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giovedì 12 maggio 2016

Il coraggio di ripensare la società


Il 5 maggio 2016, a Pisa, ho tenuto una conferenza organizzata all'interno dell'evento RiartEco. Di seguito la trascrizione del mio discorso.

Introduzione

Ringrazio per l'invito. Mi chiamo Mirco Mariucci e sono l'autore del blog Utopia Razionale e del saggio intitolato L'illusione della libertà.

Vorrei chiarire subito un punto: non sono venuto qui per vendere un libro ma per cercare di diffondere delle idee che reputo importanti per realizzare una società a misura di essere umano.

Chiunque può scaricare gratuitamente L'illusione della libertà dal mio blog.

Di che cosa parlerò? Ovviamente del problema dei rifiuti, ma vorrei inquadrare il tutto in un contesto più generale, parlando dei problemi sociali e delle loro soluzioni in chiave economica.

Chiunque di voi si sarà reso conto di non vivere in una società ideale: inquinamento, surriscaldamento globale, sfruttamento dell'uomo sull'uomo, disuguaglianza sociale, fame e malattie, sono solo alcuni tra i problemi che interessano l'odierna società.

Come si affrontato queste problematiche? Possono essere risolte?

Dal punto di vista di economisti e politici ortodossi c'è una ed una sola soluzione: la crescita economica. 

Bisogna crescere per risolvere la crisi economica, per creare più lavoro, per aumentare il benessere, per ridurre il surriscaldamento globale, per fare in modo che tutti possano curarsi etc etc

I capi di Stato e di Governo riunitisi al G20 auspicano una crescita dell'economia su scala globale pari al 2% annuo.

E tutto ciò dovrebbe accadere in un mondo con un ecosistema già fortemente compromesso, dove i lavoratori devono sacrificare 8 ore al giorno (bene che vada) della loro unica esistenza per il lavoro, a prescindere dalla propria volontà.

Lo scopo del mio intervento è farvi comprendere perché la soluzione della “crescita economica come panacea di tutti i mali” è una falsa soluzione, fisicamente inattuabile, che causa più danni di quanti (non) prometta di risolverne. 

Mostrerò anche delle alternative per risolvere le criticità dell'odierna società attuabili senza far crescere l'economia.

Crescita miti e leggende

Per smentire qualche mito inerente l'ideologia della crescita bisogna familiarizzare con una funzione matematica che si chiama Esponenziale. 

Questa funzione, sotto particolari condizioni (base dell'esponenziale maggiore di 1), ha il vizio di correre molto rapidamente verso l'infinito. 

Scommetto che molti di voi avranno avuto a che fare con questa funzione senza rendersene conto. 

Quando si contrae un mutuo di 100.000 euro al 3,5% con gli strozzini delle banche, dopo 20 anni si scopre che la cifra resa è pressoché raddoppiata. 

Questo è un classico esempio tratto dalla vita di tutti i giorni di una crescita esponenziale.

Perché la cifra cresce così tanto? Perché gli interessi producono interessi.

Forse però per comprendere ancora meglio quanto (quantità) e come (rapidità) cresca una simile funzione, non c'è modo migliore di raccontare qualche “storiella esponenziale”... 

Il Matematico avido

Il re più ricco e potente della Terra deve risolvere un problema molto importante, così decide di convocare tutti i suoi sudditi, ma purtroppo nessuno di essi riesce ad aiutarlo.

Un giorno un matematico di passaggio si presenta alla corte e in men che non si dica risolve il problema del re. Quest'ultimo, per ringrazialo, si dice disposto a ricompensarlo con qualsiasi cosa.

Il matematico avanza una strana richiesta: «Vorrei del grano, e la quantità potete determinarla al seguente modo: prendete una scacchiera, e immaginate di porre un chicco di grano sulla prima casella, 2 chicchi sulla seconda, 4 sulla terza, 8 sulla quarta... e così via di raddoppio in raddoppio per tutte le 64 posizioni. Questo sarà il mio compenso».

Il re acconsente senza indugio, e convoca immediatamente gli schiavi per incaricarli di ricompensare il matematico per il grande servigio resogli.  

Essi, però, disponendo il grano chicco dopo chicco su di un'ipotetica scacchiera, ben presto si resero conto che l'intero raccolto del reame non sarebbe stato neanche lontanamente sufficiente a soddisfare la richiesta del matematico. 

Nella 64-esima casella, infatti, avrebbero dovuto posizionare 2x2x...x2 = 2^64 chicchi di grano, una quantità talmente grande da superare l'intera produzione mondiale!

(2^64 è circa 1,84 x 10^19 cioè 184 seguito da 17 zeri, tale quantità equivale alla produzione mondiale di grano di ben tremila anni!)

Un ponte di carta tra la Terra e la Luna

Prendiamo un normale foglio A4 di spessore 1/10 di mm. Immaginiamo di piegarlo a metà, otteniamo 2 facciate sovrapposte con uno spessore pari a 2*1/10 mm.

Continuiamo a piegare su se stesso il foglio esattamente a metà. Otterremo 4 facciate sovrapposte, poi 8 poi 16 e così via. Quale sarà l'altezza del foglio ripiegato all'ennesimo passo?

