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venerdì 9 novembre 2018

L'economia circolare non risolverà affatto i problemi ambientali causati dall'umanità


Un ragionevole dubbio

Negli ultimi decenni le criticità ambientali si sono amplificate a tal punto che, ben presto, se non ci saranno cambiamenti rapidi e radicali nelle dinamiche socio-economiche, la questione ecologica potrebbe diventare il problema centrale da affrontare per assicurare la sopravvivenza dell'umanità.

Non a caso si sente sempre più spesso parlare di economia verde, raccolta differenziata, strategie a rifiuti zero” e altre cose di questo tipo.

Sembra quasi che, dopo aver depredato, inquinato e distrutto l'intero ecosistema, gli esseri umani abbiano finalmente compreso come risolvere definitivamente tutti i problemi ambientali da essi stessi causati!

Ma è davvero così che stanno le cose?

In realtà, c'è una contraddizione fondamentale che (guarda caso!) non viene affrontata da nessuna delle strategie per la salvaguardia ambientale più in voga, ma che invece rappresenta il fattore determinate per tentare di risolvere con efficacia l'intera questione.

Come avremo modo di comprendere, il difetto metodologico delle iniziative ecologiche propagandate in questi tempi è il medesimo che si riscontra analizzando le “soluzioni” proposte anche negli altri aspetti del sociale, dalla politica alla medicina: intervenire sugli effetti, senza rimuovere le cause.

E così, mentre i cittadini delle cosiddette società “avanzate” sono sempre più ecologicamente impegnati a differenziare le loro montagne di rifiuti, che poi in gran parte finiranno comunque, a loro insaputa, in discarica o in un inceneritore, la popolazione mondiale continua ad aumentare, così come il PIL, e con essi si accrescono anche la distruzione ambientale, l’insostenibilità, l’inquinamento, le malattie, il numero delle specie estinte ed in via d’estinzione... e così via, di male in peggio.

Quello dell’ecologia è un regno di luoghi comuni, inganni e contraddizioni, dei quali bisognerebbe essere consapevoli per riuscire a comprendere quale sia la miglior strategia da attuare, prima che si raggiunga un punto di non ritorno.  

Ecco perché, all'interno di questo scritto, ho deciso di esporre una serie di tesi scomode ed inusuali sul tema dell'ecologia. 

Sia chiaro, sin dal principio, che il mio scopo non è quello di scoraggiare l'attuazione di strategie per la salvaguardia dell'ambiente, delle quali invece si ha un'estrema urgenza, ma di fornire degli elementi di riflessione per ideare soluzioni reali ancor più efficaci rispetto a quelle usualmente proposte, che non siano dei palliativi utilizzati da qualche gruppo di potere per preservare l'attuale ordine sociale e, con esso, i loro interessi.

Quest'ultimo aspetto è proprio ciò che vorrei scongiurare, ovvero che con la scusa che tanto ormai l'economia è “verde”, le macchine sono ad emissioni “zero” e i rifiuti vengono “riciclati”, le masse s'illudano che continuando a partecipare all'odierna follia socio-economica possano dare un contributo determinante per la risoluzione della questione ecologica: non è affatto così che stanno le cose.

Il colore che più si addice all'economia capitalistica non è il verde ma il nero, le macchine elettriche ad emissioni zero non esistono e una buona parte dei rifiuti recuperati non vengono affatto riciclati.

Nel suo complesso, la gravità della situazione è tale che l'umanità non può più permettersi di credere che si possano risolvere le problematiche ambientali senza prima affrontare la contraddizione fondamentale che invece è responsabile della loro inesorabile generazione.

Né si può continuare a pensare che la soluzione arriverà dall'alto e che tutto si risolverà, come per incanto, senza che ciascuno faccia la propria parte, modificando radicalmente il proprio stile di vita in senso ecologico.

La buona notizie è che un simile cambiamento, se attuato in modo razionale guardando al fine del benessere collettivo, non comporterebbe alcuna diminuzione della qualità della vita, ma al contrario, come avrò modo di dimostrare nel prosieguo della trattazione, indurrebbe un netto miglioramento nell'esistenza di tutti i viventi.

In effetti, ciò che ha suscitato in me l'interesse verso le strategie ecologiche, e mi ha portato alla stesura di queste riflessioni, è proprio il fatto che i medesimi attori sociali che strutturano la società per assicurarsi ricchezza e potere, creando le condizioni al contorno che hanno prodotto gli odierni problemi ambientali, di colpo, abbiano incominciato a sposare posizioni ecologiste come quelle dell'economia circolare!

Vi posso assicurare che le vere soluzioni nel campo dell'ecologia non sarebbero affatto accolte di buon grado da quei soggetti, perché se venissero attuate porrebbero fine ai loro privilegi.

Non bisogna dimenticare che se l'umanità è arrivata a compromettere l'ambiente a tal punto da sterminare il 60% degli animali negli ultimi 50 anni, mettendo in discussione la propria stessa sopravvivenza, ciò è avvenuto grazie alle logiche di un sistema economico consumistico dedito al profitto, che ha bisogno di una crescita continua per sostenersi e che non si è curato affatto delle questioni ambientali, perché se l'avesse fatto non avrebbe potuto fondarsi né sul consumismo, né sulla ricerca di una crescita infinita; in altre parole, non avrebbe potuto essere ciò che invece è stato, ancora è, e tenta, in ogni modo, di continuare ad essere. 

Un simile sistema, nella sua diabolica follia predatrice e distruttrice, ha giovato oltremisura a certe classi sociali, le quali, nonostante le conseguenze ambientali, conservano ancora oggi tutto l'interesse a mantenere l'ordine delle cose esattamente così com'è.

Essi stanno cercando di rimandare il più a lungo possibile l'attuazione di un radicale cambio di paradigma, che però, al trascorrere del tempo, diviene sempre più urgente per la sopravvivenza dell'umanità.

Evidentemente, i membri di questa élite che devono la loro “fortuna” allo sfruttamento dei propri simili, degli animali e della natura, in preda ad una sorta di delirio d’onnipotenza, si sono intimamente convinti che la catastrofe ecologica non li riguarderà.

Del resto, in caso di emergenza, i ricchi possono sempre spostarsi nei luoghi dove il clima è più mite e, come extrema ratio, quando per i più la situazione sarà letteralmente invivibile, potranno permettersi di realizzare delle città "bolla" protette da enormi cupole, all'interno delle quali l'aria, l'acqua, la terra la vegetazione, e quindi il cibo, saranno al riparo dai veleni che invece i popoli dovranno continuare a respirare, bere e mangiare, prima di ammalarsi e morire.

Le città bolla, veri e propri angoli di paradiso terrestre isolati dalle problematiche dovute all'inquinamento ambientale, verranno difese dall'assalto delle masse abbruttite e impoverite, costrette a vivere al di fuori di esse. Le armi e la tecnologia per farlo non mancano di certo.

Vale la pena di ricordare che le élites di ogni epoca hanno sempre avuto in odio le classi ad esse subalterne, e se le hanno mantenute in vita è perché, in qualche misura, il loro sfruttamento era funzionale all'ordine sociale della rispettiva epoca. 

Questa condizione però sta venendo meno con l'avvento dell'automazione, e la gestione di una massa crescente d'individui impoveriti e precarizzati, che pretendono di vivere in modo dignitoso, si sta trasformando in un enorme problema, sempre più complesso da gestire, nonostante la tecnologia di oggi metta a disposizione mezzi per il controllo sociale assai più efficaci e puntuali rispetto al passato.

Per questi motivi, dal punto di vista dell'élite, eliminare la maggior parte degli esseri umani presenti sulla Terra sarebbe un'ottima soluzione per risolvere sia il problema del controllo sociale che le questioni ambientali; che la popolazione mondiale si riduca drasticamente con la guerra, la malattia o a causa degli stessi effetti dei cambiamenti climatici, per l'élite non farebbe molta differenza.

Dico ciò per far comprendere ai lettori che non sono i ricchi ed i potenti che per assicurarsi la sopravvivenza devono aver cura della Terra, ma che sono i popoli ad essi sottomessi a doverlo fare, perché se gli esseri umani non metteranno in atto delle serie contromisure dal basso, per loro iniziativa e volontà, senza più illudersi che i peggiori tiranni si trasformeranno in benevoli salvatori, con ogni probabilità, essi stessi si auto-condanneranno a subire sulla propria pelle i disastrosi effetti legati agli sconvolgimenti dell'ecosistema causati dai loro comportamenti.

Cerchiamo quindi di decostruire la narrazione ecologica dominante per vedere dove risiedono i punti di criticità.


L'economia lineare

Se si analizza il ciclo di vita dei prodotti, ben presto, ci si rende conto che, di norma, ha luogo un processo definito “lineare” caratterizzato dalle seguenti fasi essenziali: estrazione delle materie prime; realizzazione e distribuzione dei beni; utilizzo e consumo dei suddetti beni; produzione di rifiuti.

Così facendo, per costruzione del sistema, tutti i beni sono destinati già in partenza a trasformarsi in rifiuti, che poi, ammesso che non vengano dispersi, andranno stoccati in qualche discarica, oppure dovranno essere inceneriti.

Questo tipo di approccio prende il nome di “economia lineare”: si tratta di un sistema che adotta una logica estrattiva che non prevede il riciclaggio dei materiali di cui si compongono gli oggetti giunti a fine vita. 

Non serve un genio per comprendere che fondare un sistema socio-economico composto da 7,6 miliardi di persone su di una simile concezione rappresenti un'ottima strategia per trasformare il mondo intero in un luogo fetido, foriero di morte e malattia. Eppure è proprio così che sono andate le cose. 

