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venerdì 29 gennaio 2016

Parmenide di Elea: il razionalista che negò il movimento e la molteplicità.

Rappresentazione dell'Essere secondo la concezione metafisica parmenidea.

Tratto dal saggio Il Sapere degli Antichi Greci, disponibile in formato cartaceo e digitale al seguente indirizzo, anche in download gratuito.


Parmenide (- 515; - 450) nacque nella Magna Grecia, più precisamente ad Elea, oggi localizzata nella contrada Piana di Velia, in provincia di Salerno. Della sua vita si hanno poche notizie.

Fu l'iniziatore della corrente di pensiero detta eleatica e probabilmente fondò una scuola. Stando a quanto ci riferisce Platone, sembra che negli anni della vecchiaia intraprese un viaggio alla volta di Atene, nel corso del quale ebbe modo di conoscere Socrate in giovane età.

Il pensiero di Parmenide ci giunge mediante la sua unica opera: un poema in esametri intitolato Sulla Natura, composto da un Proemio e un'ulteriore trattazione suddivisa in due parti, ovvero La via della Verità e La via dell'Opinione.

All'interno di quest'opera il filosofo narra di un viaggio immaginario che lo conduce alla dea della giustizia Dike, colei che possiede la chiave per la sapienza. 

Ed è proprio grazie a Dike che Parmenide viene iniziato alla verità, ma non si tratta di una rivelazione: la dea, infatti, gli fornisce soltanto una serie di indicazioni ed effettua dei ragionamenti mediante i quali il filosofo può escludere i metodi fallaci che ingannano gli uomini e li allontanano dal vero. 

In questo modo Parmenide può definire la sua filosofia e procedere a valutare le opinioni dei mortali in modo da fornirne la “corretta” interpretazione.

Ma qual è questa Verità alla luce dalla quale rileggere il mondo? E soprattutto: com'è possibile raggiungerla?

Contrariamente al senso comune, Parmenide afferma che la molteplicità e i mutamenti della mondo fisico sono pura illusione.

La vera conoscenza può essere raggiunta soltanto attraverso l'uso della ragione, perché i sensi sono illusori e ingannatori.

E la ragione ci porta ad affermare l'esistenza di un'unica realtà, la realtà dell'Essere: unico, immutabile, immobile, eterno, ingenerato, immortale, finito ed omogeneo.

Parmenide di Elea
Per formulare questa tesi, Parmenide non si basò su spiegazioni mitologiche ma si servì di un metodo logico-razionale; in particolare, per derivare la sua filosofia, procedette fissando degli assiomi, ricorrendo al principio di non contraddizione e alla dimostrazione per assurdo, adottando un metodo che potremmo definire in termini moderni ipotetico deduttivo.

Il principio di non contraddizione viene descritto da Aristotele nei saggi intitolati Metafisica al seguente modo: 

«È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo». 

In altre parole, data una proposizione A, non può essere che sia A che la sua negazione non-A siano entrambe vere allo stesso modo e nel medesimo istante. 

Ad esempio, in questo momento la lampadina che illumina la vostra stanza o è accesa o non è accesa, quindi è spenta, e non può essere sia accesa che spenta.

La dimostrazione per assurdo, invece, consiste in un ragionamento logico che prova la validità di un assunto derivando una contraddizione dalla sua negazione. Secondo Godfrey Harold Hardy si tratta di una delle più belle armi a disposizione di un matematico.

In altri termini, se si vuole provare che la proposizione A è vera, si assume temporaneamente come vera la negazione di A, ovvero si suppone “per assurdo” che non-A sia vera, e si effettuano dei ragionamenti logico-razionali cercando di ottenere una contraddizione.

Se i ragionamenti sono corretti e si riesce a derivare una contraddizione, ovvero una conclusione assurda, allora se ne deduce che l'ipotesi iniziale non può essere vera come si era supposto, cioè non-A non è vera, quindi dev'essere vera la sua negazione che è A: esattamente ciò che si voleva provare sin dall'inizio.

Ora è chiaro che questo tipo di dimostrazione ricorre ad un uso implicito del Principio del terzo escluso, il quale stabilisce che data una qualsiasi proposizione A ci sono solo due situazioni possibili: può essere che A sia vera e non-A falsa oppure che A sia falsa e non-A vera, e che queste combinazioni esauriscono la casistica escludendo un terzo caso. 

Da qui la locuzione latina storicamente associata a questo principio: Tertium non datur.

