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sabato 27 febbraio 2016

Empedocle di Agrigento, l'Amore e l'Odio plasmano il mondo.


Tratto dal saggio Il Sapere degli Antichi Greci, disponibile in formato cartaceo e digitale al seguente indirizzo, anche in download gratuito.


Oltre Pitagora, vi fu un altro grande personaggio dell'antica Grecia che riunì in sé le figure di scienziato, filosofo, medico, profeta e mago: il suo nome era Empedocle. 

La terra che gli diede i natali verso il -492 è Agrigento, situata nella zona meridionale della Sicilia. 

Pur appartenendo ad una famiglia ricca e nobile, simpatizzava per la fazione democratica tanto da prender parte attivamente alle loro lotte politiche.

In gioventù, oltre alla politica, si dedicò anche alla scienza ma in età più tarda divenne una sorta di santone. Quand'era ancora in vita, arrivò a parlare di sé come di un dio:

«Vengo tra voi come un dio immortale, non più come un mortale, onorato da tutti come gli è dovuto, ornato di nastri e di ghirlande fiorite. 

Non appena entro col mio seguito nelle fiorenti città, sia gli uomini che le donne mi rendono riverenza; vanno dietro di me in folle innumerevoli, cercando la maniera di raggiungermi; 

alcuni desiderano oracoli, mentre altri, che per tanti giorni sono stati afflitti dai penosi tormenti d’ogni genere di malattie, chiedono d’udire da me la parola della salute».

Gli abitanti delle poleis greche formatesi in Sicilia, detti Sicelioti, gli attribuivano numerosi miracoli e lo consideravano un profeta. 

Le leggende sul suo conto si moltiplicarono, in special modo dopo la sua morte. Lo stesso Empedocle sosteneva di essere in grado di controllare i venti e di riportare in vita le anime dei morti dall'Ade.

Non è ben chiaro se i prodigi che gli furono attribuiti in realtà dipendessero più dalle sue conoscenze che dalla magia. In un caso pare che il successo dipese più dal buon senso che da altro.

Diogene Laerzio narra di quando si diffuse un'epidemia di peste in una città della Sicilia. La causa sembrava essere riconducibile alle acque di un fiume che ristagnavano li vicino ed emanavano un gran fetore.

Empedocle pensò allora di portare in quel luogo le acque limpide di altri due fiumi e di drenare quelle stagnanti. Con questa operazione le acque divennero salubri e la pestilenza cessò. (Vedi nota 1 in fondo alla pagina)

In realtà le vere cause della peste, e i relativi meccanismi di diffusione del morbo, furono compresi solo nel XIX secolo; per la gloria di Empedocle tra questi l'igiene e la qualità dell'acqua rappresentavano dei fattori decisivi.

L'aneddoto inerente la sua morte è senza dubbio il più divertente di tutta la storia della filosofia antica. 

Si dice che un giorno, da uomo di scienza quale era, volle dar prova inequivocabile di esser un dio immortale, e così si gettò nel cratere dell'Etna.

Il risultato dell'esperimento fu che il vulcano risputò fuori uno dei suoi sandali bronzei e di Empedocle nessuno seppe più nulla: lascio al lettore la libertà d'interpretare le evidenze empiriche e trarre le dovute conclusioni. 

In verità, durante la sua attività politica contribuì al rovesciamento dell'oligarchia del governo chiamato dei "Mille"; ciò gli costò l'esilio, e così, dato che i discendenti dei suoi nemici continuarono ad opporsi al suo ritorno, si stabilì nel Peloponneso, dove morì all'età di 60 anni circa.

Empedocle scrisse due poemi in esametri intitolati «Sulla natura e «Purificazioni; il primo di carattere filosofico nel quale si possono ritrovare le sue idee originali in ambito cosmologico; il secondo sostanzialmente teologico di chiara ispirazione orfica e pitagorica.

Il suo stile venne lodato dagli antichi, tanto che Cicerone considerò «il fisico Empedocle» al pari di un poeta perché, a suo avviso, aveva scritto «un poema egregio».

Ma Empedocle contribuì anche in ambito medico, fondando la Scuola medica siciliana, e non di meno in quello scientifico. 

I presocratici erano convinti dell'esistenza di un'unica sostanza primigenia; Empedocle fu il primo a rendersi conto che l'aria fosse una sostanza a sé, e lo fece per mezzo di un esperimento.

