di concepire soluzioni alternative, consiglia immancabilmente di spingere sulla crescita dell'economia, costi quel che costi, una strategia insensata che crea più danni che guadagni.
È vero, forzare la produzione e il consumo di beni e di servizi, significa anche aumentare la richiesta di lavoro. Così facendo si può riuscire a tamponare l'emorragia della disoccupazione.
Ma i lungimiranti strateghi dediti al profitto stanno commettendo un grossolano errore nelle loro valutazioni dimenticandosi d'inserire una variabile fondamentale, che invece dovrebbe essere evidente data la sua macroscopica rilevanza: l'insostenibilità del modello attuale.
L'incremento della produzione e del consumo di beni e servizi comporta inevitabilmente anche un maggior impiego di risorse, energia e un ulteriore aggravio per quanto riguarda l'inquinamento ambientale, il tutto in un ecosistema già sull'orlo del collasso.
In questo modo, per giunta, l'asservimento degli individui nei confronti del lavoro non viene ridotto, ma al contrario, risulta scientemente aumentato.
In sintesi, qualora il piano scellerato riuscisse, contribuirebbe a inquinare ancora di più l'ambiente, aumentare l'insostenibilità globale, consumare un maggior quantitativo di risorse e a mantenere in condizione di schiavitù lavorativa l'intera umanità, non perché ce ne sia una reale necessità, ma perché l'odierno sistema economico funziona così, e quindi decidiamo stupidamente di mantenerlo in essere invece di cambiarlo, conservando e subendo tutte le sue storture, inefficienze e devastazioni.
Com'è possibile che simili dinamiche siano ritenute adatte a "salvare" l'umanità? È del tutto evidente che non può essere questa la miglior soluzione possibile!
Ma gli economisti hanno studiato questa strategia in tutte le università del mondo, non sarete mica così pazzi da rimettere in discussione questa verità di fede?
E invece sì!
Non possiamo continuare ad adottare le stesse logiche che hanno causato i problemi attuali, sperando che questa volta gli effetti collaterali non si ripresentino.
E questa volta nelle dinamiche del gioco bisogna anche introdurre una novità: l'avvento delle automazioni e dei sistemi di intelligenza artificiale.
Prima delle rivoluzioni industriali quasi tutta la popolazione doveva occuparsi di agricoltura per sfamarsi; oggi invece, grazie alle macchine agricole, il lavoro del 3% circa della popolazione è sufficiente per soddisfare la domanda dell'intera collettività.
Mano a mano che la necessità di forza lavoro umana nel settore primario diminuiva, i nuovi disoccupati venivano riassorbiti dall'industria.
Ben presto, però, anche l'industria iniziò ad automatizzarsi.
L'introduzione delle dinamiche di iper-consumo rallentò il processo di diminuzione del lavoro umano necessario, ma nonostante tutto in molti rimasero disoccupati. Il sistema riassorbì la forza lavoro disponibile nel settore dei servizi.
Ma oggi anche i servizi iniziano a essere svolti sempre più da sistemi automatizzati di tipo informatico, e questa volta non esiste un "quarto settore" sul quale far ripiegare i nuovi disoccupati tecnologici, che così, senza alcuna contromisura, entreranno definitivamente nel mondo della disoccupazione.
In futuro le automazioni e le applicazioni d'intelligenza artificiale sostituiranno sempre più gli esseri umani nelle attività lavorative, la disoccupazione aumenterà, fin quando, in prospettiva, non ci sarà più bisogno di lavoro umano, o quasi.
Ci dispiace tanto per gli economisti ma a un certo punto le soluzioni classiche che predicano di aumentare il PIL per creare nuovo lavoro non saranno più attuabili, e non solo per un discorso di sostenibilità ambientale.
Si può far crescere l'economia quanto si vuole, ma se il lavoro umano non è più necessario, in quanto svolto dalle automazioni, gli esseri umani continueranno a restare disoccupati.
Anche per questo serve una nuova concezione del mondo del lavoro e dell'economia.