Più avanti nella trattazione cercheremo di spiegare perché, pur potendo adottare delle pratiche virtuose, ciò non sia avvenuto. Per ora, si tenga presente che ogni singolo passaggio, tra quelli precedentemente illustrati, ha un certo impatto ambientale e rappresenta una potenziale fonte d'inquinamento.

Ad esempio, l'estrazione dei minerali contamina l'acqua con sostanze chimiche nocive; il trasporto delle materie prime comporta l'immissione in atmosfera di gas climalteranti ed inquinanti; produrre beni significa anche consumare energia tutt'altro che pulita e diffondere nell'ambiente sostanze tossiche di varia natura; il consumo in sé non è detto che sia indolore per l'ambiente; lo stoccaggio di rifiuti non biocompatibili compromette l'integrità dei terreni e dei mari.

Il problema ecologico, quindi, non è soltanto riconducibile alla questione relativa alla gestione dei rifiuti derivanti dall'utilizzo dei prodotti giunti a fine vita, sebbene a primo impatto quest'ultimo aspetto possa apparire come la criticità centrale da risolvere.

Inoltre, bisogna considerare che, in un mondo finito, ogni sistema economico lineare, a lungo andare, è condannato ad esaurire le risorse ambientali, in particolar modo se tali risorse sono “scarse” in relazione al loro utilizzo e non possono essere in alcun modo rinnovate.

Di certo, l'economia lineare non può essere definita “sostenibile”, qualunque sia il significato che si voglia dare a questo termine.

Il massimo che si può fare con un simile approccio, è di mettere in piedi un sistema socio-economico che può sopravvivere per un certo lasso di tempo, prima di provocare la sua stessa fine, o per mancanza di risorse da impiegare, o a causa di un eccessivo livello di degradazione dell'ambiente in cui ha operato. 

Chiaramente, in assenza di alternative, si può comunque scegliere di adottare un'economia lineare, a patto che il tempo di sopravvivenza del sistema così strutturato sia sufficientemente “elevato”, perché, ad esempio, le risorse a disposizione in relazione ai bisogni da soddisfare non sono scarse ed il relativo impatto ambientale dovuto al processo di estrazione-produzione-consumo-stoccaggio non comporta un impatto ambientale "significativo".

Ma questo non è il genere di scenario in cui si trova attualmente l'umanità, la quale, oltre ad aver adottato un approccio lineare, ha ben pensato, per peggiorare ulteriormente la situazione, di basare il proprio sistema economico su di un meccanismo che pretende che vi sia una crescita economica continua alimentata da un sistema consumistico, che ha potuto mantenersi in essere ampliando il paniere di beni e servizi prodotti e forniti, ed accelerando progressivamente i ritmi di consumo, compiendo quello che potrebbe essere definito come un capolavoro della stupidità: diminuire scientemente il tempo medio impiegato per trasformare le materie prime in rifiuti.

Quella attuale è l’epoca dell’usa e getta, delle mode stagionali e dell’obsolescenza programmata: tutte pratiche inutili, dannose ed inessenziali per l’umanità, che non hanno fatto altro che introdurre dosi addizionali di lavoro, spreco ed inquinamento, che gli esseri umani si sarebbero potuti risparmiare, se solo le “grandi” menti poste a loro guida avessero avuto una briciola d’intelligenza.

In passato, almeno, le cose erano concepite per durare a lungo; c'è voluta la genìa dei capitalisti per ridurre artificiosamente il tempo di vita di ciò che invece avrebbe potuto essere realizzato per offrire servizio in piena efficienza per centinaia di anni.

Col passare del tempo, la "strepitosa" capacità cognitiva di questa sottospecie di esseri umani dediti al profitto, ha raggiunto una vetta di pensiero così “elevata” da riuscire ad ideare ogni sorta di strategia per spingere le masse a gettare via le cose il prima possibile, da un lato, agendo con dei veri e propri condizionamenti mentali, e dall'altro, predeterminando in fase di progettazione la durata delle merci, introducendo guasti programmati, difetti di fabbricazione occulti ed utilizzando materie prime scadenti. E tutto ciò per guadagnar denaro!

Tra una tecnica inquinante, ma economica, ed una metodologia rispettosa dell'ambiente, ma costosa, i capitalisti hanno puntualmente privilegiato quella che gli consentiva di arricchirsi in maggior misura. 

Di minimizzare l'impatto ambientale? Non se ne parla! Il dogma è quello di massimizzare il profitto! 

È questa la pasta di cui sono fatti questi sedicenti “benefattori” elogiati da masse prive di coscienza perché con il loro operato danno “lavoro” all’umanità, mantenendola in condizione di schiavitù, sfruttando i propri simili, gli animali e distruggendo l’ambiente.

Adottando delle logiche così miopi e scellerate, era evidente fin dal principio che l'umanità non avrebbe avuto altro destino che non fosse quello di violare di misura ogni limite indispensabile per assicurare la sostenibilità. 

E non ci vorrà ancora molto tempo prima di arrivare al punto in cui le risorse necessarie per continuare a sostenere questo genere di modello socio-economico, con tutte le sue eclatanti inefficienze e le sempre più evidenti contraddizioni, si esauriscano ed il livello di contaminazione ambientale divenga intollerabile.

La situazione è così disperata che non si può più fingere che il problema non esista, continuando a nascondere la polvere sotto il tappeto... e così, per tentare di rimediare ai disastri prodotti dalla messa in atto delle concezioni dei più grandi “geni” dell'economia, che con i loro modelli economici avrebbero dovuto sollevare l'intera umanità dalla miseria, emancipandola dal lavoro, ma che invece hanno finito per gettare le basi per l'estinzione di ogni forma di vita presente sulla Terra, senza peraltro risolvere né il problema della povertà né quello della schiavitù del lavoro, aggravando per giunta la già infima condizione di miseria esistenziale degli esseri umani, ecco che oggi subentrano degli altri grandi “geni” in loro supporto, i quali millantano di aver concepito un nuovo modello economico, ancor più geniale del precedente, per risolvere i problemi ecologici dell'umanità: l'economia circolare. 

E tutto ciò è stato fatto introducendo una piccola modifica al modello economico esistente (quello che ha causato le problematiche ambientali), senza rimettere minimamente in discussione né il modello né le sue dinamiche fondamentali!


L'economia circolare

L'idea centrale, posta alla base di questa “rivoluzionaria” concezione economica propagandata dai nostri novelli salvatori dell'umanità, consiste nel “prendere” i due estremi dell'economia lineare per congiungerli tra loro, riportando all'inizio della catena i “rifiuti” generati dai consumatori per riutilizzarli nei processi produttivi, ovviamente dopo un'opportuna lavorazione.

In altri termini, ciò che nell'economia lineare è considerato un inutile “rifiuto”, nell'economia circolare diviene una “preziosa” materia prima (seconda) da recuperare e reimpiegare per alimentare il sistema, senza dover estrarre nuova materia prima “vergine”. 

Al termine del secondo giro, i nuovi "rifiuti", derivanti da prodotti costruiti con materia prima seconda, verranno a loro volta recuperati e reimpiegati nella produzione di altri beni, divenendo materie prime terze, e poi quarte, quinte e così via, ed ecco che il ciclo si chiude, dando luogo ad un'economia “circolare”. 

L'umanità è salva e può continuare a prosperare... e invece no!

Diciamo subito che, allo stato attuale della conoscenza scientifico-tecnologica, a meno di voler rinunciare alla quasi totalità delle comodità e delle più diffuse tecnologie, l'economia circolare non può esistere, perché la sua piena attuazione risulta fisicamente impossibile.

Inoltre, anche se per assurdo si potesse effettivamente implementare un sistema circolare, non si riuscirebbero comunque a risolvere i problemi ecologici dell’umanità, perché “non produrre rifiuti da gettare in discarica” non significa, in modo necessario, “non produrre inquinamento”.

Ciò vuol dire che si può continuare ad inquinare pur riciclando tutte le materie prime contenute nei beni gettati via.

Non è affatto difficile comprendere perché sia impossibile “chiudere il cerchio” e come mai la strategia “rifiuti zero” non implichi “inquinamento zero” ed ancor meno comporti la fine dei problemi ambientali dell'umanità, infatti: 

1) non tutte le materie prime possono essere riciclate; 
2) non tutto ciò che può essere riciclato, può essere reimpiegato per la medesima finalità di partenza;
3) non tutto ciò che può essere riciclato, può essere riciclato all'infinito;
4) produrre, consumare e riciclare non sono attività “innocue” per l'ambiente;
5) una parte di materia/energia viene irrimediabilmente ed inevitabilmente “dissipata” durante le fasi di produzione, consumo e riciclaggio.

Quindi, a meno di voler cessare di utilizzare materie prime che non possono essere riciclate senza limiti e senza vincoli di impiego dovuti alla perdita di qualità causata dal processo di riciclaggio e di trascurare gli effetti “dissipativi” legati alla trasformazione e all'utilizzo della materia/energia, si dovrebbe già immediatamente concludere che quanto fin qui esposto sia più che sufficiente per confutare la concezione ideale dell'economia circolare. 

Se poi si prendessero in seria considerazione le conseguenze dovute all'estrazione di materia prima vergine e di stoccaggio dei rifiuti non riciclabili, senza dimenticare gli effetti ambientali nocivi legati ai processi di produzione, consumo e riciclaggio, ecco che la promessa messianica di una nuova economia “senza” rifiuti tinta di verde che salverà l'umanità, perderebbe di ogni efficacia. 

Del resto, anche i processi di riciclaggio hanno il loro impatto ambientale, e alcuni di essi sono perfino inquinanti. Ciò significa che possono verificarsi dei casi limite in cui, tenuto conto di tutto il ciclo di vita di un prodotto, la soluzione circolare apporta, nel suo complesso, un impatto ambientale addirittura superiore rispetto all'analoga strategia lineare! 