Matematicamente si può descrivere il tutto ricorrendo alla funzione esponenziale. Al passo zero si avrà 1/10 * 2^0 mm; al primo passo si avrà 1/10 * 2^1 mm; al secondo passo 1/10 * 2^2 mm ... al passo n-esimo si ottiene 1/10 * 2^n mm.

La distanza Terra-Luna è mediamente di circa 370.300 km. La cosa sconvolgente, ed è facile da calcolare, è che alla 42-esima ripiegatura, il pezzo di carta ripiegato avrebbe uno spessore maggiore di questa distanza, e così si potrebbe adagiarlo sulla Luna! 

Ovviamente una simile impresa non è fisicamente possibile con un foglio di carta A4 reale, ma è matematicamente possibile con un foglio “immaginario”.

Non c'è fretta... o forse sì?

La sopravvivenza di un popolo di pescatori dipende dai pesci presenti in un grande lago situato a valle della loro cittadina.

Un giorno, un matematico dispettoso, decide di "piantare" in quel lago una ninfea magica che produce il più bel fiore del mondo.

Questa pianta, però, ogni notte si riproduce raddoppiando la superficie occupata, sottraendo ossigeno ai pesci presenti nel lago.

Ammaliati dalla bellezza e dal profumo del fiore delle ninfee, i pescatori decidono di lasciarle riprodurre.

Passano 7 giorni e ci sono soltanto 2^7=128 fiori ad abbellire il lago.

Dopo due settimane però, un pescatore pensa che sia arrivato il momento d'intervenire: le ninfee hanno occupato metà della superficie totale.

Ma i suoi concittadini non sono d'accordo e decidono di aspettare ancora un giorno.

Essi ritengono di avere a disposizione ancora molto tempo, dato che le ninfee hanno impiegato ben 2 settimane per occupare la prima metà del lago... 

E invece l'indomani mattina i pescatori si svegliano, si recano al lago e si accorgono della catastrofe: durante la notte il numero delle ninfee è raddoppiato ed ora queste ultime occupano l'intera superficie sottraendo tutto l'ossigeno ai poveri pesci (che sono morti perché i pescatori non conoscevano la matematica!) 

Morale delle storie esponenziali

Da questi racconti si può comprendere che: 

1) una crescita esponenziale tende a coinvolgere quantità incompatibili con sistemi finiti; 

2) gli eventuali effetti negativi dovuti ad una dinamica esponenziale ad un certo punto iniziano a propagarsi con una velocità tale da richiedere un intervento tempestivo, se si vogliono evitare catastrofiche conseguenze (sempre pensando di agire in un sistema finito)

Che cosa c'entra tutto ciò con l'economia?

Se avvenisse una crescita economica costante al 2% su scala globale, come auspicato al G20, al trascorrere degli anni si avrebbe una dinamica esponenziale in un sistema finito quale è la Terra. 

Ora, se “crescere”, tra le altre cose, significa anche consumare risorse ed inquinare il pianeta (in qualche misura), ne deduciamo che, a lungo andare, la crescita non è fisicamente possibile, perché esaurisce le risorse e/o compromette l'ambiente.

Che cosa accada ostinandosi a voler imporre un modello economico basato sulla crescita in un sistema finito dovrebbe essere abbastanza chiaro: prima o poi si supera il limite che sancisce la sostenibilità e ci si avvia verso un “collasso”. 

In altre parole chi vi parla di “crescita sostenibile” o non conosce la fisica-matematica o sta cercando di ingannarvi. 

Oppure, volendo usare le parole dell'economista Kenneth Boulding: «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all'infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista».

Pensiamo di essere delle divinità onnipotenti che operano in uno spazio infinito, ma in realtà siamo simili a dei batteri insignificanti intrappolati in una capsula di Petri intenti a consumare il nutrimento di cui disponiamo più velocemente di quanto quest'ultimo riesca a rigenerarsi. 

Alcuni potrebbero obiettare che non tutte le attività economiche consumano necessariamente risorse, si pensi a servizi immateriali, e quindi, puntando su di esse, si potrebbe continuare ad alimentare la crescita. 

Questi “servizi” però saranno destinati agli esseri umani che dovranno dedicarvi del tempo per poterne usufruire. 

Ma gli esseri umani, essendo mortali ed in numero finito, non dispongono di un tempo infinito, quindi si possono riapplicare le argomentazioni precedentemente esposte, in piena analogia con quanto appena fatto.

E se riutilizzassimo le risorse? 

Vi anticipo che anche in questo caso la risposta è negativa. Cerchiamo di capire perché, senza lasciarci prendere da facili entusiasmi.

Riciclare è utile ma non è la vera soluzione

Chi ha studiato fisica saprà dell'esistenza di un principio valido in ogni sistema isolato: il secondo principio della termodinamica.

Questo principio afferma che per ogni sistema isolato si può definire una funzione di stato, nota come entropia, che ha la caratteristica di essere monotona non decrescente rispetto al tempo.