Continuano a riemergere argomentazioni di persone che sostengono che la tecnologia e il progresso siano nemiche dei lavatori, perché "rubano" il lavoro.
Pura follia. Ci sono a disposizione conoscenze e tecnologie sufficienti per liberare gli esseri umani dall’asservimento del lavoro pur garantendo a tutti beni e servizi, e noi vorremmo seriamente perdere una così straordinaria occasione da sfruttare a vantaggio dell'intera umanità?
L'obiettivo di liberare gli esseri umani dalla costrizione al lavoro rappresenta un passo fondamentale nel percorso del raggiungimento del benessere collettivo che deve essere razionalmente perseguito.
Il lavoro dovrebbe essere reso quanto più possibile automatizzato, e le mansioni residue dovrebbero essere ripartite su tutti gli esseri umani che possono effettivamente lavorare, eliminando così definitivamente anche il falso problema della disoccupazione.
Altro che nemica dei lavoratori, la tecnologia rappresenta la chiave per liberare l'umanità dall'asservimento lavorativo. Bisogna soltanto far attenzione affinché il processo avvenga in modo opportuno nell'interesse comune e non in nome del profitto di una élite, come già accaduto in passato e come purtroppo sta ancora accadendo.
C'è una forte necessità di ripensare le logiche del mondo del lavoro che non sono più in grado di stare al passo con i tempi, in modo tale che l'umanità possa cogliere le grandi opportunità concesse dall'avvento delle automazioni. Non abbiamo bisogno di un nuovo luddismo1, ma d'impiegare la tecnologia in modo intelligente per migliorare le condizioni di vita di tutti.
Si capisce immediatamente perché l'introduzione delle automazioni rappresenti ancora oggi un gravoso problema invece che una soluzione desiderabile:
anziché indurre una qualche diminuzione dell'orario di lavoro a stipendio invariato - un'operazione fattibile visto che lavorano le automazioni al posto degli operai e ci sono anche i profitti, al netto dei costi d'ammortamento dei macchinari - di fatto, la maggiore efficienza dovuta all'introduzione delle macchine si trasforma in disoccupazione per i lavoratori e maggior profitto per una minoranza d'individui, vale a dire i proprietari dei mezzi di produzione.
Ma allora si comprendono anche le soluzioni al falso problema dovuto a un crescente impiego delle automazioni:
1) l'introduzione di una maggiore efficienza e l'automatizzazione per quanto riguarda i processi di produzione/fornitura di beni e servizi, non devono significare licenziamenti ma diminuzione obbligatoria dell'orario di lavoro a stipendio costante (in qualche misura);
2) i mezzi di produzione non devono essere di proprietà di una minoranza che li usa per il profitto personale, ma della collettività che li utilizza per fini di benessere collettivo.
La differenza è sostanziale: in un ipotetico mondo dominato dall'élite capitalistica, dove le macchine realizzano e forniscono i beni e i servizi in modo autonomo, i lavoratori assumerebbero un ruolo ancor più marginale e il tutto andrebbe a esclusivo vantaggio di una minoranza: sarebbe un disastro totale!
Se invece le macchine fossero di proprietà della collettività, o di gruppi locali, e venissero utilizzate per realizzare e fornire beni e servizi in modo automatico e in quantità tali da poter essere dati/forniti in modo gratuito a tutti, allora i lavoratori assumerebbero un ruolo centrale e i vantaggi non sarebbero più di una minoranza ma della collettività.
Prodotti gratis? Certo, con una produzione automatizzata scientificamente tarata per soddisfare le esigenze di tutti non avrebbe più alcun senso pretendere un prezzo in cambio dei prodotti ma, al limite, solo un piccolo contributo lavorativo, in termini di competenze e di tempo esistenziale, per far sì che il sistema funzioni correttamente e/o venga ottimizzato.