L'effetto evidenziato al punto 5), quello della "dissipazione" della materia/energia, è più sottile da cogliere rispetto alle criticità esposte negli altri punti, ma la sua esistenza non può essere ignorata, in quanto influisce negativamente in relazione all'obiettivo della piena sostenibilità; si tratta, in particolare, di un continuo processo legato all'utilizzo della materia, che è responsabile della trasformazione da materia “disponibile”, ovvero effettivamente impiegabile per scopi umani, a materia “degradata”, vale a dire materia non più utilizzabile per finalità antropiche.

Questo fenomeno è intimamente legato al principio di aumento dell'entropia enunciato in termodinamica ed esteso, in modo opportuno, al caso della materia (per approfondire si faccia riferimento agli studi di Nicholas Georgescu-Roegen), ma può essere compreso con dei semplici esempi, tra cui, i più evidenti, sono quelli legati all'attrito.

Si pensi ai battistrada delle gomme delle automobili, i quali, a causa della frizione con l'asfalto, si degradano, disperdendosi nell'ambiente sotto forma di polveri sottili. 

Si consideri che nella sola Europa ogni anno giungono a fine vita 5 milioni di tonnellate di pneumatici usurati. Assumiamo che il 20% di questo peso si sia disperso nell'ambiente durante l'utilizzo. 

Se così fosse, 1 milione di tonnellate di gomma non sarebbe più disponibile e dovrebbe comunque essere “estratta” e immessa nel ciclo di produzione come materia prima “vergine”, così come avviene usualmente con un sistema lineare. 

Questo dato è certamente sottostimato, se si guarda alla reale situazione mondiale. 

L'azienda Michelin, infatti, ha effettuato un calcolo con dati puntuali stabilendo che se tutti gli pneumatici equipaggiati sulle autovetture venissero utilizzati fino a quando il loro battistrada non scende al di sotto dei 1,6 mm di spessore, e non dei 3 mm, si potrebbero risparmiare ogni anno 1,5 milioni di tonnellate di materie prime.

Ciò significa che ogni millimetro di battistrada consumato dalle automobili che viaggiano nel mondo ogni anno corrisponde a più di 1 milione di tonnellate di gomma dispersa nell'ambiente sotto forma di polveri, che sarei proprio curioso di sapere come i teorici dell'economia circolare intendano recuperare.

Qualcuno penserà che, almeno, applicando una concezione circolare, la restante parte di gomma non dispersa potrebbe essere riciclata per produrre altri pneumatici per le automobili. 

E invece non è affatto così che vanno le cose, perché, per ragioni tecniche, la gomma vulcanizzata è difficile da riciclare e, dopo esser stata processata, di norma, non viene riutilizzata per produrre nuovi pneumatici, se non di rado e in piccole quantità (inferiori al 20%), ma può essere impiegata soltanto per altre finalità, come ad esempio la realizzazione di miscele di asfalti, superfici per lo sport, guaine isolanti, suole per le scarpe... e così via. 

In ogni caso, allo stato attuale della tecnica, la percentuale di gomma recuperabile non supera il 70% (e questo nella migliore delle ipotesi), ma gli esperti ci rassicurano dicendo che nulla va sprecato, perché il restante 30% viene “valorizzato” (si legga “bruciato”) producendo energia (e inquinamento), sempre ammesso che le gomme non vengano integralmente triturate per produrre combustibile da utilizzare nelle industrie ad alta intensità energetica come fonte di energia rinnovabile [Sic!]. 

Rendiamoci conto a che livello d'imbecillità è giunta l'umanità: il bruciare pneumatici triturati per produrre energia, immettendo nell'aria sostanze tossiche tremendamente nocive per la salute degli esseri viventi, è classificato, a norma di legge, come una pratica “virtuosa” facente parte della cosiddetta “Green Economy” (economia verde)

Tenuto conto di queste precisazioni, il massimo che si può riuscire a fare, in via del tutto teorica, è recuperare al più il 70% della gomma che altrimenti sarebbe finita in discarica, destinandola in larghissima parte a finalità diverse dalla produzione di nuovi pneumatici. E tutto ciò al netto dei fenomeni di dispersione della materia dovuti agli attriti, ai processi chimici etc etc.

In altri termini, ad oggi, già il solo mantenimento in essere del parco auto renderebbe fisicamente impossibile la realizzazione di una vera economia circolare.

Ne consegue che se si volesse seriamente mettere in atto una strategia che preveda il raggiungimento dell'obiettivo rifiuti “zero”, si dovrebbe rinunciare alla produzione degli pneumatici per le automobili e quindi, fin quando le macchine non voleranno, anche al loro utilizzo.

Pazienza, ce ne faremo una ragione. Peraltro, eliminando le automobili, oltre a ridurre significativamente l'impatto ambientale, si eviterebbe anche che continuino a compiersi delle stragi di animali ed esseri umani coinvolti in gravi incidenti.

Io sono pronto a compiere un simile passo, anche perché ormai sono diversi anni che non possiedo più un'auto di proprietà e, di norma, non ho bisogno di spostarmi, perché sto benissimo nel mio piccolo paese sperso in mezzo alle montagne dell'Umbria, ma non credo che, in generale, gli sbandieratori dell'economia circolare siano così felici di scoprire di dover rinunciare alle loro automobili per essere coerenti con la loro ideologia. 

Ed ancor meno questa idea sarebbe accolta da tutti quei parassiti che traggono lauti profitti dalla vendita degli autoveicoli e dalla realizzazione delle infrastrutture che rendono possibile il loro utilizzo (si pensi alle strade, alle gallerie ed ai ponti), fregandosene altamente di tutti i disastri ambientali ad essi connessi.

Tra i materiali inquinanti che non possono essere riutilizzati per il medesimo impiego, e che non possono essere riciclati all'infinito, citiamo, en passant, il caso della plastica.

Ogni volta che questo materiale viene riciclato il polimero rigenerato fornisce prestazioni meccaniche inferiori rispetto a quello da cui è stato derivato. 

Inoltre, a causa del pericolo di contaminazione, la plastica atossica, inizialmente utilizzata per finalità mediche e/o alimentari, una volta riciclata, non può più essere reimpiegata per i medesimi scopi.

Si comprende quindi che neanche la plastica potrebbe essere utilizzata nell'ottica di un'economia circolare e quindi andrebbe sostituita con qualche altro materiale...

Estendendo questo genere di argomentazioni, analizzando tutto ciò che viene usualmente prodotto e consumato, si può intuire che l'economia circolare, in realtà, sia un'economia a spirale: il massimo che può essere attuato è un sistema che continuerà a produrre scorie, perché nella realtà fattuale soltanto una parte dei rifiuti può essere effettivamente reimmessa in circolo, ed una porzione ancora più piccola di ciò che viene reimmesso può essere riutilizzato in modo indefinito, almeno in teoria...

Infatti, al verificarsi di ogni “ciclo” economico di produzione e consumo, come minimo, si dovrà reintegrare la materia “dissipata” non più disponibile per le finalità antropiche. E ciò accadrebbe anche per quelle materie che potrebbero essere riciclate ad libitum.

Pertanto, se si vorrà continuare a mantenere costante la produzione di beni e servizi nel tempo, si avrà comunque la necessità di un flusso di materia prima “vergine” da immettere nel ciclo economico che, per forza di cose, dovrà essere estratta dall'ambiente. Senza considerare il caso in cui s'intenda far crescere l'economia! 

Inoltre, si dovrebbe fare i conti anche con un altrettanto inevitabile flusso di scorie inquinanti generato da materia trasformata, utilizzata, dissipata, dispersa e/o non (più) riciclabile che, in qualche misura, ammesso che non si escluda l'utilizzo di ogni materia prima non biocompatibile, andrebbe a contaminare l'ambiente.

Ciò prova l'impossibilità della realizzazione di un'economia circolare e ridimensiona fortemente il suo impatto positivo per le ragioni che andremo subito a precisare.

Assumiamo di aver già trasformato l'odierna economia adottando una nuova concezione basata, per quanto possibile, sulla filosofia circolare: avremmo forse risolto i problemi ecologici dell'umanità? 

Assolutamente no!

Come abbiamo già sottolineato, quello della gestione dei rifiuti è soltanto una delle cause dei problemi ecologici: estrarre materie prime inquina, così come trasportarle e trasformarle. Lo stesso utilizzo dei beni e dei servizi porta con sé un certo impatto ambientale. Inoltre bisogna produrre e distribuire energia per rendere possibili questi processi, ed anche ciò, in qualche misura, si ripercuote negativamente sull'ambiente.

L'economia circolare intende sostituire l'estrazione e lo stoccaggio in discarica con il riciclaggio ed il riuso, ma, per quanto mostrato fino ad ora, sappiamo che può farlo soltanto in modo parziale; inoltre anche il riciclaggio non rappresenta un'operazione “indolore” per l'ambiente, in quanto riciclare può essere a sua volta una fonte di inefficienza e d'inquinamento addirittura maggiore rispetto al processo lineare.

Ciò, in generale, non è vero per il riuso, ovvero per le pratiche di riutilizzo di un bene “così com’è", come accade, ad esempio, nel caso del vuoto a rendere per le bottiglie di vetro, oppure per il riuso creativo, dove un oggetto giunto a fine vita trova un reimpiego con altre finalità rispetto a quelle per cui era stato inizialmente concepito, come quando, ad esempio, si realizza un’altalena o un vaso con un copertone usurato.