La funzione Entropia è legata al “disordine” di un dato sistema. Monotona non decrescente significa che al trascorrere del tempo una funzione o resta costante oppure cresce.

In altri termini il secondo principio della termodinamica afferma che in un sistema isolato il disordine tende ad aumentare o, al limite, a mantenersi costante.

Un risultato notevole si ottiene quando si applica questo principio ai processi produttivi pensati all'interno di un ecosistema (si pensi pure a quello terrestre).

Il principio d'aumento dell'entropia ci dice che, in qualche misura, ogni tipo di processo produttivo attuato tende ad incrementare inesorabilmente il disordine del sistema. 

Ed ecco, ancora una volta, che la fisica-matematica demolisce dalle fondamenta il dogma crescitista dell'odierna economia, che ricorre alla massimizzazione del numero di merci prodotte ed alla velocizzazione del processo produttivo e di consumo, perché se quanto appena detto è vero, più processi vengono attuati e più velocemente avverranno, più il sistema sarà compromesso irrimediabilmente ed in tempi rapidi.

Non può essere altrimenti, perché ogni processo implica una forma d'inefficienza intrinseca ineliminabile, i cui effetti si riversano sull'ambiente.

Neanche il riciclaggio può sfuggire al secondo principio della termodinamica! 

Se ci pensiamo un attimo ci accorgiamo dei seguenti fatti:

Per prima cosa non tutto può essere riciclato; non tutto ciò che può essere riciclato può essere riciclato in modo indefinito; ogni processo di riciclaggio ha a sua volta un certo impatto ambientale, fino all'estrema conseguenza, del tutto paradossale, nella quale, in alcuni casi, riciclare può essere addirittura più impattante di estrarre la materia prima ex-novo.

Tutt'altra cosa invece è il “riuso” (o reimpiego), come ad esempio il vuoto a rendere delle bottiglie di vetro, che però può essere applicato solo in pochi ambiti.

Allora che cosa si deve fare, non si deve riciclare? 

A meno di voler trasformare il mondo in una pattumiera invivibile, certo che si deve riciclare, ovviamente quando è ragionevole farlo, ma non si deve assolutamente pensare che il riciclaggio rappresenti un processo “indolore” o che possa risolvere tutti i problemi, e tanto meno che sia in grado di supportare una crescita infinita.

Chi cerca di risolvere il problema dei rifiuti e dell'inquinamento a valle dei processi produttivi commette il medesimo errore di coloro che intendono risolvere il problema dei furti aumentando il numero delle guardie: non sta affrontando le vere cause, che si trovano a monte.

Magari se tutti avessero un reddito decoroso i furti diminuirebbero e non ci sarebbe bisogno di poliziotti. 

Con i rifiuti è la stessa cosa: la migliore soluzione consiste nel ridurre il più possibile la produzione di beni, e quindi di rifiuti, a monte del processo.

Come facciamo: torniamo a vivere nudi nelle foreste, mangiando frutta e verdura? 

Ovviamente no, bisognerebbe cercare di produrre il meno possibile con la massima qualità, beni durevoli che possono essere facilmente riparati senza essere gettati, e non più merci inutili o appositamente concepite per guastarsi allo scadere della garanzia.

Il punto di criticità consiste nel fatto che una simile concezione è totalmente incompatibile con l'odierno sistema economico che è condannato a crescere per non fallire.

Se l'economia non cresce, le persone restano senza lavoro, non dispongono di un reddito e riducono i consumi, innescando una crisi che induce numerosi problemi sociali.

Si entra così in un circolo vizioso nel quale l'unica soluzione sembrerebbe quella di rilanciare i consumi, in modo da creare più lavoro e far riprendere a funzionare l'economia.

Ma i principali indicatori ambientali ci dicono che abbiamo già superato largamente i limiti che sanciscono la sostenibilità ambientale, quindi una crescita globale, così come intesa oggi, non è più praticabile. E allora cosa si può fare?

Si devono rimettere in discussione le logiche del sistema economico per concepirne delle altre che ci consentano di decrescere senza diminuire la qualità delle nostre vite, né creare problemi sociali.

Rimettere in discussione la crescita

Che senso ha far crescere l'economia se invece di eliminare le malattie le aumentiamo per ricavare profitto dalla vendita di medicinali?

Che senso ha far crescere l'economia se questa crescita è dovuta alla morte e alla distruzione causate dalle guerre?

Che senso ha far crescere l'economia se la crescita non si traduce in un maggior tempo libero dalle attività lavorative, in un minor inquinamento ambientale e in un qualche, seppur minimo, incremento di felicità per l'umanità?

Domandiamoci un attimo, così com'è solito fare il filosofo Umberto Galimberti: i fini dell'economia sono anche i nostri fini?

A me sembrerebbe proprio di no, oggi non facciamo crescere l'economia per migliorare le nostre condizioni di vita, ma per cercare (invano) di salvare l'economia dalle proprie contraddizioni.

La crescita consente di realizzare lauti profitti per pochi al prezzo dello sfruttamento, dell'inquinamento e della povertà per molti.