Possiamo continuare a vivere in una società che legittima la proprietà dei mezzi di produzione a una élite, avida e parassitaria, che li sfrutta scientemente per esercitare il dominio sul resto della collettività, inseguendo il miope e deleterio obiettivo del profitto individuale;
oppure, volendo, potremmo ripensare le regole del gioco, attribuendo la proprietà dei mezzi di produzione alla collettività, decidendo di utilizzare le automazioni in modo intelligente, per realizzare i beni e i servizi di cui tutti hanno bisogno per vivere dignitosamente e per minimizzare il lavoro umano, iniziando a perseguire un ideale di uguaglianza e libertà, senza più guardare al profitto ma al raggiungimento della felicità dell'intera umanità.
Solo allora potremmo affermare: «I robot ci stanno rubando il lavoro? Era ora!».
Mirco Mariucci
Se le idee contenute in questo saggio ti sono piaciute, puoi acquistare o scaricare gratuitamente la raccolta completa delle riflessioni di Mirco Mariucci al seguente indirizzo.
Disoccupazione e tecnologia: come utilizzare i robot a vantaggio dell'intera umanità.
È veramente stupefacente che pur disponendo di sofisticate automazioni e complessi algoritmi d'intelligenza artificiale gli esseri umani dedichino ancora così tanto tempo al lavoro.
Ancor più sensazionale è il fatto che gli stessi lavoratori temano a tal punto di rimanere disoccupati, da sperare che i processi produttivi non vengano automatizzati.
Ma il colmo dei colmi è che anche i lungimiranti sindacalisti, che in teoria dovrebbero prodigarsi per tutelare i lavoratori, accettino l'avvento delle automazioni consapevoli del fatto che comporterà un esclusivo vantaggio per gli sfruttatori; o peggio ripudino anch'essi l'automatizzazione dei processi, invece di organizzare una ben più desiderabile alternativa, nella quale i moderni mezzi produttivi automatici, strappati dal dominio dei capitalisti, siano finalmente impiegati per ridurre il lavoro umano, pur continuando ad assicurare un reddito decoroso ai lavoratori.
È del tutto evidente che anche il sindacato sta dalla parte dei capitalisti e ne rappresenta un braccio operativo, il cui compito è fare in modo che i subordinati tollerino la moderna schiavitù lavorativa servendo i loro padroni senza fiatare, invece d'ambire all'emancipazione e alla libertà.
Chiunque affermi di voler difendere il "diritto al lavoro" fa sempre riferimento al primo articolo della costituzione italiana, dimenticandosi puntualmente di tutelare il "diritto alla felicità", che invece dovrebbe essere il vero diritto sul quale fondare la costituzione di ogni paese del mondo.
Un individuo che per sopravvivere deve vendere il proprio tempo, asservendosi nei confronti dei detentori di capitale, non può definirsi libero ma schiavo, e tanto meno riuscirà a essere felice, perché la libertà è una condizione necessaria per la felicità.
Molte pagine della costituzione odorano di cattolicesimo e capitalismo. Leggendole ci si accorge che sono state scritte in modo tale da curare gli interessi del potere nelle sue molteplici forme.
I capitalisti avevano un gran bisogno di una massa d'individui acritici, docili e ubbidienti, disposti a sacrificare la propria vita per soddisfare le loro ignobili esigenze di potere e di profitto.
Per ottenere tal fine, in passato ricorsero all'azione coercitiva diretta basata sull'uso della forza, fin quando non intuirono che per fare in modo che gli esseri umani si procurassero autonomamente il proprio asservimento, la strategia più efficiente consisteva nel trasformare la schiavitù in una scelta libera e volontaria, facendo credere alla massa che lavorare fosse un diritto sacrosanto, sancito addirittura dalla costituzione, con tanto di sindacalisti che si battono per difendere l'opportunità di essere un moderno schiavo salariato.
Serviva un apposito sistema scolastico la cui frequentazione doveva essere obbligatoria per manipolare al meglio le menti delle nuove generazioni;
si doveva diffondere la convinzione che fosse giusto e doveroso sacrificare il tempo della vita per un lavoro insensato e disumano, offerto da una minoranza di sfruttatori parassitari che inseguono il proprio profitto;
Il sistema scolastico avrebbe anche dovuto fornire gli strumenti conoscitivi per trasformare gli studenti in schiavi provetti, e per far questo era necessario tenerli al riparo dallo scetticismo, dalla logica-razionale, dalla creatività e dall'esercizio del libero pensiero;
la scuola avrebbe dovuto allenarli al rispetto e alla sottomissione nei confronti dell'autorità, insegnando loro a obbedire senza discutere, a competere e a inseguire degli obiettivi distorti.