Purtroppo si possono muovere due obiezioni significative anche al riuso: la prima, è che non tutto si può riutilizzare, sia in senso creativo che non, anzi, a ben pensare, per quanto lodevole ed amica dell'ambiente, la strategia del riuso può essere impiegata in modo efficace soltanto in una piccola casistica di situazioni; la seconda, è che anche la pratica del riuso è condannata a pagare un seppur minimo tributo all'incremento d'entropia.

Ad esempio: il risciacquo dei contenitori di vetro può contaminare l'acqua; una certa percentuale di bottiglie può rompersi; molto spesso il riuso creativo non può essere attuato senza eliminare una parte dell'oggetto originario e comunque l'efficacia di tale pratica è a sua volta limitata nel tempo. Quindi, prima o poi, si dovrà comunque riciclare l'intero materiale che componeva il bene riutilizzato, ammesso che sia possibile.

Si comprende quindi che, senza intervenire anche su tutti gli altri anelli della "catena" del sistema economico, gli effetti benefici dovuti alla transizione da una tipologia di concezione economica all'altra non siano poi così eclatanti, come invece vorrebbero farvi credere. Ciò è ancor più vero, se si sceglie di evitare di affrontare la contraddizione principale dovuta alle logiche dell'odierna economia, di cui ci occuperemo a breve.

Si può quindi concludere che, nella migliore delle ipotesi, l’economia “circolare” consenta di produrre e riprodurre beni e servizi ritardando l’esaurimento delle risorse e rilasciando rifiuti e scorie più lentamente nell’ambiente, pur continuando ad inquinare a causa dei processi legati alla produzione, all’utilizzo e al riciclaggio.

In altri termini, srotolando la spirale che descrive l'effettivo processo dovuto all'applicazione alla realtà fisica della concezione teorica ideale dell'economia circolare, si ottiene nuovamente un'economia lineare con una durata temporale maggiore, ma pur sempre finita. 

Inoltre, osserviamo come l'incremento del numero di beni prodotti, consumati e riciclati, l'ampliamento della platea di consumatori e/o la diminuzione della durata in vita delle merci, ricercati per ottenere una crescita economica, ridurrebbero comunque la lunghezza temporale della spirale, esaurendo più rapidamente le risorse e peggiorando ulteriormente i livelli d'inquinamento già in essere.

Assumiamo ora che esista un punto di non ritorno, superato il quale l'umanità causerebbe un collasso dell'ecosistema compromettendo l'esistenza del 90 % dei viventi. Ed assumiamo anche che, mantenendo la concezione lineare, tale limite sarebbe raggiunto nel 2050 (una previsione che, temo, non si discosti di molto dalla realtà).

Il massimo che si potrebbe ottenere adottando la concezione “circolare” è di spostare in avanti la data del collasso di un certo lasso di tempo, ad esempio di 25-50 anni, consentendo a quel 90 % di esseri viventi di sopravvivere fino al 2075-2100. 

E tutto ciò, a patto che il sistema si mantenga in uno stato stazionario, perché se così non fosse, e l'economia continuasse a crescere, dando luogo a dinamiche esponenziali, con ogni probabilità, il lasso di tempo addizionale, guadagnato introducendo il paradigma “circolare”, sarebbe completamente eroso dall'impatto ambientale e dall'inquinamento dovuti al verificarsi dell'extra-crescita. E così potrebbe perfino accadere che la data del collasso ritorni a coincidere con quella del precedente sistema lineare o le fosse perfino inferiore!


Ecologia ed economia

A questo punto abbiamo tutti gli elementi per rispondere alla seguente domanda, aggiungendo degli ulteriori spunti di riflessione di fondamentale importanza: che senso ha introdurre l’economa “circolare” per arginare il problema della scarsità delle materie prime e limitare il conferimento di rifiuti in discarica, se poi questa strategia è funzionale alla continuazione di quel processo basato su crescita e iper-consumo che è responsabile della distruzione, dell’inquinamento e dell’insostenibilità ambientale?  

La risposta è evidente: di rimandare un cambio di paradigma radicale, senza il quale non è possibile mettere in atto le vere soluzioni ecologiche, lasciando intatto, nelle sue dinamiche essenziali, il sistema capitalistico, così che chi ne ha tratto beneficio fino ad ora possa continuare a farlo ancora per un altro lasso di tempo. 

Il punto centrale della questione ecologica, che i sedicenti "ecologisti" al servizio del Potere ben si guardano dall'affrontare in modo schietto, diretto ed esplicito, è che l'ecologia è intrinsecamente incompatibile con l'odierno sistema economico basato sulla crescita e sull'egoistica ricerca dell'arricchimento personale di agenti economici che operano in un regime di (libero) mercato.

La logica del profitto è incompatibile con la logica dell'ecologia: è questa la contraddizione principale da mettere in evidenza, e da risolvere, se s'intende raggiungere la “sostenibilità”.

Ma questa contraddizione può essere risolta soltanto effettuando un cambio di paradigma, passando da un sistema che ricerca una crescita infinita in un mondo finito, mettendo in atto non ciò che è bene per l'ambiente e per l'umanità, ma ciò che genera profitto ed è reputato economicamente ammissibile, ad un sistema che invece tenga in considerazione le leggi della fisica ed i limiti dovuti alla finitezza del pianeta Terra, e che metta in atto soltanto ciò che è giusto, utile e fisicamente possibile, per assicurare la miglior esistenza dei viventi, in modo completamente svincolato dalle questioni metafisiche legate al denaro. 

Tenuto conto del fatto che l'umanità, nel suo complesso, ha già ampiamente superato i limiti della sostenibilità, sprecando risorse finite in modo irresponsabile e scellerato, inquinando stupidamente l'intero ecosistema e sottraendo ampi spazi vitali alle altre forme di vita, come minimo, se si vorrà muovere qualche passo in avanti, non solo si dovrà abbandonare la ricerca della crescita adottando un modello che preveda il raggiungimento di uno stato stazionario, ma addirittura, in una prima fase, tale sistema dovrà decrescere, per cercare di riportarsi a dei livelli d'impatto ambientale compatibili con la capacità di rigenerazione della biosfera e le esigenze di sopravvivenza di tutti gli esseri viventi presenti sulla Terra, non solo degli esseri umani.  

Il fatto che una crescita continua non sia sostenibile in un mondo finito e, a lungo andare, causi per forza di cose delle problematiche ambientali, è un fatto talmente banale che non ha alcun bisogno di essere argomentato.

A ben pensare, l'unico sviluppo sostenibile è quello spirituale. 

Ma non è difficile neanche comprendere perché, in generale, la ricerca del profitto sia incompatibile con l'ecologia, anche se in questo caso spenderò qualche parola in merito, visto che in molti sembrano ancora convinti del contrario. 

Siamo tutti d'accordo che nell'ultimo secolo gli esseri umani abbiano inseguito il profitto. E siamo tutti d'accordo anche sul fatto che abbiano compromesso oltremisura l'ambiente. 

Se c'è una cosa che gli attori economici della società capitalistica sanno fare, è proprio quella di escogitare soluzioni per generare profitto. Pertanto, si può esser certi che se la cura dell'ambiente avesse rappresentato una via maestra per arricchirsi, i capitalisti avrebbero sicuramente colto quest'occasione. Ma così non è stato.

Già questo è sufficiente per concludere, a livello logico, che l'ecologia sia incompatibile con la ricerca del profitto, perché se così non fosse a quest'ora l'umanità avrebbe vissuto in un mondo pulito, vitale e rigoglioso, cosa che invece non è.

Onestamente non so proprio come si possa essere così ottusi da sostenere il contrario, dato che se lo scopo è produrre e vendere per realizzare profitto, è evidente che l'obiettivo diventi far consumare più cose possibili alla più vasta platea di persone il più velocemente che si può; ma ciò è chiaramente incompatibile con le esigenze dell'ecologia, che invece richiederebbe di minimizzare la produzione e il consumo di beni e servizi, e non di massimizzarli. 

Se lo scopo è ricavare il massimo del profitto e la strategia migliore per abbattere i costi di produzione consiste nel realizzare i beni dall'altra parte del mondo rispetto a dove saranno consumati, costruendo ed utilizzando a tal fine mezzi di trasporto che sarebbero completamente inutili se non si dovessero movimentare ingenti quantitativi di merci, ecco che i capitalisti ignoreranno le problematiche ecologiche, che, in molti casi, potrebbero essere banalmente risolte producendo e consumando a km zero (si pensi ad esempio al caso della frutta e della verdura).

Supponiamo che per realizzare un bene si debba utilizzare dell'acqua che uscirà dal ciclo di produzione contaminata e si debbano immettere nell'aria delle sostanze inquinanti; supponiamo anche che sia tecnicamente possibile purificare sia l'aria che l'acqua agendo con degli appositi filtri dal costo elevato. 

Secondo voi il mercato quale azienda premierebbe? Quella che venderebbe i suoi prodotti ad un prezzo esorbitante perché intende prendersi cura dell'ambiente, o quella che commercializzerebbe i medesimi prodotti ad un prezzo decisamente più basso rispetto alla concorrenza?

Ed inoltre, tenuto conto che l’obiettivo del capitalista è quello di ottenere il più alto guadagno personale possibile, se quest’ultimo potesse evitare di utilizzare i filtri con qualche scappatoia, secondo voi, che cosa farebbe? 

Sacrificherebbe il profitto rischiando di fallire per il bene del pianeta, o cercherebbe di accrescere il proprio utile commercializzando un bene ad un prezzo competitivo fregandosene altamente dell’ambiente?