Io mi chiedo: che cosa accadrebbe all'economia se non ci fossero più guerre, se gli oggetti durassero a lungo e gli esseri umani smettessero di fumare e non si ammalassero più di cancro?

Miliardi e miliardi di dollari di profitto svanirebbero, il PIL collasserebbe e di certo l'economia crollerebbe sotto il peso delle sue contraddizioni. 

Un'eclatante crisi occupazionale causerebbe ancor più eclatanti problemi sociali.

Ma eliminare le guerre, diminuire le malattie e produrre oggetti durevoli, riducendo anche l'inquinamento ambientale, sarebbe un male o un bene per gli esseri umani?

Bisogna intenderci sui fini del nostro agire: vogliamo continuare a fare ciò che è bene per un'economia pessima che allontana l'umanità dal benessere e dalla felicità? Oppure vogliamo iniziare a fare ciò che è bene per gli esseri viventi?

Vogliamo continuare ad essere i servi dell'economia, oppure vogliamo iniziare a mettere l'economia al nostro servizio?

La necessità di un cambio di paradigma

Il filosofo Thomas Kuhn descrisse l'evoluzione della scienza in termini di paradigmi e rivoluzioni scientifiche attuate a suon di cambi di paradigma.

Il paradigma è un insieme di teorie, leggi e metodi accettati dalla comunità scientifica in un dato periodo storico. Kuhn divideva gli scienziati in "risolutori di rompicapi" ed "innovatori". 

I primi, si limitano ad agire all'interno del paradigma dominante, quello che gli è stato insegnato a scuola e nelle università, un po' come chi cerca di risolvere un rompicapo attenendosi alle regole del gioco. 

I secondi, invece, si accorgono delle criticità del paradigma, lo rimettono in discussione e propongono dei modelli alternativi per migliorare la conoscenza, fin quando un nuovo paradigma viene accettato e si ha una rivoluzione scientifica.

Un'analoga considerazione può essere fatta anche in ambito economico: oggi vige il paradigma economico capitalistico basato sul mercato, e si cerca di risolvere i problemi senza rimettere minimamente in discussione il paradigma dominante.

Il premio nobel per la fisica Albert Einstein sosteneva che non si può risolvere un problema usando la stesso livello di pensiero che lo ha creato. 

Eppure nessuno, o quasi, sembra rendersi conto che gli odierni problemi sociali (similmente per quelli ambientali) non possono essere risolti continuando ad attuare le stesse logiche che li hanno causati. 

Se vogliamo davvero risolvere le criticità dobbiamo effettuare un cambio di paradigma economico in senso rivoluzionario.

Alcuni difetti dell'odierna economia

Un grande difetto dell'odierna economia è che agisce solo ed esclusivamente in funzione del profitto. 

Se una cosa garantisce un ritorno può essere fatta, altrimenti no, maggiori sono i profitti e più ci sarà volontà di attuare una dinamica, a prescindere dai danni o dall'utilità. 

Ciò genera le più grandi distorsioni immaginabili, perché non è assolutamente detto che la soluzione in grado di generare il maggior profitto rappresenti anche la migliore strategia per realizzare il benessere degli esseri umani. 

Tutt'altro, l'evidenza empirica sembra suggerirci che accada esattamente l'opposto. Pur di raggiungere il profitto si è disposti a sacrificare ambiente e salute, diffondendo morte, dolore e sfruttamento.

Se oggi la principale fonte energetica è di tipo inquinante e non rinnovabile, invece di essere pulita e rinnovabile, non è perché non esistano fonti alternative ma perché l'impiego di fonti fossili consente di realizzare un maggior profitto.

Se i prodotti che consumiamo durano poco, non è perché non siamo in grado di costruire oggetti di elevata durata, ma perché chi li produce realizza maggiori guadagni inventando strategie per diminuire la durata in vita dei prodotti.

In un'economia sana ci si dovrebbe svincolare totalmente dal profitto, e le scelte economiche dovrebbero essere intraprese perché utili e necessarie, guardando all'efficienza e alla sostenibilità.

L'economia non dovrebbe essere obbligata a crescere in modo indefinito per non fallire ma dovrebbe assestarsi sul limite che assicura la sostenibilità globale, senza indurre alcun problema sociale; a quel punto non dovrebbe più agire sulle quantità ma sulla qualità e l'efficienza.

Lo scopo non dovrebbe essere quello di realizzare il massimo del profitto, ma di fornire beni e servizi a tutti gli esseri umani, in modo sostenibile, affinché tutti possano condurre una vita più che dignitosa in piena libertà, senza ricatti e costrizioni.

Non come oggi, dove se non lavori non mangi e se lavori non vivi, perché l'orario di lavoro non lascia spazi per vivere la vita.

Giungiamo così ad affrontare le criticità inerenti il mondo del lavoro, che rappresentano il tema centrale del mio saggio.

I paradossi del mondo del lavoro

L'odierno mondo del lavoro è un mondo paradossale, nel quale facciamo lavorare gli esseri umani al posto delle automazioni perché altrimenti le persone resterebbero disoccupate.

Nei supermercati non ci sono casse automatiche ma commesse che sprecano la loro vita davanti a calcolatrici semi-automatiche, e qualcuno ha anche il coraggio di dirgli che devono essere grate per questa “opportunità”. 