È così che si realizza un ambiente socio-culturale auto-stabilizzante composto da individui non pensanti, pronti a sprecare la propria vita nelle aziende.
I prigionieri si trasformano in guardiani di se stessi, carcerati in grado di rinchiudersi autonomamente in cella e che agiscono affinché tutti gli altri subiscano la medesima sorte.
La massa deve schernire, avvilire, punire e isolare le pecore nere che ripudiano la moderna schiavitù del lavoro e riescono ancora a immaginare la libertà per se stesse e per l'intera umanità.
Se tutto ciò poi non dovesse bastare, il tipico ricatto capitalistico, che costringe a procurarsi il denaro per non morire di fame, sarà sufficiente a riportare sulla "retta via" quella sparuta minoranza d'individui che sono riusciti a mantenere intatte le loro capacità cognitive: la via dell'asservimento nei confronti del capitale.
Il sistema trasforma gli esseri umani in automazioni che svolgono il lavoro al posto delle macchine e dei software d'intelligenza artificiale, sperimentando un'esistenza insensata in quella che potremmo definire, senza esagerazioni, una follia sociale, nella quale il malessere psico-fisico ed esistenziale dovuto a un lavoro contro natura e non più necessario, diviene un'auspicabile ambizione.
Il sindacato incalza: «bisogna garantire a tutti un lavoro a tempo pieno, perché il lavoro è dignità, il lavoro rende liberi!».
In verità il punto nodale non è dare a tutti un lavoro a tempo pieno, ma fare in modo che ogni essere umano possa sperimentare le condizioni necessarie per vivere felicemente la propria esistenza, e si dà il caso che per essere felici si debba innanzitutto essere liberi.
Ma se a causa dei vincoli imposti dall'odierna organizzazione del mondo del lavoro non siamo nemmeno padroni del nostro tempo, come possiamo sostenere di essere liberi?
Per quanto il sistema s'impegni per farci credere il contrario, trascorrere 8-10 ore al giorno all'interno di un'azienda per guadagnarsi da vivere, senza considerare spostamenti, straordinari e pause pranzo lontano da casa, non significa essere liberi ma schiavi.
Siamo naturalmente incompatibili con il grigiore delle aziende, con gli obblighi e le costrizioni del lavoro subordinato, perché abbiamo trascorso milioni di anni tra il verde delle foreste, nella più totale libertà e assenza di ogni tipo di confine al di fuori di quello dovuto a un limpido cielo blu.
Non ci siamo evoluti all'interno delle fabbriche come schiavi del capitale, ma come esseri liberi di vivere la vita, immersi nella bellezza della natura.
Anche per questo il lavoro demandato dai padroni ai propri dipendenti, che guarda caso quegli sfruttatori si guardano bene dal compiere in prima persona, induce problemi psico-fisici di vario genere.
L'odierna concezione del lavoro è antitetica al raggiungimento della felicità perché il lavoro non è affatto organizzato pensando a quel fine, ma mira a curare gli interessi del capitale.
Non solo il lavoro insegue dei fini distorti, ma è organizzato nel peggiore dei modi possibili, ignorando le sterminate potenzialità offerte dalle moderne conoscenze scientifico-tecnologiche.
Viviamo nel tempo in cui le macchine stanno iniziando a pensare, ma l'idea più intelligente che l'essere umano medio riesce a concepire è quella di una società che si auto-condanna a un lavoro totalizzante, nonostante gli odierni apparati tecnologici potrebbero tranquillamente svolgere quei compiti in modo autonomo e decisamente più efficiente.
Abbiamo mezzi e conoscenze per assicurare libertà e abbondanza all'umanità, ma continuiamo a vivere in una società dove regnano lo sfruttamento, la povertà e un'odiosa costrizione nei confronti del lavoro.