Ovviamente le precedenti domande sono retoriche. E non si è nemmeno tenuto conto del fatto che, anche imponendo per legge l'obbligo di purificare l'aria e l'acqua contaminate dai processi industriali, pur di realizzare il maggior profitto possibile, alcuni capitalisti cercherebbero comunque di risparmiare sui processi di filtraggio... ma tutto ciò è chiaramente in contrasto con le esigenze dell'ecologia, che invece avrebbe bisogno di non lesinare neanche un centesimo in tema di purificazione e filtraggio. 

In generale, vizi e sprechi dei consumatori generano profitto, quindi se il sistema è orientato al guadagnar denaro, vizi e sprechi saranno sempre i benvenuti, nonostante portino con sé conseguenze negative a livello ambientale... si potrebbe andare avanti ancora a lungo fornendo degli ulteriori esempi, ma ci fermiamo qui. 

A questo punto della trattazione, bisognerebbe cercare di cogliere uno, o più, principi generali, ammesso che ve ne siano, la cui attuazione consentirebbe di evitare il verificarsi delle criticità fin qui evidenziate, orientando l'azione in modo da renderla compatibile con le esigenze dell'ecologia, senza perdere di vista il benessere degli esseri viventi.  

I teorici dell'economia circolare sostengono di essersi ispirati alla natura, perché, a dir loro, essa compirebbe dei cicli chiusi perfetti. Io invece ritengo che la caratteristica essenziale della natura a cui ispirarsi, e da cui i cosiddetti cicli “chiusi” scaturiscono di conseguenza, sia un'altra. 

In verità, ogni volta che sento dire che la natura compie dei cicli “chiusi” mi viene da ridere, ripensando a quando un mio amico geologo mi spiegò, per la prima volta, che il Monte Cucco è quasi interamente composto da stratificazioni di carbonato di calcio dovute a resti di animali marini depositatisi nei mari milioni e milioni di anni fa ed innalzatisi al di sopra dell'acqua a causa dello scontro tra le placche continentali dell'Africa e dell'Eurasia.

Pertanto, affermare che la natura non produca “scarti” nei suoi cicli non è del tutto corretto. Se non ci fossero stati “scarti” nei processi naturali non si sarebbe formato il petrolio.

Che poi in natura non esistano “scarti”, perché tutto ciò che esiste è naturale ed in quanto tale è compatibile con la natura, questo è senz'altro vero, ma si tratta di un altro discorso. Anche le radiazioni prodotte dalla più potente bomba atomica sono perfettamente compatibili con la natura.

Il problema dell'inquinamento, ovvero della produzione di rifiuti ed emissioni “dannosi” dispersi nell'ambiente, dal punto di vista della Terra non sussiste; il problema dell'inquinamento riguarda le forme di vita presenti sulla Terra.

Affermare che bisogna salvare il pianeta dall'inquinamento non ha alcun senso: la Terra non ha bisogno di essere salvata da niente e da nessuno, sono gli esseri umani che hanno bisogno di salvaguardare l'ambiente per mantenersi in vita.

Ciò che possiamo sostenere è che la natura tenda a massimizzare l'efficienza dei suoi processi, o se preferite, a minimizzarne l'inefficienza: ecco qual è il principio fondamentale a cui ispirarsi.

Sia ben chiaro che questi termini non devono essere intesi nel senso distorto attribuito ad essi dall'odierna concezione economia. La natura non sa assolutamente nulla dell'economia inventata dagli esseri umani, ma invece è una profonda conoscitrice delle questioni fisiche. 

Traendo ispirazione dalla natura si può concludere che per implementare un'organizzazione sociale che dia luogo a delle dinamiche che siano "compatibili", per quanto possibile, con la salubrità dell'ambiente, si debba guardare all'efficienza, intesa in senso fisico. 

Ma ecco che, una volta individuato un buon criterio da seguire, riemergono subito delle eclatanti contraddizioni dovute alla completa irrazionalità dell'odierno sistema economico costruito su assunti metafisici che non tengono in considerazione la realtà fisica sulla quale intendono operare. Ad esempio:

1) consumare frutta biologica prodotta a km zero è assai più efficiente rispetto all'acquistare frutta avvelenata prodotta e importata dall'altra parte del mondo: questo è evidente. Ma per come vanno le cose oggi, la frutta biologica prodotta a km zero ha un costo maggiore rispetto a quella importata, e quindi, in senso economico, è più “efficiente” produrre all'estero invece che in loco.

2) fare in modo che ogni individuo possieda un'automobile che resta immobile per il 95% del tempo, e che magari, per questioni estetiche o con la scusa dell'inquinamento ambientale, viene sostituita in media ogni 5 anni, è decisamente meno efficiente rispetto alla realizzazione di un sistema di trasporto pubblico scientificamente tarato sulle esigenze di spostamento degli esseri umani in modo da rendere sconveniente l'acquisto e l'utilizzo delle automobili. 

Ma se si attuasse quest'ultima soluzione, l'odierno sistema economico sarebbe ridotto al collasso perché il PIL diminuirebbe drasticamente. 

3) Ora, immaginate che ci siano 100 automobili utilizzate esattamente da 100 persone che vengono rottamate alla fine di ogni anno, e che tali vetture siano prodotte e riprodotte da 10 aziende grazie al lavoro di 20 operai. 

Supponiamo che utilizzando in modo condiviso le automobili siano sufficienti solo 20 autovetture per soddisfare le medesime necessità di quei 100 individui.

Se si adottasse un sistema di trasporto basato sull'utilizzo condiviso degli autoveicoli, è evidente che alcune di quelle aziende sarebbero condannate al fallimento e che 16 lavoratori su 20 verrebbero licenziati, perché la forza lavoro sufficiente a soddisfare la domanda di automobili utilizzate in comune sarebbe soltanto di 4 lavoratori.

Estendete un'analoga argomentazione a tutti gli oggetti che potrebbero essere ragionevolmente utilizzati in comune, e comprenderete, con gran facilità, che un'economia basata sulla condivisione dei beni sia completamente incompatibile con l'odierno sistema economico, perché se questa logica ecologica venisse attuata in modo massivo ne causerebbe immediatamente il fallimento, pur rappresentando un'ottima strategia per minimizzare le problematiche ambientali.

Si osservi che, da un punto di vista fisico, le soluzioni basate sull'utilizzo condiviso dei beni incrementerebbero drasticamente l'efficienza del sistema socio-economico, e quindi, in ultima analisi, migliorerebbero la sostenibilità a lungo termine.

In generale, però, gli incrementi di efficienza, intesi in senso fisico, volti alla tutela dell'ambiente, distruggono posti di lavoro e fanno svanire grandi opportunità di generare profitto, inducendo una drastica riduzione del PIL. 

Ma tutto ciò oggi è considerato come il peggiore dei mali possibili, sebbene non sia affatto un male in senso assoluto, visto che le persone avrebbero comunque a disposizione i beni per soddisfare i loro bisogni, lavorando di meno e riducendo addirittura il loro impatto ambientale.

Questo però non significa che bisogna continuare a mantenere in essere dinamiche altamente inefficienti e irrazionali perché sennò milioni di persone rimarrebbero senza lavoro, significa invece che si deve cambiare modello economico, sostituendolo con un altro in cui gli incrementi di efficienza attuati nell'interesse dell'umanità non inducano problematiche sociali. 

Quanto fin qui sostenuto è già sufficiente per dimostrare che le migliori soluzioni nell'ambito dell'ecologia non possono essere attuate, non perché non esistano o perché non le si possa fisicamente implementare, ma a causa della loro incompatibilità con le odierne logiche economiche, le quali sono una pura invenzione metafisica che, in quanto tale, può essere modificata in modo arbitrario, nonostante qualcuno voglia farvi credere che non sia così e che si debba necessariamente rispettare la presunta volontà del dio Mercato.

Perché la pratica del riciclaggio non è stata una parte integrante delle dinamiche economiche capitalistiche sin dal principio? 

Perché, come abbiamo già sottolineato, da un lato non era fisicamente possibile riciclare, e dall'altro, quando invece il riciclaggio era fisicamente possibile, in generale, riciclare non risultava economicamente vantaggioso, ovvero, non generava un profitto sufficientemente elevato da giustificare la sua attuazione.

Tutto ciò a riprova dell'incompatibilità tra le logiche del profitto e l'ecologia.

Da qui in avanti, cessiamo di ragionare in termini di profitto, svincolando la mente dalle gabbie di pensiero indotte dell'odierna società, e cerchiamo di comprendere cosa si dovrebbe fare per minimizzare i danni ambientali, dando vita ad un'organizzazione socio-economica tecnologicamente avanzata che sia quanto più possibile “sostenibile” (ammesso che sia possibile!).

In linea di principio, il massimo che si può fare consiste nel fissare un paniere di beni e servizi effettivamente utili, che s'intende fornire all'umanità, e di minimizzare l'impatto ambientale per ottenere questo obiettivo, mettendo in pratica le migliori soluzioni a disposizione per massimizzare l'efficienza.

Come avremo modo di comprendere, tutto il resto non è che una banale conseguenza dovuta all'attuazione del principio generale di minimizzazione dell'impatto ambientale, il cui esito dipende in larga parte dalla conoscenza scientifico-tecnologica raggiunta.

Per quanto argomentato in precedenza, è ormai chiaro che un simile principio possa essere pienamente rispettato soltanto all'interno di un sistema economico che consenta di attuare tutto ciò che è fisicamente possibile, e non ciò che assicura un profitto. 

In altri termini, è oltremodo chiaro che l'umanità necessiti di un nuovo sistema economico che possa agire in modo completamente svincolato dal denaro e dalle sue logiche deleterie e limitanti.  

Assumiamo, come ipotesi di lavoro, che un simile sistema economico esista, e continuiamo con la nostra riflessione (questo paradigma innovativo è illustrato nella sezione del mio Trattato di sociologia dedicata all'economia).