Quando nelle fabbriche il lavoro viene automatizzato, i lavoratori, invece di esultare, protestano e scioperano, perché le macchine gli stanno "rubando" il lavoro.

Lo stesso sindacato, che in teoria dovrebbe difendere i lavoratori, fa di tutto affinché quest'ultimi tornino a farsi sfruttare dai capitalisti. 

Invece di liberare l'umanità dal lavoro, si cercano delle strategie per incrementarlo, anche quando non sarebbe né utile né necessario.

Io ritengo che ciò sia una follia sociale, e che il lavoro debba essere minimizzato e automatizzato al massimo delle nostre possibilità, avendo l'accortezza che il processo di liberazione dell'uomo dalla schiavitù del lavoro avvenga nell'interesse generale.

Una simile idea, però, non può essere attuata perché le persone devono lavorare altrimenti non dispongono del denaro per vivere (o almeno così vorrebbero farci credere).

Ma come si fa a rubare la vita alle persone in cambio del denaro, quando il denaro è semplicemente un segno contabile stampato su un pezzo di carta o qualche byte d'informazione memorizzato all'interno dei server delle banche?

Come si fa a rubare la vita alle persone in cambio del lavoro, nell'epoca in cui stiamo insegnando alle macchine a pensare, e queste potrebbero sostituire l'uomo in quasi tutte le attività lavorative?

L'Italia che vorrei non dovrebbe essere fondata sul lavoro, ma sulla felicità. E non vedo come possa essere felice un popolo che deve vivere per lavorare invece che lavorare per vivere, o ancora meglio che potrebbe far lavorare le macchine per riappropriarsi della libertà.

Allora invece di pensare a come aumentare il lavoro, per una volta proviamo ad immaginare delle strategie che ci consentano di diminuire il lavoro, pur garantendo a tutti l'accesso a beni e servizi necessari per vivere in modo dignitoso.

Anche perché in futuro le vecchie logiche per risolvere la disoccupazione non potranno più essere attuate, dato che le automazioni diverranno ancora più economiche e prenderanno sempre di più il posto degli esseri umani nel lavoro.

In passato, quando le macchine fecero irruzione nell'agricoltura, i contadini disoccupati si spostarono nelle fabbriche a produrre beni materiali. Ben presto però le fabbriche iniziarono ad automatizzarsi ed i nuovi disoccupati vennero riassorbiti nel settore dei servizi. 

Ma oggi i software informatici stanno iniziando a prendere il posto degli esseri umani anche nel settore dei servizi, e questa volta non c'è un “quarto settore” da utilizzare per riassorbire la disoccupazione.

Si chiama fenomeno della disoccupazione tecnologica, e non è un male in senso assoluto. 

Certo, è un male con le odierne logiche economiche, perché se non lavori non mangi, ma se si trovasse un modo per far mangiare le persone anche senza dover lavorare, dove sarebbe il problema?

Si può far crescere l'economia quanto si vuole per creare più lavoro, ma se il lavoro umano non serve più, perché le macchine lavorano al posto nostro, gli esseri umani continueranno a rimanere disoccupati.

Senza contare che oggi molti lavori sono totalmente inutili, perché servono solo a trovare un modo per guadagnare denaro svolgendo una funzione parassitaria e/o anti-sociale, oppure perché sono il frutto dell'inefficienza dovuta alla iper-produzione di oggetti di bassa qualità, e così via...

Ad esempio, è chiaro che produrre lavatrici della durata di 100 anni, indurrebbe un'eclatante disoccupazione in un sistema tarato per produrre lavatrici dalla durata di 10 anni.

Si capisce allora, che se si guardasse all'efficienza, il lavoro venisse automatizzato e si eliminassero tutti quei lavori inutili e pretestuosi, di lavoro umano da svolgere ne resterebbe davvero poco, eppure i beni ed i servizi da dare e fornire all'umanità ci sarebbero lo stesso.

In altre parole il lavoro umano necessario per produrre ciò che ci servirebbe davvero per vivere una vita agiata è soltanto una piccola frazione del lavoro oggi esistente. 

L'odierna mole di iper-lavoro viene artificiosamente mantenuto in essere per non far crollare l'economia, o almeno così ci dicono ufficialmente.

La mia tesi, decisamente scomoda, è che tutto questo meccanismo, che introduce lavoro superfluo e chiaramente inutile, sia mantenuto in essere di proposito, perché rappresenta un potente mezzo per esercitare il controllo sociale, oltre che per realizzare lauti profitti.

Grazie alle logiche del mondo del lavoro, chi detiene il potere ha creato un popolo di schiavi che ambiscono alla propria schiavitù, invece che alla libertà.

Torno a ripetere: se i beni ed i servizi ci sono, perché li produce/fornisce un sistema produttivo automatizzato, ma non c'è il lavoro, dov'è il problema?  

Il vero problema non è il lavoro che non c'è, o quello che mancherà, ma la più totale inefficacia delle odierne logiche economiche nel saper cogliere la strepitosa opportunità concessa dall'avvento delle automazioni, che potrebbero liberare l'uomo dal lavoro garantendo a tutti beni e servizi di elevata qualità.