Egli dice: «Quando una bambina, giocando con una trombetta di lucente ottone, pone sull’orifizio del tubo la sua graziosa manina, e immerge il giocattolo nella massa cedevole dell’acqua argentea, questa non fluisce entro il recipiente, ma il volume d’aria che c’è dentro, premendo sui vari buchi, la trattiene fuori, finché la bambina non libera l’aria compressa; ma allora l’aria sfugge, e un ugual volume d’acqua entra nel recipiente».

Empedocle deve aver pensato che se l'acqua non riesce a riempire il contenitore di forma cava quando questi viene immerso “capovolto”, allora dev'esserci un qualcosa, l'aria appunto, che si oppone all'acqua, e questa non può essere la medesima sostanza, altrimenti si sarebbe mescolata. 

L'acqua ed i secchi piacevano a tal punto ad Empedocle che condusse con essi un esperimento in grado di mettere in evidenza un chiaro esempio della forza centrifuga: egli appurò che se si fa girare attorno al proprio corpo un secchio d'acqua fissato all'estremità di una fune, l'acqua non fuoriesce. 

Dal punto di vista cosmologico Empedocle riporta le riflessioni su di un piano fisico e, pur tenendo in considerazione alcuni aspetti della filosofia eleatica, cerca di spiegare il nascere e il perire delle cose.

Il lettore ricorderà che Talete affermò che tutto è fatto d’acqua, Anassimene identificò l’aria come elemento primigenio ed Eraclito, invece, preferì il fuoco.  

Empedocle compì un passo avanti rispetto ai suoi predecessori, e suggerì di accettare non uno ma quattro elementi fondamentali, ovvero la terra, l’aria, il fuoco e l’acqua, che egli chiamò radici (il termine elemento venne introdotto successivamente in ambito filosofico).

Ciascuna radice (o elemento) è eterna e può mescolarsi con le altre secondo diverse proporzioni dando origine alle sostanze e agli oggetti che cadono sotto i nostri sensi.

Come Parmenide, Empedocle afferma che l'Essere non può nascere né perire, ma a sua differenza egli ammette che il dominio di ciò che è contempli la molteplicità.

In merito alla nascita e alla morte sostiene che si possano spiegare interpretandoli come dei fenomeni apparenti dovuti al combinarsi e al dividersi dei veri costituenti delle cose:

«Un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna delle cose mortali, né fine alcuna di morte funesta, ma solo c'è mescolanza e separazione di cose mescolate, ma il nome di nascita, per queste cose, è usato dagli uomini». 

Ciò che noi chiamiamo nascita è soltanto l'unione degli elementi, in modo simmetrico la morte non è altro che la loro divisione.

Gli elementi sono soggetti al movimento ed esso è dovuto a due forze opposte: l'Amore e l'Odio (noto anche come discordia o contesa). 

L'Amore ha la capacità di avvicinare, legare e congiungere gli elementi, l'odio al contrario li divide e li separa tendendo ad allontanarli.

Amore e Odio, così come gli elementi, sono eterni e immutabili; invece ogni altra sostanza, che deriva dall'azione di quelle forze e dalla combinazione delle radici, è mutabile e temporanea.

Per Empedocle Amore e Odio sono sostanze originarie al pari della terra, dell'acqua, dell'aria e del fuoco, ed è proprio l'avvicendarsi delle azioni di queste forze a determinare le fasi cosmiche dando origine ad un ciclo infinito.

Quando gli elementi sono stati mescolati interamente dall’Amore, ecco che interviene l'Odio a separarli gradualmente; quando la Discordia li ha separati completamente, l’Amore un poco alla volta ricomincia a riunirli.

Ai due stremi del processo si trovano il regno dell'Amore e quello dell'Odio. 

Nel primo di essi, l'Amore domina completamente, la sua azione riunisce gli elementi in una sfera compatta, armonica e uniforme, che Empedolce chiama lo Sfero; nel secondo, l'Odio ha dissolto tutte le cose e si ha uno stato dominato dal caos. 

Ma in questo eterno danzare dal dominio del regno dell'amore a quello dell'odio, e poi di ritorno da quello dell'odio a quello dell'amore, vi sono delle fasi intermedie in cui amore e odio si fronteggiano. Ed è proprio all'interno di questa fase che si pone la nostra epoca.

Così il filosofo descrive lo stato dello Sfero: «Da ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo Sfero rotondo che gioisce di avvolgente solitudine». 