Ora che abbiamo le mani completamente libere, perché non dobbiamo preoccuparci di non creare disoccupazione o di non avere soldi per fare le cose di cui invece l'umanità avrebbe bisogno, chiediamoci: quale sarebbe la miglior strategia ecologica da attuare?

Per prima cosa, invece di intervenire a valle della produzione e del consumo, tentando disperatamente di porre rimedio ai danni quando ormai sono già stati compiuti, converrà agire a monte, ancor prima che si causino i disastri ambientali.

Una strategia molto importante per tentare di costruire una società ecologica consiste nel minimizzare la produzione di beni e servizi, in quanto tutto ciò che non viene costruito/fornito non produce di certo alcun tipo di distruzione e/o inquinamento, ed inoltre consente di conservare le risorse vergini non rinnovabili per le eventuali esigenze delle generazioni future.

Pertanto, in linea di principio, meno si produce e meglio è. 

Questo assunto fondamentale non viene mai preso in considerazione dai sedicenti “ecologisti” che vorrebbero “salvare” il pianeta, e invece rappresenta il fattore più importante nelle dinamiche ecologiche.  

Che senso ha predicare il riuso ed il riciclo di una quantità sterminata di rifiuti, se prima non ci si preoccupa di fare in modo che la produzione dei beni sia ridotta ai minimi termini?

Nella giusta ottica, la minimizzazione della produzione non ottimizza soltanto il problema della gestione dei rifiuti, ma si ripercuote positivamente sull’intero processo economico, riducendo, in un sol colpo, anche l’inquinamento dovuto all’estrazione delle materie prime, alla loro trasformazione e all’impatto ambientale legato al conseguente consumo.

Per le medesime argomentazioni, si può asserire che, in generale, meno si consuma e meglio è, e che, quando si consuma, meno si spreca e meglio è. 

Vista la loro importanza, la minimizzazione della produzione, del consumo e degli sprechi, andrebbe posta a fondamento di ogni visione che intenda definirsi ecologista. 

Si comprende quindi che un'economia "circolare" inserita in un contesto capitalistico non può dirsi ecologista, in quanto l'economia capitalistica non si preoccupa di ridurre all'essenziale né la produzione, né il consumo e neanche gli sprechi.

Dai principi fin qui elencati discendono in modo naturale tutta una serie di soluzioni che consentono di perseguire l'obiettivo della minimizzazione dell'impatto ambientale. Ad esempio, per produrre il meno possibile sarà utile produrre al meglio.

I beni dovrebbero essere concepiti e realizzati per avere la più lunga durata in vita possibile in base alle migliori conoscenze scientifico-tecnologiche disponibili. 

Ciò può essere ottenuto ricercando la massima qualità e concependo architetture che consentano le riparazioni delle componenti irrimediabilmente soggette ad usura, senza dover sostituire l'intero apprato, come invece accade oggi, quando ci si sente dire una delle frasi più assurde dell'epoca corrente: «se deve cambiare questo piccolo pezzo, le conviene ricomprare tutto l'apparato».  

Inoltre, per incrementare fortemente l'efficienza del sistema, tutto ciò che può ragionevolmente essere utilizzato in modo condiviso, dovrebbe essere utilizzato in modo condiviso.

Ad esempio, oltre al già citato caso dei trasporti, si potrebbero utilizzare in comune moltissimi utensili, ispirandosi al tipico meccanismo di noleggio delle biblioteche. 

Ciò consentirebbe di minimizzare i tempi di inutilizzo e quindi comporterebbe una drastica riduzione del numero di oggetti da realizzare per soddisfare le necessità di tutti, con gran giovamento per l'ambiente. 

In generale, bisognerebbe minimizzare anche gli spostamenti, sia delle merci che degli esseri umani. Ciò può essere fatto localizzando la produzione e concependo gli ambienti di vita per assicurare benessere e sostenibilità. 

Si consideri, ad esempio, il caso dei pendolari. Se c'è una cosa più folle del dover passare 8 ore al giorno in un'azienda, questa è il dover passare 8 ore al giorno in un'azienda sprecando altre 2 ore per compiere il tragitto casa-lavoro. 

È il mondo del lavoro che dovrebbe piegarsi alle esigenze di benessere degli esseri umani, e non il contrario. Pertanto, o si porta il lavoro in prossimità delle abitazioni, o si forniscono abitazioni in prossimità dei luoghi di lavoro, così che nessuno debba più sprecare la propria vita viaggiando, ed inquinando, inutilmente.

Una volta che si siano effettivamente minimizzati la produzione, il consumo, gli spostamenti e gli sprechi, bisognerebbe comunque affrontare la questione dei rifiuti ed il problema dell'inquinamento, entrambi legati alle varie fasi dei processi socio-economici, ma almeno, così facendo, l'entità di tali problematiche risulterebbe minimizzata, e quindi, se non altro, si riuscirebbe a gestire le criticità ambientali residuali con maggior facilità. 

Ciò detto, per tentare di “chiudere” il cerchio, o meglio, per far sì che il raggio che disegna l'evoluzione dell'economia a spirale decresca il più lentamente possibile, si dovranno adottare tutta una serie di ulteriori accorgimenti.

Ad esempio, si dovrà massimizzare la riciclabilità dei beni agendo già in fase di progettazione dando precedenza all'impiego di materie prime rinnovabili e/o ecocompatibili, così che il maggior quantitativo di rifiuti possa essere effettivamente reimmesso nel ciclo produttivo e la restante parte che non può essere riciclata possa essere riposta nell'ambiente senza causare disastri ecologici.

L'utilizzo di materie prime non rinnovabili, non riciclabili e non biocompatibili, dev'essere impiegato come extrema ratio, ovvero soltanto nel caso in cui non esista alternativa e limitatamente alla produzione di beni di conclamata utilità. 

Com'è noto una società tecnologicamente avanzata ha bisogno di energia. 

Pertanto, anche in questo caso, tenuto fermo l'obiettivo della minimizzazione del consumo energetico, ci si dovrà orientare verso l'utilizzo, la produzione e la fornitura delle fonti energetiche meno impattanti tra quelle rese disponibili dalle conoscenze scientifico-tecnologiche, privilegiando l'energia rinnovabile.

Una volta fatto tutto ciò, bisognerà comunque intervenire per limitare gli effetti negativi dovuti all'inquinamento delle attività socio-economiche, gestire al meglio le scorie e tentare di contenere i danni ambientali.

In linea di principio sarebbe molto più proficuo cambiare approccio metodologico, passando da una mentalità basata sul "dobbiamo minimizzare l'inquinamento" ad un'altra visione basata sul concetto del "non dobbiamo produrre affatto inquinamento". 

Purtroppo, allo stato attuale della tecnica, quest'ultimo approccio è destinato a rimanere un'ottima concezione ideale a cui ispirarsi, ma che all'atto pratico risulta difficilmente praticabile, a meno di voler escludere dalla società la quasi totalità della tecnologia attualmente in uso.

Pertanto, volenti o nolenti, se si vorrà disporre di un minimo di tecnologia avanzata, ci si dovrà accontentare di attuare ogni genere di soluzione volta a contenere e trattare l'inquinamento residuale. 

Ad esempio, si dovranno filtrare le emissioni gassose, purificare i reflui e stoccare in modo adeguato i rifiuti pericolosi e le scorie non biocompatibili che non possono essere reimmesse nel ciclo produttivo... e così via.

Passando da un punto di vista teorico ideale di carattere generale, ad un punto di vista concreto individuale, si può affermare che ogni essere umano dovrebbe dare il suo contributo in prima persona, adottando consapevolmente pratiche virtuose volte alla tutela dell'ambiente, eliminando ogni consumo superfluo e dando precedenza ai comportamenti che producono il maggior effetto positivo sull'ambiente.

È ridicolo installare un regolatore di flusso per risparmiare qualche litro di acqua mentre ci si fa una doccia, se poi si continua a mangiar animali al posto di frutta, ortaggi, legumi e cereali, sapendo che, ad esempio, la produzione di ogni kg di carne di bovino necessita di 15.000 litri d'acqua. 

Ben venga il regolatore di flusso, ma per le questioni ambientali (e non solo) è assai più importante che si verifichi una transizione mondiale del regime alimentare verso una dieta composta esclusivamente da alimenti di origine vegetale, biologici e prodotti a km zero.

Nel modificare le proprie abitudini e gli stili di vita in senso ecologico, è fondamentale che si dedichi del tempo alla cura attiva dell'ambiente, bonificando le zone degradate ed arricchendo la vegetazione mettendo a dimora piante di vario genere.

In altri termini, l'essere umano dovrebbe diventare una sorta di custode della Terra, invece di esserne il distruttore.

Dedicare più tempo a relazioni sociali disinteressate e ad attività creative/spirituali, può essere di grande aiuto per dirigersi nella giusta direzione, coniugando ecologia e felicità. 

È noto, infatti, che chi è "vuoto" dentro tende maggiormente ad "arricchirsi" esteriormente, partecipando a ridicoli processi consumistici per tentare (invano) di compensare la propria miseria interiore, mentre invece chi è felice e appagato, perché ha una grande ricchezza interiore, non sente affatto il bisogno di consumare oltre lo stretto necessario.

Nel loro complesso, le pratiche ecologiche non riducono soltanto l'impiego (e lo spreco) di risorse e l'entità dei disastri ambientali, ma liberano anche da una grande mole di lavoro inutile e dannoso, donando agli esseri umani tempo libero in abbondanza che può essere dedicato ad attività nobilitanti che danno un significato vero e autentico all'esistenza. 