Vediamo quindi come si potrebbe risolvere questo “falso” problema della disoccupazione dovuta alla mancanza di lavoro. 

Soluzioni innovative per il mondo del lavoro

Soluzione n°1) Si può pensare di diminuire l'orario di lavoro in modo tale da lavorare meno ma lavorare tutti, un po' come in quel famoso motto che andava di moda negli anni '70. 

Questa proposta, oltre a risolvere il problema della disoccupazione, ha il pregio di restituire tempo alla vita sottraendolo al lavoro. Il “difetto” è che lavorando di meno diminuirebbero gli stipendi. 

Ma nulla vieta di reintegrare la diminuzione di retribuzione con una manovra redistributiva della ricchezza esistente, lasciando così gli stipendi invariati.

Si può fare? Certo che si può fare, perché in un mondo dove l'1% della popolazione ha accumulato una ricchezza complessiva pari a quella del restante 99% (fonte Oxfam 2016), redistribuire la ricchezza non solo è possibile ma è doveroso. 

Per comprendere la gravità della situazione, immaginate una festa di compleanno con 100 invitati, dei quali uno di essi mangia metà della torta e gli altri 99 devono spartirsi l'altra metà.

Soluzione n°2) Si può istituire un reddito d'esistenza, universale ed incondizionato. Reddito d'esistenza significa che tutti gli esseri umani ricevono mensilmente una sorta di stipendio, a prescindere da tutto il resto, solo per il fatto di esistere.

Questa soluzione ha il grande pregio di eliminare l'obbligo del lavoro, il che, a mio avviso, rappresenta un enorme progresso dal punto di vista sociale.

Tutti gli individui dovrebbero avere la certezza di poter vivere dignitosamente solo ed esclusivamente per il fatto di essere umani, ed il lavoro dovrebbe essere una libera, matura e volontaria espressione del proprio essere, non una costrizione che annulla l'individuo e lo allontana dalla felicità, imposta dal sistema mediante paure, ricatti economici e condizionamenti mentali, come invece accade oggi.

Con il reddito d'esistenza entrambi gli obiettivi sarebbero immediatamente raggiunti.

Quando le macchine lavoreranno al posto degli uomini, ed il lavoro umano non sarò più necessario (o quasi), si dovrà accettare l'idea di svincolare il reddito ricevuto dal lavoro effettuato. E se si vorranno evitare enormi problemi sociali, dovuti al collasso del sistema economico per mancanza di consumatori, un simile passo, prima o poi, dovrà essere attuato. 

Si può davvero dare un reddito a tutti senza nessun obbligo di lavorare? 

La confessione del potere

Certo che si può fare, o meglio, si sarebbe potuto fare agevolmente se i “lungimiranti” politici non avessero ceduto la sovranità monetaria a banche centrali private ed indipendenti (come nel caso della BCE).

Se non mi credete potete consultare Il Sole 24 Ore dove una simile eventualità viene candidamente confessata con le seguenti parole:

«Dal punto di vista tecnico, uno strumento per aumentare la domanda aggregata esiste anche nella situazione attuale: è la cosiddetta “moneta distribuita con l’elicottero”, per usare le parole di Milton Friedman. Cioè la banca centrale stampa moneta e la distribuisce ai cittadini, non in cambio di qualcosa (titoli di stato o la promessa di una restituzione futura), ma in modo permanente e a fondo perduto. Le obiezioni nei confronti di questo strumento non sono economiche, ma politiche. Dal punto di vista economico non c’è dubbio che sarebbe efficace».

Tenete presente che l'articolo è di Guido Enrico Tabellini, economista italiano, ex rettore dell'Università commerciale Luigi Bocconi, vale a dire il massimo del main stream italiano. 

In altre parole, su Il Sole 24 Ore Tabellini sta clamorosamente ammettendo che la banca centrale può stampare denaro e darlo direttamente ai cittadini senza indebitare nessuno, e che tutto ciò «non ammette obiezioni di tipo economico, ma solo politiche».

Ma allora la situazione si fa interessante... se ciò è vero: perché i popoli devono sopportare gli effetti delle manovre “lacrime e sangue” propagandate dai governi come “dolorose ma necessarie”?

Perché esiste il debito pubblico? Non si potrebbero finanziare direttamente gli stati senza indebitare i cittadini? Perché esiste la povertà? Non si potrebbero semplicemente dare dei soldi ai poveri? 

Perché non s'istituisce un reddito d'esistenza, universale ed incondizionato, elargito senza pretendere nulla in cambio, in modo che gli esseri umani non siano più schiavi del lavoro e dei ricatti dei capitalisti, ed i processi produttivi possano essere automatizzati, eliminando così tutti i problemi sociali dovuti alla disoccupazione?

Ve lo dice Il Sole 24 Ore perché non si può fare: perché manca la Volontà di farlo; volontà politica, ovviamente, ma pur sempre di volontà si sta parlando.