L'azione disgregante dell'Odio inizialmente non è distruttiva, perché grazie ad essa le 4 radici si separano dallo Sfero dando origine al cosmo e alle cose del nostro mondo, che si trova a metà strada tra il regno dell'Amore e quello dell'Odio. Ma l'azione dell'Odio continua, le cose si dissolvono e si entra nel caos del regno dell'Odio. 

A questo punto i ruoli si invertono e tocca all'Amore riavvicinare gli elementi, e a metà strada si avrà di nuovo un mondo simile a quello attuale; in seguito l'azione dell'Amore continuerà e ripristinerà lo Sfero, da cui il ciclo avrà di nuovo inizio.

Empedocle avanzò una teoria originale - e alquanto stravagante - sulla formazione e l'evoluzione della vita sulla Terra. 

Come si può già intuire, gli esseri viventi sono il frutto dell'azione di Amore e Odio, a seconda della forza predominante nel ciclo; ciò che è inaspettato è il “come” avvenga la formazione.

Se si parte dal caos, l'azione unificatrice dell'Amore inizialmente tende a formare membra isolate di varia forma; in questa fase vi sono teste, braccia e gambe senza corpi e corpi privi di testa e arti che si "cercano" per unirsi.

Tutte queste “cose” si assemblano in modo casuale, dando origine a creature goffe con innumerevoli mani, con la faccia e il petto rivolti in differenti direzioni, col corpo di bue e la testa d’uomo ed altre con la testa di bue e il corpo d’uomo. 

Tra questi gli animali e gli umani, ma anche esseri mostruosi di vario genere, come ad esempio il Minotauro. Quest'ultimi però sono sterili, e quindi tendono a scomparire.

L'azione di Amore continua e crea degli organismi bisessuati, che alla fine confluiscono nello Sfero.

In modo del tutto simmetrico l'azione di Odio avrebbe creato forme di vita bisessuate separandole dallo Sfero, che poi a loro volta si sarebbero differenziate in maschi e femmine, e ancora in esseri mostruosi, in membra isolate e infine nel caos.

La cosmologia di Empedocle può essere letta come l'elevazione a livello universale dei principi alla base dei rapporti umani; così come amore e odio determinano le interazioni sociali, questi sentimenti regolano anche le dinamiche universali. 

L'interpretazione però è doppia: nulla vieta di rileggere la sua cosmologia immaginando che amore e odio siano principi universali che si manifestino anche nei rapporti umani.

Di certo Empedocle non identifica Amore e Odio con il Bene e il Male, né intende l'Amore come principio unico del cosmo. 

Così come Eraclito anch'egli crede che l'odio, la divisione e la contesa, abbiano un ruolo importante nel mondo, ma l'analogia non è completa: per Empedocle Amore e Odio sono uguali ed egualmente originari, ciascuno di essi ha il suo carattere e a vicenda predomina nel volgere del tempo.

Egli avanzò anche una spiegazione della conoscenza umana espressa in termini dei 4 elementi e delle 2 forze che li animano:

«Noi conosciamo la terra con la terra, l'acqua con l'acqua, l'etere divino con l'etere, il fuoco distruttore col fuoco». Ciò sta a significare che il simile si conosce con il simile.

Esiste un'identità tra il soggetto che conosce e l'oggetto che deve essere conosciuto: entrambi sono una mescolanza dei 4 elementi e dei 2 principi attivi di Amore e Odio.

Le cose emanano degli effluvi che colpiscono e penetrano nell'uomo. Si ha conoscenza mediante l'incontro tra l'elemento contenuto nell'osservatore e il medesimo elemento che è nell'oggetto osservato. 

Non c'è distinzione tra conoscenza dei sensi ed intelletto. Il pensiero avviene in prossimità del cuore, dove le 4 radici hanno modo di mescolarsi maggiormente; ciò che rende possibile questo processo è il sangue che irrora tutto il corpo.

Era convinzione comune nell'antica Grecia individuare nel cuore il centro del pensiero.

Fece eccezione alla regola Alcmeone, medico e filosofo greco antico vissuto nel V secolo prima della presunta nascita del mito di Gesù. Egli non credeva neanche che la percezione nascesse dalla somiglianza. 

Per prima cosa definì una differenza sostanziale tra uomo e animali; a suo avviso gli animali percepiscono ma non capiscono, mentre l'uomo è in grado anche di capire.

Percezione e sensazione non sono la stessa cosa di comprensione e pensiero ma attività distinte, non come credeva Empedocle che le identificava.

Alcmeone sostenne che udiamo con le orecchie perché in esse c'è una cavità che, vibrando, emette un suono e l'aria al suo interno ripete la vibrazione; gli odori invece li percepiamo col naso, che porta l'aria al cervello mediante l'inspirazione. 