Senza contare che il vivere in un ambiente bello e salubre, a maggior contatto con la natura, non può far altro che migliorare anche le condizioni di salute dell'intera umanità, diminuendo così il bisogno di farmaci e cure mediche.

S'intuisce quindi che la risoluzione delle problematiche ecologiche porti con sé delle conseguenze positive ad ogni livello della società.

L'ecologia, infatti, se declinata nel modo opportuno, consente di disporre di un maggior tempo libero da spendere in un mondo bello e vitale, ricco di biodiversità e di relazioni umane vere, svincolate dalle distorsioni dovute alle questioni economiche. 

Come chiunque può comprendere, tutto ciò non può che avere ripercussioni positive sul generale livello di benessere di tutti gli esseri viventi.

Pertanto, modificare il proprio stile di vita in senso ecologico non significa affatto peggiorare la propria esistenza, come qualcuno invece potrebbe pensare (o essere stato indotto a pensare!), tutt'altro: la realizzazione di una società ecologica è una condizione necessaria per raggiungere la felicità.

Chiaramente, le strategie fin qui esposte devono essere attuate in un sistema economico che, per sua costruzione, si mantenga in uno stato stazionario, con un impatto complessivo scientificamente tarato per essere compatibile con la finitezza della Terra.

Infatti, senza porre termine al folle meccanismo della crescita economica da ricercare come fine in sé, prima o poi, qualunque organizzazione socio-economica, per quanto virtuosa ed efficiente, produrrebbe comunque un disastro ecologico.

Ciò implica, in modo necessario, che si debba stabilizzare anche la popolazione mondiale, perché altrimenti il sistema dovrebbe crescere per soddisfare la richiesta addizionale di beni e servizi dovuta ai nuovi membri della società, ma così facendo, a lungo andare, si oltrepasserebbero di misura i limiti della “sostenibilità”, condannando l'intero sistema al collasso.

Per fare in modo che i limiti ambientali vengano rispettati, producendo ciò che è strettamente necessario per la sopravvivenza di tutti, senza che si accresca l'impatto ambientale realizzando cose inutili ed inessenziali soltanto per una minoranza d'individui, mentre da qualche altra parte del mondo in molti non hanno neppure da mangiare, è importare introdurre una scala di priorità ed un principio di eguaglianza sociale.

Per prima cosa, si produce e si fornisce l'essenziale per assicurare un'esistenza sana e dignitosa a tutti gli esseri umani, con il massimo dell'efficienza, e solo dopo, a patto che i limiti ambientali lo consentano, si valuterà se, come, quando, dove e perché, introdurre beni e servizi che si trovano più in basso sulla scala delle priorità dell'umanità senza causare alcuna ingiustizia sociale.


Riflessioni sulla sostenibilità

Ora che abbiamo individuato le linee guida per attuare la più “ecologica” delle organizzazioni tecnologicamente avanzate, in base alle odierne conoscenze, dobbiamo porci la seguente domanda: siamo riusciti a costruire un modello socio-economico “sostenibile”? 

Assolutamente no, purtroppo neanche così avremmo centrato l'obiettivo della sostenibilità, ed ancor meno avremmo realizzato un'economia circolare. Ciò che invece saremmo riusciti a fare è posticipare il più possibile la data del collasso ecologico, massimizzando l'efficienza del sistema.

Forse, così facendo, l'umanità guadagnerebbe qualche secolo di sopravvivenza, o forse più, ma di certo non avrebbe affatto risolto il problema della sostenibilità in modo definitivo, perché anche mettendo in atto tutte le precedenti accortezze, si continuerebbe a prelevare risorse dal pianeta, impoverire la terra e inquinare aria e acqua, immettendo nell'ambiente materia “degradata” e stoccando materiale inquinante in varie zone del mondo, sebbene tutto ciò avverrebbe con una minore intensità, ovvero in modo più dilazionato nel tempo.

Purtroppo non si può far altro che concludere che, sulla base dell’odierno livello di conoscenza scientifico-tecnologica, l’ottimizzazione di un sistema socio-economico “avanzato”, per quanto spinta e razionale possa essere, non sarebbe in grado di centrare l’obiettivo della piena sostenibilità.

È di fondamentale importanza essere consapevoli che, in generale, l’introduzione di tecnologia comporti anche un certo impatto ambientale che ha, in qualche misura, conseguenze negative sulla natura e sugli esseri viventi, e che purtroppo, allo stato attuale delle cose, tali effetti non sono integralmente eliminabili.

La tecnologia è neutrale soltanto da un punto di vista ideale; quando la si declina al reale perde la sua neutralità. 

Questo significa che la bontà della tecnologia non dipende soltanto da come la si utilizza, ma anche da come essa viene prodotta, dal sacrifico in termini di tempo, risorse e lavoro che deve esser fatto per far sì che la si possa utilizzare, dai danni ambientali che essa produce, ed in generale dall'analisi delle conseguenze che il suo utilizzo induce a livello sociale.

Ciò è vero in particolar modo oggi, all'interno dell'economia capitalistica, dove il vero prezzo da pagare per far sì che una minoranza d'individui possa disporre di tecnologia avanzata consiste nella riduzione in schiavitù di milioni di esseri umani e nella distruzione ambientale a danno di tutti i viventi. 

E sebbene la schiavitù possa essere completamente eliminata dalla società, consentendo di produrre tecnologia senza che vi sia alcuna forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la distruzione e la contaminazione ambientale legate alla produzione e all'utilizzo dell'odierna tecnologia, invece, possono essere soltanto minimizzate, ma non del tutto eliminate.

A questo punto della trattazione qualcuno potrà chiedersi: è effettivamente possibile realizzare un'economia completamente sostenibile? 

Certo: basta tornare a vivere allo stato di natura.

Per farlo, è sufficiente recarsi nelle zone del mondo dove il clima consente agli esseri umani di vivere nudi all'aria aperta, premurandosi di piantare un congruo numero di alberi da frutto e ortaggi vari ispirandosi alle tecniche della permacultura, ricreando una sorta di Giardino dell'Eden in cui si vive completamente liberi alimentandosi così come facevano i progenitori dell'umanità, i quali, con ogni probabilità, derivando da grandi scimmie antropomorfe, erano frugivori. 

Onestamente, non so in quanti sarebbero disposti ad accettare di vivere in un simile modello sociale. È però certo che esso assicurerebbe la massima efficienza e la piena sostenibilità, nonché una grande armonia con l'ordine naturale.  

Qualcuno potrebbe obiettare che si potrebbe mantenere la piena sostenibilità anche introducendo beni materiali che siano ecocompatibili in ogni fase della loro vita, dall'estrazione delle materie prime di cui sono composti alla produzione, passando per l'utilizzo e finendo con la loro re-immissione in natura. Il tutto, impiegando esclusivamente materiali biocompatibili e/o rinnovabili. 

In realtà, una simile obiezione, sebbene sia corretta da un punto di vista teorico, perde di efficacia quando si tenta di applicarla concretamente.

Il problema è che non appena ci si discosta, anche di poco, dallo stato di natura, ecco che s'incominciano a muovere dei passi in direzione della modificazione, dello sfruttamento, della distruzione e dell'inquinamento dell'ambiente, dando luogo a delle conseguenze negative di una certa entità in relazione alla sostenibilità.

Supponiamo lo stesso di voler allargare il territorio in cui insediarci, allontanandoci dalle zone temperate che consentono di vivere all'aperto, senza patire il freddo. 

Così facendo si dovrebbero fornire a tutti delle abitazioni. A tal fine, si potrebbero utilizzare pietra e argilla come principali materiali da costruzione. 

Si tratta di materie prime abbondanti e riusabili, il cui impiego non comporta emissioni di sostanze inquinanti.

Certamente ci sarebbe un certo impatto ambientale, ma per compensare una parte degli sconvolgimenti dovuti alle attività antropiche, le cave di pietra potrebbero essere bonificate e le abitazioni potrebbero essere ben integrate nel verde.  

Tutti gli esseri umani potrebbero disporre di case ed edifici pubblici per svolgere varie attività, ma mancherebbero ancora mobili, porte, finestre e riscaldamento!

Decidiamo quindi di compiere un ulteriore passo verso la “civilizzazione”, utilizzando il legno (abbattuto e lavorato con utensili in pietra!) per costruire infissi ed arredamenti, per riscaldare le case e avere acqua calda nei periodi più freddi.

Vorrei ricordare al lettore che bruciare legna significa immettere nell'atmosfera sostanze cancerogene e climalteranti.

Ammettiamo di essere così virtuosi da avere l'accortezza di piantare un nuovo albero della stessa specie di quello abbattuto ogni volta che ci si procura della legna. 

Secondo voi, se un simile comportamento venisse adottato da 7,6 miliardi di persone, sarebbe sostenibile?

Ogni anno una sterminata superficie di foresta verrebbe abbattuta, modificando in modo sostanziale l'ambiente; inoltre, a causa della combustione della legna, verrebbero immesse nell'atmosfera enormi quantità d'inquinanti. 

Pur piantando nuovi alberi, alla natura servirebbero secoli per ripristinare l'ambiente così com'era prima che le piante venissero abbattute ed utilizzate per finalità antropiche, e se si decidesse di forzare il ciclo introducendo specie a crescita “rapida”, dopo un certo lasso di tempo il terreno si degraderebbe.

Si consideri che, sotto queste ipotesi, le finestre in legno delle abitazioni costruite in terra e pietra non avrebbero neanche i vetri!

Infatti, per produrre e lavorare questo materiale, bisognerebbe costruire fornaci e strumenti, e per farlo si avrebbe bisogno di alcuni metalli, ma la trasformazione di minerali finalizzata alla produzione di leghe metalliche produce a sua volta inquinamento, ed è notoriamente energivora...