Chi detiene il potere, dal momento che può eliminare i problemi ma non lo fa, ammette tacitamente di voler mantenere in essere la società con tutte le sue distorsioni, perché evidentemente servono per raggiungere qualche specifico fine che di certo non coincide con il benessere di tutti gli esseri umani. 

Così come gestito oggi, il denaro è il più grande mezzo di dominio dell'umanità. 

Ma se il popolo riuscisse a impadronirsi della gestione della moneta, potrebbe compiere un primo grande passo verso la libertà, eliminando debiti immaginari e concedendo un reddito d'esistenza degno di questo nome a tutti gli esseri umani.

Entrambe le soluzioni esposte o, perché no, una combinazione di esse, consentirebbero di eliminare ogni sorta di criticità dovuta all'eccessiva povertà, come ad esempio fame, furti, impossibilità di accedere alle cure mediche e così via... 

Inoltre i processi produttivi potrebbero essere automatizzati, senza più alcun problema sociale dovuto alla creazione di disoccupazione.

Pensate: l'obbiettivo potrebbe diventare automatizzare al massimo il lavoro per restituire la piena libertà agli esseri umani!

Uscire dal sistema

Poc'anzi ho argomentato che per risolvere i problemi della società è necessario effettuare un cambio di paradigma. Alcuni, però, avranno notato che entrambe le soluzioni appena esposte possono essere attuate continuando a mantenere in essere l'attuare paradigma economico. 

La diminuzione d'orario a stipendio invariato e/o la concessione di un reddito d'esistenza, sono dei passi necessari per risolvere le odierne problematiche ma purtroppo funzionerebbero solo nel breve termine.

Nel lungo termine, infatti, perderebbero di efficacia, perché non intervengono alla radice dei problemi, eliminando le vere cause delle criticità che risiede nelle logiche capitalistiche.

Paradossalmente, il loro “limite” consiste proprio nel restituire ossigeno al sistema capitalistico, mantenendo in essere le sue dinamiche deleterie che tenderanno a riprodursi.

Ad esempio, l'idea di produrre per realizzare profitto resterebbe in essere, con tutte le distorsioni che ne derivano, come un iper-consumo inutile e dannoso per l'ambiente e per gli esseri umani. 

Di certo l'umanità sarebbe un po' più libera dal lavoro, ma ci sarebbe comunque sfruttamento da parte dell'uomo sull'uomo. E ci sarebbe ancora divario sociale, pur essendo attenuato in qualche misura dai processi redistributivi. 

I lavori pretestuosi sarebbero mantenuti in essere, così come l'iper-lavoro inutile correlato all'iper-produzione.

Con la nuova disponibilità di reddito, e la spinta dovuta all'inseguimento del profitto, i consumi tornerebbero a crescere, e con essi aumenterebbe l'impatto ambientale.

Ma il sistema capitalistico basato sulla moneta debito non può fare a meno di crescere, perché se non cresce è intrinsecamente condannato a fallire.

Quindi, se s'intende spezzare questo circolo vizioso basato sulla ricerca della crescita per la crescita, è necessario ripensare i fondamenti dell'economia.

Arriviamo così alla terza soluzione, un po' più radicale o utopica, se volete, ma assai più efficace, quella che a mio avviso rappresenta la migliore soluzione.

Soluzione n°3) Oggi vogliono farci credere che lo scopo della vita sia lavorare tutto il giorno per consumare, ma questa è soltanto una grande menzogna. 

La felicità non è una questione di consumo, ed il lavoro non rende liberi ma schiavi.

L'essere umano allo stato di natura è libero ed ha tutto il necessario per essere felice: frutta e verdura per mangiare, gambe forti per correre, un cuore grande per amare ad una mente infinita per creare.

Nell'antica Grecia, sul tempio dell'oracolo del dio Apollo, a Delfi, c'era una scritta che recitava «conosci te stesso». 

Qualunque sia il senso della vita, ammesso che ci sia, di certo non è consumare, e per cercare questo scopo non c'è altra strategia che vivere la vita in libertà, cercando di esprimere il proprio essere. 

E questa è anche la mia ricetta per la felicità: ognuno guardi dentro di sé e trovi la sua strada.

L'economia dovrebbe fare in modo che ciascuno possa percorrere questo cammino, senza subire le distorsioni e le imposizioni di una sovrastruttura malata di profitto.

L'economia dovrebbe porsi come obiettivo il raggiungimento del benessere di tutti gli esseri viventi, in generale, e degli esseri umani, in particolare.

Come minimo dobbiamo ripensare l'approccio alla produzione e al consumo. 

Dobbiamo cercare in ogni modo di svincolarci dall'idea del profitto per orientarci all'efficienza, all'utilità e alla sostenibilità.

Io ritengo che ci siano dei beni che non dovrebbero avere un prezzo come l'aria o l'acqua, ad esempio, e perché no, anche del buon cibo, un'istruzione elevata, trasporti, cure mediche, un'abitazione, un po' di sana tecnologia e qualche capo di vestiario di qualità. 

Alla luce dell'odierna conoscenza scientifico-tecnologica, che cosa c'impedisce di fornire gratuitamente a tutti gli esseri umani un insieme essenziale di beni e servizi, se non una mera questione di volontà?