Tentiamo allora di ricostruire la filosofia parmenidea adottando un approccio formale e impiegando questi strumenti.

L'assunto di partenza può essere giustificato con le seguenti considerazioni. 

Quando si pensa, si pensa a qualcosa; il pensare al nulla è un non-pensare, e anche se si riuscisse a pensare al nulla diverrebbe immediatamente un qualcosa, quindi non più un non-essere come invece dovrebbe essere; in modo analogo dire il nulla è impossibile perché ci si dovrebbe limitare a non-dire.

Sia il pensiero che l'espressione necessitano di un soggetto che per Parmenide è l'Essere.

A questo punto si può affermare che «l'essere è, e non può non-essere», altrimenti non esisterebbe e invece esiste; mentre «il non-essere non è, e non può essere», altrimenti esisterebbe e invece non esiste.

La ragione, quindi, ci porta ad affermare che non si può né pensare né esprimere il non-essere.

Di conseguenza, il divenire suggerito dai sensi, secondo cui gli enti ora sono ora non-sono, dev'essere una mera illusione che appare ma ci trae in inganno dato che in realtà non è.

Ma perché? E soprattutto come si spiegano gli attributi dell'essere parmenideo? 

Supponiamo che esistano più “Esseri” diversi fra loro. Se uno di essi è l'Essere, e gli altri sono distinti da questo, allora non esistono, perché se sono diversi dall'Essere non sono l'Essere, ma per il nostro assioma il non-essere non è, ovvero non esiste. 

Supposta l'esistenza dell'Essere, la diversità da esso comporta una contraddizione, da cui consegue l'unicità.

L'Essere è indivisibile, perché se fosse divisibile sarebbe necessario un elemento di separazione che a sua volta non potrebbe che essere un non-essere che però, per quanto detto sopra, non può esistere.

L'Essere è eterno perché non si può fissare un istante superato il quale l'Essere non esiste più, perché a quel punto non-sarebbe, ma ciò è assurdo, perché l'Essere è; in modo duale, non esiste neanche un istante prima del quale l'Essere non era, perché non sarebbe stato, il che sarebbe di nuovo contraddittorio.

L'Essere, quindi, è ingenerato ed immortale, perché se non fosse così bisognerebbe tirare in causa il non-essere derivando una contraddizione: nascere significa essere, ma anche non-essere prima di nascere; morire significa non-essere, ovvero essere fino all'istante della morte per poi non-essere; e in entrambi i casi si andrebbe contro l'ipotesi iniziale.

L’Essere è immobile in quanto se si muovesse dovrebbe muoversi verso altro da sé, ma altro rispetto all’Essere è il non-essere che non può esistere, quindi l’Essere è immobile; 

L'Essere è immutabile, perché se divenisse dovrebbe divenire altro da sé, cioè un non-essere, ma il non-essere non è, dunque l’Essere è immutabile. In altre parole se l'Essere mutasse ad un certo punto sarebbe ciò che non era, oppure non sarebbe ciò che era, il che è assurdo.

L'Essere è finito, perché se fosse infinito mancherebbe sempre di qualcosa, ovvero sarebbe incompiuto, e quindi non sarebbe ciò di cui manca, ma l'Essere è e non può non-essere, quindi è finito. 

Ed infine, l'Essere è omogeneo, perché non manca né difetta di se stesso in nessuna della sue parti. 

Per rendere l'idea dell'Essere, Parmenide lo paragona ad una sfera omogenea, immobile e finita: l'esempio geometrico più prossimo alla perfezione a disposizione del filosofo.

Un'ulteriore conseguenza della filosofia di Parmenide è la negazione del possibile: poiché l'insieme del possibile contiene sia ciò che si realizza che ciò che non si realizza, ma ciò che non si realizza non è, non è ammesso che il possibile sia.

Molto interessante è anche la concezione parmenidea del tempo. La necessità rispetto al tempo, espressa nella tesi «l'essere è e non può non-essere», non è intesa come durata temporale infinita ma come negazione del tempo. 

Il tempo è l'ennesima illusione. L'eternità è intesa come presenza totale a-temporale. L'Essere parmenideo è ora tutto insieme.

Per quanto logiche e affascinanti, le tesi di Parmenide non possono essere accettate, non tanto a causa del loro disaccordo con l'evidenza empirica, piuttosto per un errore sistematico che già di per sé invalida le dimostrazioni ancor prima di un eventuale riscontro con quella che chiamiamo realtà.