Riusciamo a distinguere i sapori con la lingua, perché essa, essendo calda e molle, col calore disfà il cibo, accogliendo e distribuendo i sapori mediante la rarefazione dovuta alla sua morbidezza. 

Pare che Alcmeone scoprì il collegamento nervoso tra l'occhio e il cervello e così iniziò a riflettere sulla reale sede delle sensazioni. 

In questo modo arrivò a ipotizzare per primo che tutte le percezioni giungessero al cervello e non al cuore, come invece credevano la maggior parte degli antichi Greci. 

A proposito di credenze, nelle Purificazioni possiamo ritrovare le opinioni di Empedocle in ambito religioso; queste, lungi dall'introdurre elementi di novità, ricalcano la dottrina orfico-pitagorica basata sulla metempsicosi, ovvero la trasmigrazione delle anime: 

«Esiste un oracolo della Necessità, un antico ordine degli dei, eterno e solidamente sigillato da ampi giuramenti, che ogni qual volta uno dei demoni, il cui destino è la durata dei giorni, ha peccaminosamente contaminato le sue mani di sangue, o è vissuto nella discordia e ha rinnegato se stesso, egli deve vagare per tre volte diecimila anni lontano dalle dimore dei beati, rinascendo sempre sotto le più diverse forme mortali, mutando un penoso genere di vita con un altro. 

Perché la potente Aria lo trasporta nel Mare, e il Mare lo rivomita sulla asciutta Terra; la Terra lo lancia sui raggi del Sole fiammeggiante, e questi lo precipita di nuovo nei turbini dell’Aria. L’uno lo prende dall’altro, e tutti lo respingono». 

Per Empedocle l'uomo ha un'origine divina, e non può raggiungere la vera felicità se non dopo la morte, quando a seguito di una successione di trasmigrazioni si sarà purificato e così potrà riunirsi agli dei.

«Ma, finalmente, essi appaiono tra i mortali come profeti, scrittori di canti, fisici e principi; e poi sorgono, esaltati ed onorati come dei, dividendo il focolare con gli altri dei e sedendo alla stessa tavola, liberi dalle sciagure umane, salvi da ogni avversità, e incapaci di sofferenza».

Egli porta come esempio di questa dottrina la propria vicenda personale: «Ora io sono uno di questi, esule e vagabondo lungi dagli dei, poiché mi abbandonai ad una lotta insensata».

Dice anche: «Ah, sciagura per me che il giorno spietato della morte non mi abbia annientato non appena feci la cattiva azione di divorare con le mie labbra!».

Di quale colpa si sia macchiato nessuno lo sa, ma è probabile che fosse una cosa di poco conto; è possibile che abbia semplicemente infranto lo stravagante divieto pitagorico di mangiar fave.  

Solitamente il credo della metempsicosi conduce al vegetarianesimo e quindi al rifiuto radicale dei sacrifici. Così è anche per Empedocle. 

Uccidere animali, infatti, ai suoi occhi appariva come una forma di cannibalismo, dal momento che in ogni essere vivente vi è presente un'anima che sta compiendo il suo ciclo di reincarnazioni. 

In merito a ciò egli afferma: «Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! E sono in imbarazzo coloro che sacrificano l'implorante; 

ma quello sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano le loro carni». 

Ed è su questi presupposti che Empedocle basa la sua predicazione di salvezza per uomini, indicando la via della purificazione.

Mirco Mariucci

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NOTA 1)

Secondo un'altra versione, che si contrappone a questa, in realtà Empedocle liberò la città di Akragante (l'attuale Agrigento) dalla malaria e non dalla peste. Si dice che a tal fine fece scavare un enorme corridoio per agevolare il flusso d'aria salubre di tramontana e far prosciugare le acque stagnanti che infestavano la vallata. L'impatto dell'opera fu così grande da poter essere individuato nella zona nota come "Valle di Empedocle", situata fra le colline di Agrigento e la Rupe Atenea. Link alla fonte.

Fonti:

  • Storia della filosofia antica, di Giuseppe Cambiano.
  • Storia della filosofia, di Nicola Abbagnano.
  • Storia della Filosofia occidentale, di Bertrand Russell.
  • Aneddoto sulla peste: Istoria filosofica della medicina in Italia, Paolo Morello, 1895. Pag 95.
  • Empedocle su Wikipedia
  • Empedocle su Filosofico

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