Stiamo sfruttando le potenzialità delle moderne conoscenze scientifico-tecnologiche come farebbero dei perfetti idioti; è come se i contadini del passato avessero rigettato l'uso dell'aratro tirato dai buoi per paura di perdere il loro lavoro, che consisteva nel dover arare a mano i campi.
Non ci sono casse automatiche nei supermercati ma commesse che sprecano la loro vita davanti a una calcolatrice semi-automatica e devono anche esser grate per questo, perché altrimenti resterebbero senza uno stipendio.
Abbiamo mezzi e conoscenze per eliminare, o quasi, l'obbligo del lavoro umano, pur consentendo a tutti di disporre gratuitamente di beni e servizi di elevata qualità;
solo che, a forza di pensare solo a soluzioni basate sul: lavorare per forza, lavorare di più e creare più lavoro, siamo diventati ciechi a tutte le altre possibilità che, come è ben evidente, sono di gran lunga migliori.
Non si tratta di aumentare il lavoro per garantire un'occupazione a tempo pieno a tutti, ma di aumentare l'efficienza diminuendo il lavoro umano scaricandolo sulle macchine, ambendo, in prospettiva, alla piena disoccupazione, pur fornendo a tutti ciò di cui hanno bisogno per vivere.
Per quanto strana e paradossale possa apparire, questa idea oggi è fisicamente realizzabile e quindi possibile, a patto che ci sia una volontà comune orientata in quella direzione. Ma allora perché le automazioni ci appaiono così tanto minacciose?
Il fatto è che l'attuale sistema economico non è in grado di distribuire a vantaggio di tutti gli incrementi di efficienza dovuti all'automatizzazione dei processi produttivi e di fornitura dei servizi.
Se immaginiamo d'introdurre in una fabbrica un braccio robotico in grado di compiere i medesimi compiti di un certo numero di esseri umani, la soluzione più sensata sarebbe di ridurre, in qualche misura, il lavoro agli operai, mantenendo il loro stipendio invariato;
invece, il capitalista licenzia i lavoratori in eccesso e mantiene il profitto per sé, mentre tutti gli altri continuano a lavorare 8 ore, esattamente come prima.
Bene che vada, se il capitalista intuisce che ci sono spazi per vendere più prodotti sul mercato, può scegliere di non licenziare aumentando la produzione sfruttando la maggiore efficienza dovuta alle macchine. Così facendo non si crea disoccupazione, ma ancora una volta l'orario di lavoro resta invariato e il profitto finisce nelle sue tasche, invece che in quelle dei lavoratori.
In generale i nuovi disoccupati devono trovarsi degli altri lavori che però, a causa delle automazioni, tenderanno a diminuire sempre di più in ogni settore.
Si chiama disoccupazione tecnologica e rappresenta una dinamica in crescente aumento. Senza applicare alcuna contromisura, sempre più persone resteranno per forza di cose disoccupate perché, in futuro, le macchine svolgeranno una quota sempre maggiore di lavoro al posto degli esseri umani.
A questo punto interviene la soluzione classica che prescrive di creare più lavoro per ridurre nuovamente l'intera umanità in schiavitù, invece di sfruttare le potenzialità della tecnologia in modo intelligente per assicurare a tutti libertà e abbondanza.
Per far ciò, l'economista classico, che ha una mente talmente condizionata da non consentirgli di concepire soluzioni alternative, consiglia immancabilmente di spingere sulla crescita dell'economia, costi quel che costi, una strategia insensata che crea più danni che guadagni.
È vero, forzare la produzione e il consumo di beni e di servizi, significa anche aumentare la richiesta di lavoro. Così facendo si può riuscire a tamponare l'emorragia della disoccupazione.
Ma i lungimiranti strateghi dediti al profitto stanno commettendo un grossolano errore nelle loro valutazioni dimenticandosi d'inserire una variabile fondamentale, che invece dovrebbe essere evidente data la sua macroscopica rilevanza: l'insostenibilità del modello attuale.