Di certo non mancano i mezzi e le risorse per farlo, è solo che il nostro agire non guarda a quel fine, così come non guarda all'efficienza, ma pensa solo al profitto.

Ormai siamo abituati all'idea che i mezzi di produzione debbano essere di proprietà privata, e che i loro possessori abbiano il diritto di impiegarli a proprio vantaggio, inseguendo il profitto e sfruttando in modo indiscriminato risorse e altri esseri umani.

Ma se ci fermassimo a riflettere, scopriremmo immediatamente che non c'è niente di più sbagliato di una simile organizzazione sociale. 

In nome della proprietà privata e della competizione finalizzati al profitto personale, abbiamo costruito la più distopica delle società, nella quale non ci si preoccupa degli altri ma si pensa a come sottometterli per sfruttarli; non si guarda alla sostenibilità ambientale ma a quanto utile in più si può ricavare consumando il petrolio piuttosto che l'energia derivante dalle fonti rinnovabili; la malattia non è un male da eliminare ma una condizione profittevole da indurre... e così via di assurdità in assurdità.

Io penso che le risorse dovrebbero essere comuni, così come i mezzi necessari per trasformarle, ed il fine non dovrebbe essere il profitto personale ma l'interesse generale.

Non dovrebbero esistere fabbriche dei capitalisti e lavoratori che mendicano il lavoro per sopravvivere, ma fabbriche dell'umanità nelle quali lavorano dei robot che producono ciò che serve agli esseri umani per vivere in libertà.

L'economia non dovrebbe basarsi sul libero mercato ma dovrebbe essere scientificamente pianificata al fine di soddisfare i veri bisogni di tutti gli esseri viventi, in modo automatizzato, con la massima efficienza e guardando alla sostenibilità.

La pianificazione non dovrebbe essere centralizzata, ma distribuita sulle varie comunità locali che cooperano tra di loro per realizzare ciò che non riescono a produrre autonomamente.

Per ottenere una buona pianificazione ci si può avvalere di una rete di calcolatori con degli appositi software che monitorano i dati essenziali.

Non si tratta di una riedizione dell'economia dell'URSS: lì implementarono un capitalismo di stato, dedito al profitto, con una pianificazione centralizzata che utilizzava il denaro e che non minimizzava il lavoro umano.

La mia idea non insegue il profitto, non usa la moneta, non ha una logica centralizzata e minimizza il lavoro umano scaricandolo scientemente sulle macchine.

Vorrei costruire un mondo dove gli esseri umani sono totalmente liberi di scegliere come vivere la vita, inseguendo sogni e passioni autentici e sinceri, senza doversi sottomettere agli obblighi del sistema.

Semplificata al massimo la soluzione è la seguente: si sottraggono i mezzi di produzione ai capitalisti, iniziando ad impiegarli per produrre beni e servizi necessari e di elevata qualità in modo quanto più possibile automatizzato, al fine di distribuirli a tutti gli esseri umani, senza pretendere alcun prezzo, guardando alle vere esigenze dei membri della società e non al profitto.

Il lavoro residuo, quello che non è possibile o ragionevole far svolgere alle automazioni, viene suddiviso tra tutti gli esseri umani che sono disposti e qualificati a svolgerlo.

Ciascuno contribuisce in base alle proprie capacità e riceve secondo necessità, attingendo dai frutti prodotti dal sistema automatizzato. 

In questo modo il lavoro umano viene minimizzato, pur assicurando a tutti il necessario per vivere.

Un simile sistema economico, pianificato e senza moneta, non ha bisogno di crescere per evitare di fallire, perché non è succube di un debito eterno ed inestinguibile; può scegliere cosa e come produrre, quando serve, con la massima qualità ed il minor impatto ambientale, senza alcuna limitazione o distorsione dovuta alle logiche di profitto.

La sostenibilità è garantita, perché la pianificazione tiene conto della finitezza del pianeta. 

Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo non c'è più, perché gli esseri umani cooperano nell'interesse generale e non sono schiavi di altri esseri umani all'interno delle fabbriche.

Non ci sono più meccanismi d'asservimento legati al denaro, come i debiti, perché non c'è più moneta.

Lo scopo della vita non è più di lavorare per guadagnare denaro, ma sviluppare il proprio essere vivendo la propria esistenza in libertà.

Conclusione

Capisco che tutto ciò richieda un'evoluzione della coscienza che è ancora di là da venire, ma non per questo una simile soluzione si può escludere dal dominio delle umane possibilità.

Se daremo ancora una volta ascolto agli ideologi della crescita, alimenteremo le disgrazie dei molti per il vantaggio dei pochi.

Mediante un iper-lavoro ed un iper-consumo inutili condanneremo i lavoratori ad una vita da schiavi e comprometteremo ulteriormente l'ecosistema del pianeta sul quale viviamo.

Non dobbiamo aumentare i profitti, ma la libertà, l'uguaglianza e la felicità. Ciò che dovrebbe crescere non è l'economia ma la nostra umanità.

Mirco Mariucci

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