Si capisce quindi che l'introduzione di beni e tecnologia viaggi di pari passo con l'incremento dell'impatto ambientale e con la riduzione della sostenibilità. C'è però una doverosa precisazione da fare.

Lo stile di vita che vigeva prima dell'era industriale, basato su allevamento e agricoltura, con una produzione artigianale e l'utilizzo di legna, carbone, forza motrice animale, vento e acqua, millantato da taluni come il rimedio ecologico per i mali della modernità, in realtà, sembrava “sostenibile” soltanto perché in quei tempi il numero di esseri umani presenti sulla Terra era assai modesto.

Allo stesso modo, se oggi fossero esistiti soltanto 300 milioni di esseri umani sulla Terra, di certo, non ci sarebbe stata alcuna urgenza di affrontare le questioni ambientali, neanche nel caso limite in cui ciascuno di essi avesse posseduto una Ferrari e fosse vissuto in una casa di lusso con tutte le comodità immaginabili. 

Oltre ad aver aumentato i beni costruibili e quelli costruiti, la modernità ha fornito conoscenza per produrre cose ed energia in modo assai più efficiente e meno inquinante rispetto al passato. Questo punto è innegabile.

Se per assurdo si mettessero a confronto due modelli sociali, sotto l'ipotesi che uno di essi utilizzasse la miglior tecnologia medioevale, mentre l'altro impiegasse la miglior tecnologia offertaci dalla modernità, a parità di beni e servizi prodotti e forniti e di energia utilizzata da una popolazione composta dal medesimo numero di abitanti, non vi sarebbe alcun confronto in tema di sostenibilità ambientale, con buona pace dei nostalgici dei gloriosi tempi che furono. 

Pertanto è bene che non si commetta il grossolano errore di ripudiare in modo aprioristico e pregiudiziale la tecnologia, in particolar modo quando il suo utilizzo consente di soddisfare un medesimo bisogno in modo più efficiente rispetto a quanto si possa fare con le tecniche del passato.

Non è guardando all'antica civiltà contadina che si può sperare di trovare soluzioni per tentare di costruire una società “sostenibile” che sia in grado di assicurare un adeguato livello di vita a 7,6 miliardi di esseri umani.

È altresì vero che se non s'intende rinunciare completamente alla tecnologia, tornando allo stato di natura, si dovrà necessariamente mediare, in modo sensato e razionale, barattando un po' di sostenibilità con un po' di modernità, laddove questo sacrificio sia effettivamente utile per migliorare le condizioni di vita dell'umanità. 

Questo è quanto oggi è in potere dell'umanità, ma non è detto che in futuro lo spettro delle possibilità non possa ampliarsi, riuscendo ad introdurre effettivamente tecnologia avanzata in modo non inquinante e sostenibile.


In altri termini, i limiti ecologici fin qui evidenziati non sono da considerarsi come delle limitazioni ultime invalicabili: questo non è noto; essi sono storicamente determinati, ovvero sono tali in forza delle conoscenze scientifico-tecnologiche maturate. 

È di fondamentale importanza che si prenda consapevolezza della loro esistenza, ma non si deve commettere l'errore di pensare che tali limiti in futuro non possano mutare, in meglio o in peggio!

Per cercare di risolvere la questione ecologica il processo di ampliamento della conoscenza dovrebbe procedere a passo spedito; ma ciò può accadere soltanto a patto che i ricercatori non debbano in alcun modo rispondere alle esigenze di profitto di qualche multinazionale e alla volontà di dominio delle élites di potere. 

L'umanità ha bisogno di una nuova scienza, vale a dire di una scienza sana e autentica, svincolata dalle logiche del potere e del profitto, assolutamente dedita alla verità e spiccatamente orientata al miglioramento delle condizioni di vita di tutti i viventi.

Se invece di ridurre in povertà Nikola Tesla, distruggendo il suo laboratorio, le sue ricerche fossero state finanziate con fondi illimitati, è assai probabile che l'umanità oggi avrebbe già completamente risolto il problema della produzione, della distribuzione, della sostenibilità e dell'inquinamento, legati all'energia.

Allo stesso modo, se c'è una speranza di risolvere le problematiche relative alla sostenibilità dovute alla trasformazione e all'utilizzo della materia, questa speranza risiede in un effettivo e genuino progresso della scienza. 

Ma per far sì che simili scoperte possano avvenire, è indispensabile che l'umanità renda la propria società il più sostenibile possibile in relazione alla conoscenza scientifico-tecnologica attualmente disponibile, così da scongiurare l'avvento di un collasso. 

Se ciò non accadrà, gli esseri umani non avranno alcun futuro. Se non si effettuerà un cambio radicale di paradigma in senso ecologico, e si continuerà a tentare di porre rimedio agli effetti causati dalla mancata risoluzione della contraddizione principale posta a fondamento dell'odierna società, ogni sforzo sarà vano.

Possiamo avviarci alla conclusione chiarendo, alla luce delle precedenti analisi, che cosa si debba intendere con il concetto di economia “sostenibile”: si tratta di un'organizzazione sociale che sia sufficientemente “durevole” nel tempo. 

Quanto questo tipo di organizzazione possa “sopravvivere” dipende fortemente da una serie di fattori, come ad esempio: il numero di abitanti che popolano quella società; il quantitativo di risorse vergini disponibili; le scelte di produzione e consumo attuate; l'efficienza dovuta alla conoscenza scientifico-tecnologica disponibile... e così via. 

Una società di esseri umani che vive allo stato di natura, dà luogo ad un sistema la cui sopravvivenza è compatibile con la durata della Terra (salvo imprevisti!); una società tecnologicamente avanzata che basa la propria economia sul consumismo sfrenato e sulla continua ricerca della crescita ha già posto la base per la sua completa distruzione; una società tecnologicamente avanzata che, pur fornendo ai suoi membri un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali, tenta in ogni modo di adottare soluzioni per minimizzare l'impatto ambientale, può dar luogo ad un'economia a spirale la cui durata su questa Terra può variare sensibilmente, da centinaia di anni a decine di miglia, se non milioni, di anni, in funzione del numero di abitanti, delle scelte di produzione e consumo effettuate e del livello scientifico-tecnologico raggiunto.

Per completare il quadro, c'è un altro aspetto che, di norma, non ci si preoccupa di affrontare, quando si analizzano le questioni ecologiche.

Nonostante venga indottrinato così tanto da credere di essere la creatura più importante di tutto l'universo, l'essere umano non è il solo essere vivente presente sulla Terra. 

La Terra non è stata messa lì a suo uso e consumo. Anche gli altri esseri viventi hanno pari dignità e diritto di vivere in modo libero sulla Terra, così da compiere il proprio percorso evolutivo. 

Ma per farlo, essi hanno bisogno di spazi incontaminati da lasciare a loro completa disposizione.

Quindi, a meno di voler continuare ad ignorare questa esigenza, le cose da fare son due: o si decide di riservare, come minimo, un 50 % di terre e acque agli altri esseri viventi, creando una sorta di parco naturale mondiale, evitando, al tempo stesso, d'inquinare completamente l'altro 50%;

oppure l'essere umano effettua un cambio di paradigma così radicale da rendere ampiamente compatibile la sua presenza sulla Terra anche con quella degli altri esseri viventi, iniziando a coesistere con essi, senza sfruttarli, ucciderli e sottrarre gli spazi e le risorse essenziali per la loro esistenza. 

In entrambi i casi, l'impronta economica della società degli esseri umani dovrebbe essere drasticamente ridotta, la struttura e la sovrastruttura sociale dovrebbero essere profondamente ripensate e con esse anche i modi di rapportarsi con gli altri esseri viventi.

Si comprende quindi il perché simili problematiche non vengano evidenziate dai sedicenti ecologisti al servizio del Potere: perché la loro risoluzione risulta fortemente incompatibile con l'attuale modello socio-economico spiccatamente antropocentrico.

Conclusioni

Concludiamo questo saggio dicendo che, per quanto fin qui sostenuto, le domande da porsi, e a cui si deve dare una risposta, se s'intende affrontare seriamente la questione ecologica senza ipocrisia, sono le seguenti:

quanto ci si può discostare da una condizione di perfetta armonia con l'ambiente, in modo tale che il rapporto costi/benefici sia, in un certo senso, “vantaggioso”?

Per quanto tempo ciò può esser fatto, prima che gli effetti negativi cumulati nel tempo diventino “significativi”?

Rispetto a cosa ha senso sacrificare un po' d'integrità ambientale per ottenere beni e servizi? 

Come produrre e fornire i beni ed i servizi nel migliore dei modi possibili? 

Qual è il modo per minimizzare l'impatto ambientale legato alle attività socio-economiche?

Che tipo di tecnologia introdurre? E perché s'intende farlo? 

Qual è, tra quelle attualmente disponibili, la miglior fonte energetica, ovvero la più efficiente e la meno inquinante da adottare? 

Per quali fini si vuole impiegare questa energia? 

Di quanta terra e risorse l'umanità vuole appropriarsi per i suoi fini? 

Quanto spazio e risorse vitali è giusto lasciare a completa disposizione delle altre forme di vita?

Esistono delle soluzioni per rendere compatibile l'esistenza dell'umanità con quella degli altri esseri viventi?

Sono questi gli aspetti fondamentali su cui si deve riflettere per cercare di comprendere fin dove spingersi, così da rimanere entro i limiti fisici che assicurino una complessiva “sostenibilità”, consentendo, sia agli esseri umani, che agli altri esseri viventi presenti sulla Terra, di prosperare in condizioni di massima armonia.

Mirco Mariucci

Fonti

Riciclaggio pneumatici
Riciclaggio plastica
Inquinamento combustione legna

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