L'incremento della produzione e del consumo di beni e servizi comporta inevitabilmente anche un maggior impiego di risorse, energia e un ulteriore aggravio per quanto riguarda l'inquinamento ambientale, il tutto in un ecosistema già sull'orlo del collasso.
In questo modo, per giunta, l'asservimento degli individui nei confronti del lavoro non viene ridotto, ma al contrario, risulta scientemente aumentato.
In sintesi, qualora il piano scellerato riuscisse, contribuirebbe a inquinare ancora di più l'ambiente, aumentare l'insostenibilità globale, consumare un maggior quantitativo di risorse e a mantenere in condizione di schiavitù lavorativa l'intera umanità, non perché ce ne sia una reale necessità, ma perché l'odierno sistema economico funziona così, e quindi decidiamo stupidamente di mantenerlo in essere invece di cambiarlo, conservando e subendo tutte le sue storture, inefficienze e devastazioni.
Com'è possibile che simili dinamiche siano ritenute adatte a "salvare" l'umanità? È del tutto evidente che non può essere questa la miglior soluzione possibile!
Ma gli economisti hanno studiato questa strategia in tutte le università del mondo, non sarete mica così pazzi da rimettere in discussione questa verità di fede?
E invece sì!
Non possiamo continuare ad adottare le stesse logiche che hanno causato i problemi attuali, sperando che questa volta gli effetti collaterali non si ripresentino.
E questa volta nelle dinamiche del gioco bisogna anche introdurre una novità: l'avvento delle automazioni e dei sistemi di intelligenza artificiale.
Prima delle rivoluzioni industriali quasi tutta la popolazione doveva occuparsi di agricoltura per sfamarsi; oggi invece, grazie alle macchine agricole, il lavoro del 3% circa della popolazione è sufficiente per soddisfare la domanda dell'intera collettività.
Mano a mano che la necessità di forza lavoro umana nel settore primario diminuiva, i nuovi disoccupati venivano riassorbiti dall'industria.
Ben presto, però, anche l'industria iniziò ad automatizzarsi.
L'introduzione delle dinamiche di iper-consumo rallentò il processo di diminuzione del lavoro umano necessario, ma nonostante tutto in molti rimasero disoccupati. Il sistema riassorbì la forza lavoro disponibile nel settore dei servizi.
Ma oggi anche i servizi iniziano a essere svolti sempre più da sistemi automatizzati di tipo informatico, e questa volta non esiste un "quarto settore" sul quale far ripiegare i nuovi disoccupati tecnologici, che così, senza alcuna contromisura, entreranno definitivamente nel mondo della disoccupazione.
In futuro le automazioni e le applicazioni d'intelligenza artificiale sostituiranno sempre più gli esseri umani nelle attività lavorative, la disoccupazione aumenterà, fin quando, in prospettiva, non ci sarà più bisogno di lavoro umano, o quasi.
Ci dispiace tanto per gli economisti ma a un certo punto le soluzioni classiche che predicano di aumentare il PIL per creare nuovo lavoro non saranno più attuabili, e non solo per un discorso di sostenibilità ambientale.
Si può far crescere l'economia quanto si vuole, ma se il lavoro umano non è più necessario, in quanto svolto dalle automazioni, gli esseri umani continueranno a restare disoccupati.
Anche per questo serve una nuova concezione del mondo del lavoro e dell'economia.
Continuano a riemergere argomentazioni di persone che sostengono che la tecnologia e il progresso siano nemiche dei lavatori, perché "rubano" il lavoro.
Pura follia. Ci sono a disposizione conoscenze e tecnologie sufficienti per liberare gli esseri umani dall’asservimento del lavoro pur garantendo a tutti beni e servizi, e noi vorremmo seriamente perdere una così straordinaria occasione da sfruttare a vantaggio dell'intera umanità?
L'obiettivo di liberare gli esseri umani dalla costrizione al lavoro rappresenta un passo fondamentale nel percorso del raggiungimento del benessere collettivo che deve essere razionalmente perseguito.