I lettori più accorti si saranno resi conto della fallacia insita nei suoi argomenti: Parmenide usa in modo erroneo il non-essere, attribuendo all'essere un senso assoluto.

Ad esempio, la copertina di un libro può essere blu, ma il fatto che non lo sia non significa per forza che quella copertina non esista, perché magari significa semplicemente che ha un colore diverso dal blu.

Fu Platone ad accorgersi che l'uso della negazione da parte di Parmenide era sbagliato e per questo affermò di aver commesso un parricidio. 

Per superare le criticità esposte, Platone concepì il non-essere non più staticamente e assolutamente contrapposto all'essere ma come diverso dall'essere in senso relativo. 

Si tratta di considerare negazioni relative, cioè dire delle cose non che sono o non-sono, ma che sono qualche cosa, che hanno certe proprietà o che non hanno quelle proprietà.

Ad esempio, dire che un oggetto non è, non significa predicare necessariamente che non esiste; per Parmenide invece non-essere significa solo non esistere. 

Tutto ciò oggi ci appare scontato e banale, ma se ci appare tale, tanto da essere diventato il modo comune di pensare, è perché questo modo fu concepito da qualcuno, in particolare da Platone che poté riflettere sul pensiero di Parmenide. 

La filosofia di Parmenide è nettamente contrapposta a quella di Eraclito di Efeso. Il motto che racchiude il pensiero di Eraclito è «tutto cambia»; Parmenide replicò che «nulla cambia».

La filosofia di Eraclito era basata su di una logica non classica, nella quale l'essere coesiste con il non-essere, ed è proprio l'unità dei contrari a creare una tensione che non annulla il contrasto bensì lo fa esistere, in quanto è proprio la tensione degli opposti in sé a rendere possibile l'armonia del mondo;

l'impianto parmenideo è una sorta di proto-logica di tipo classico, basata sul principio di non contraddizione e la dimostrazione per assurdo. Per Parmenide, ogni mescolanza tra essere e non-essere è da escludersi e ritenersi errata in quanto mera illusione. 

Eraclito si basava principalmente sui sensi, Parmenide sulla ragione; egli sosteneva che «Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia stato negli errati sensi».

Secondo Parmenide l'errore dei sensi deriva da un giudizio sulla realtà basato sull'apparenza che porta all'opinione (doxa) secondo procedimenti illogici. Al contrario, la ragione conduce alla verità.

La sua fiducia in un sapere completamente dedotto dalla ragione, accompagnato dalla sfiducia totale nei sensi, e quindi nella possibilità di una conoscenza empirica, fa di Parmenide un pensatore profondamente razionalista. 

Alcuni sostengono che Parmenide abbia inventato la logica, cosa che in realtà avvenne successivamente per opera di Aristotele che per primo ne diede un'impostazione sistematica, ma una simile conquista non sarebbe stata possibile senza i contributi dei pensatori precedenti, tra i quali i più importanti sono senza dubbio Eraclito, Parmenide e Platone.

Ciò che Parmenide realmente inventò fu una metafisica basata sull'uso di principi logico-razionali.

Questo scaltro filosofo può anche essere considerato il fondatore dell'ontologia, colui che per primo ha messo in evidenza la necessità intrinseca dell'essere. 

«L'essere è, ed è necessario che sia», è questa la sua tesi principale. Ed è qui che bisogna fare molta attenzione.

Se con "essere" si intende "ente" e con "ente" s'intende "ciò che esiste", la tesi di Parmenide si riduce ad una banale tautologia, ovvero «Ciò che esiste, esiste».

Ma se si evita di specificare l'accezione del termine "essere", e ci si limita a sostenere soltanto che «L'essere è», non si sa più in che senso interpretare il sostantivo e il verbo.

Il guaio è che la frase «L'essere è» ha lo stesso significato di «Il correre corre», «Il mangiare mangia» o «L'odiare odia», e cioè nessuno.

Chiunque oggi ipostatizzasse verbi quali "correre", "mangiare" oppure "odiare", e si riferisse ad essi come "il Correre", "il Mangiare" o "l'Odiare" (con le iniziali maiuscole), sarebbe rinchiuso in un manicomio.

Ma ai tempi di Parmenide questa trappola linguistica non era ancora nota, tant'è che egli non si fece problemi a conferire un'esistenza sostanziale al verbo "essere", imboccando così il sentiero delle illusioni metafisiche. 

Mirco Mariucci

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