Il lavoro dovrebbe essere reso quanto più possibile automatizzato, e le mansioni residue dovrebbero essere ripartite su tutti gli esseri umani che possono effettivamente lavorare, eliminando così definitivamente anche il falso problema della disoccupazione.
Altro che nemica dei lavoratori, la tecnologia rappresenta la chiave per liberare l'umanità dall'asservimento lavorativo. Bisogna soltanto far attenzione affinché il processo avvenga in modo opportuno nell'interesse comune e non in nome del profitto di una élite, come già accaduto in passato e come purtroppo sta ancora accadendo.
C'è una forte necessità di ripensare le logiche del mondo del lavoro che non sono più in grado di stare al passo con i tempi, in modo tale che l'umanità possa cogliere le grandi opportunità concesse dall'avvento delle automazioni. Non abbiamo bisogno di un nuovo luddismo1, ma d'impiegare la tecnologia in modo intelligente per migliorare le condizioni di vita di tutti.
Si capisce immediatamente perché l'introduzione delle automazioni rappresenti ancora oggi un gravoso problema invece che una soluzione desiderabile:
anziché indurre una qualche diminuzione dell'orario di lavoro a stipendio invariato - un'operazione fattibile visto che lavorano le automazioni al posto degli operai e ci sono anche i profitti, al netto dei costi d'ammortamento dei macchinari - di fatto, la maggiore efficienza dovuta all'introduzione delle macchine si trasforma in disoccupazione per i lavoratori e maggior profitto per una minoranza d'individui, vale a dire i proprietari dei mezzi di produzione.
Ma allora si comprendono anche le soluzioni al falso problema dovuto a un crescente impiego delle automazioni:
1) l'introduzione di una maggiore efficienza e l'automatizzazione per quanto riguarda i processi di produzione/fornitura di beni e servizi, non devono significare licenziamenti ma diminuzione obbligatoria dell'orario di lavoro a stipendio costante (in qualche misura);
2) i mezzi di produzione non devono essere di proprietà di una minoranza che li usa per il profitto personale, ma della collettività che li utilizza per fini di benessere collettivo.
La differenza è sostanziale: in un ipotetico mondo dominato dall'élite capitalistica, dove le macchine realizzano e forniscono i beni e i servizi in modo autonomo, i lavoratori assumerebbero un ruolo ancor più marginale e il tutto andrebbe a esclusivo vantaggio di una minoranza: sarebbe un disastro totale!
Se invece le macchine fossero di proprietà della collettività, o di gruppi locali, e venissero utilizzate per realizzare e fornire beni e servizi in modo automatico e in quantità tali da poter essere dati/forniti in modo gratuito a tutti, allora i lavoratori assumerebbero un ruolo centrale e i vantaggi non sarebbero più di una minoranza ma della collettività.
Prodotti gratis? Certo, con una produzione automatizzata scientificamente tarata per soddisfare le esigenze di tutti non avrebbe più alcun senso pretendere un prezzo in cambio dei prodotti ma, al limite, solo un piccolo contributo lavorativo, in termini di competenze e di tempo esistenziale, per far sì che il sistema funzioni correttamente e/o venga ottimizzato.
Possiamo continuare a vivere in una società che legittima la proprietà dei mezzi di produzione a una élite, avida e parassitaria, che li sfrutta scientemente per esercitare il dominio sul resto della collettività, inseguendo il miope e deleterio obiettivo del profitto individuale;
oppure, volendo, potremmo ripensare le regole del gioco, attribuendo la proprietà dei mezzi di produzione alla collettività, decidendo di utilizzare le automazioni in modo intelligente, per realizzare i beni e i servizi di cui tutti hanno bisogno per vivere dignitosamente e per minimizzare il lavoro umano, iniziando a perseguire un ideale di uguaglianza e libertà, senza più guardare al profitto ma al raggiungimento della felicità dell'intera umanità.
Solo allora potremmo affermare: «I robot ci stanno rubando il lavoro? Era ora!».
Mirco Mariucci
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ottimo, ma bisogna sintetizzare tutti questi concetti
RispondiEliminain un breve schema di facile comprensione
da far leggere ai bambini perchè i vecchi oramai
hanno la testa fossilizzata negli anni '60.
non ce' il pulsante "mi piace" quindi te lo scrivo come risposta.. d'accordo con te!
EliminaQuesto post dovrebbe essere letto dal mondo intero. Queste cose bisogna insegnarle nelle scuole. Non bisogna essere indottrinati al lavoro ma resi liberi di pensare, liberi di esercitare la nostra creatività sul mondo e lasciar lavorare le macchine. Anno dopo anno questa cosa è sempre più possibile, sempre più reale. Potremmo essere tutti liberi di fare ciò che amiamo se solo imparassimo, FIN DA OGGI, a condividere la tecnologia che abbiamo.
RispondiEliminaBisogna assolutamente estrapolare un'infografica o una mappa mentale da questo post in modo che tutti abbiano accesso a queste informazioni. Se serve aiuto mi rendo disponibile in qualsiasi modo.
PS. Complimenti per come scrivi. Avrei voluto esprimere questo concetto tanto tempo fa, ma non ho mai avuto le parole adatte.
Concordo..!!!
EliminaRiflessioni molto interessanti.Io aggiungerei che tra le cause della mancanza dei posti di lavoro c'è anche da calcolare l'emancipazione della donna:che giustamente negli ultimi decenni ha combattuto per il diritto al lavoro e all'indipendenza economica e che avrebbe dovuto comportare un raddoppio sistematico dei posti di lavoro,che ovviamente non c'è stato.
RispondiEliminaSecondo il mio modesto parere il reddito di cittadinanza,reddito minimo garantito o chiamatelo come volete,potrebbe essere l'unica soluzione per evitare la schiavitù,garantire la sopravvivenza e ridare dignità agli individui.
Saluti
P.M.
lavorare meno lavorare tutti.
RispondiEliminaLo dice pure il professor Masi che basterebbe abbassare l'orario
di lavoro da 40 a 36 ore settimanali per risolvere la disoccupazione attuale.
Pure il duce abbassò l'orario da 10 a 8 ore giornaliere.
Un progetto ambizioso potrebbe essere quello di produrre un documento, due paginette, che sintetizzi in modo semplice tutti i concetti di un'utopia razionale
cominciando dal grafico della torta: 10 amici dividono una torta di compleanno
in 10 fette uguali; a fianco l'impressionante suddivisione della torta delle ricchezze mondiali. Oppure il grafico degli addetti nel settore agricoltura industria terziario dal 1860 ad oggi ( agricoltura dal 70% al 3% ).
Questo documento andrebbe poi sottoposto ai suggerimenti dei lettori e via via perfezionato fino ad una forma definitiva pronto per essere stampato
e regalato alle nostre nonne.
RispondiElimina1) l'introduzione di una maggiore efficienza non deve significare licenziamenti ma diminuzione obbligatoria dell'orario di lavoro a stipendio costante (in qualche misura);
2) i mezzi di produzione non devono essere di proprietà di una minoranza che li usa per i propri scopi di profitto, ma della maggioranza che li utilizza per fini di benessere collettivo.
Se l'idea è' di meccanizzare, e ci può' stare, non è' importante se diminuire o meno l'orario ma quello che l'operaio ieri otteneva e che oggi potrebbe perdere. Cos'è'? I soldi. Questi sono un bene che troviamo in natura o è' un'invenzione? Essendo la seconda il problema potrebbe essere risolto. Perché' non si risolve? Chi detiene la moneta e la meccanizzazione? Loro vogliono una cosa del genere? Forse preferirebbero più' macchine e meno esseri umani, in tutti i sensi.
"A noi la scelta". Perché' la scelta e'nostra? Possiamo scegliere?
Ciao, complimenti per il blog! Conosci il Movimento Socialista Mondiale?
RispondiEliminahttp://socialismo-mondiale.blogspot.it/p/che-cose-il-socialismo.html
http://www.worldsocialism.org/italiano
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