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venerdì 3 giugno 2016

La logica aristotelica.


Tratto dal saggio Il Sapere degli Antichi Greci, disponibile in formato cartaceo e digitale al seguente indirizzo, anche in download gratuito.


Soltanto due individui tra quelli che hanno messo piede sul pianeta Terra possono contendersi a pieno titolo il premio di più grande logico di tutti i tempi.

Uno di essi è il filosofo Aristotele, vissuto più di 2.000 anni fa; l'altro è il matematico austriaco Kurt Gödel, vissuto nel Novecento.

Chi dei due debba meritarsi il primo posto sul podio è difficile a dirsi; personalmente, se fossi costretto a scegliere, incoronerei Gödel, per la bellezza e la profondità dei suoi risultati.

D'altro canto fu Aristotele che gettò le basi della logica classica, fondandola come una disciplina a se stante che egli chiamava “analitica”, e che per primo sviluppò la teoria del sillogismo.

Gödel, invece, segnò la fine di una grande avventura. È principalmente noto per i sui teoremi d'incompletezza e per essere morto d'inedia nella convinzione che qualcuno stesse cercando di avvelenarlo.

Il primo teorema d'incompletezza mostra che in matematica la verità è un concetto più ampio della dimostrabilità. In altre parole esistono verità indimostrabili.

Gödel, infatti, esibì una proposizione vera che però non può essere né dimostrata né refutata all'interno dell'aritmetica.

Tutto ciò sussiste per ogni sistema formale coerente (cioè che non dimostra un'affermazione e il suo contrario) sufficientemente potente da includere una certa porzione di aritmetica, ma non sussiste affatto nella logica alla maniera di Aristotele, dove verità e dimostrabilità tornano a coincidere.

Perciò si parla di incompletezza dell'aritmetica e di completezza della logica classica, un risultato quest'ultimo che fu dimostrato nel 1921 da Post per la logica proposizionale e dallo stesso Gödel nel 1931 per la logica predicativa.

Il secondo teorema d'incompletezza prova che un sistema formale coerente, e sufficientemente potente da contenere una certa porzione di aritmetica, non può essere utilizzato per provare la sua stessa coerenza.

I risultati di Gödel ebbero una profonda influenza sia in campo matematico che in quello filosofico; vi basti sapere che dopo la pubblicazione dei suoi teoremi i fondamenti della matematica dovettero essere rimessi in discussione.

Sviluppare questi concetti sarebbe senz'altro interessante, ma ci condurrebbe troppo lontano dallo scopo di questo saggio. Torniamo quindi nell'antica Grecia per occuparci della nascita della logica matematica.

Aristotele individua tre scienze teoretiche: la fisica, la matematica e la filosofia prima, oggi nota come metafisica. 

Esse si occupano delle varie manifestazioni dell'essere e delle proprietà dell'essere in sé, ma in quanto scienze condividono la medesima natura. 

Esistono dei processi astratti universalmente validi mediante i quali ciascuna scienza può trattare il proprio oggetto d'interesse particolare.

Isolando questi processi si ottiene una disciplina a se stante, di cui tutte le scienze si servono, e che per la sua generalità può addirittura essere impiegata in altri ambiti umani.

Tale disciplina è la logica e si occupa del pensiero in sé, con il fine di stabilire quali ragionamenti siano validi e quali no, a prescindere dall'oggetto del ragionamento.

Se un ragionamento risulta logicamente valido, esso sussiste indipendentemente dal contenuto delle proposizioni che lo compongono. 

Ad esempio, stando al principio logico di contrapposizione, noi sappiamo che se una proposizione A implica un'altra proposizione B allora la negazione di B implica la negazione di A, e ciò rappresenta una forma di ragionamento logicamente valida in astratto, a prescindere dal contenuto di A e B.

Lo scopo della logica non è tanto di stabilire la verità di ciò che viene affermato, quanto la correttezza dei ragionamenti in sé, ed un ragionamento può essere considerato corretto quando non si dà il caso che le premesse siano tutte vere e la sua conclusione sia falsa.

Nonostante l'organizzazione sistematica di Aristotele sia a tutti gli effetti indipendente dai contenuti, egli non fondò direttamente la logica come una disciplina formale e astratta, in senso moderno.

La logica aristotelica deriva dalla metafisica, in particolare dalla teoria della sostanza, ha un oggetto, la struttura della scienza, e deve preoccuparsi di analizzare il linguaggio proprio delle scienze teoretiche.

A fondamento della logica Aristotele individua e pone 3 principi elementari, che egli ritiene auto-evidenti, sebbene possano essere giustificati mostrando le conseguenze assurde e contro-intuitive che deriverebbero dalla loro negazione.

Il primo di essi è noto come principio d'identità e afferma che ogni manifestazione dell'essere è uguale a se stessa. In altri termini dato A, risulta che A=A. Banalmente parlando, un certo albero è esattamente uguale a quel medesimo albero.

Questo principio non si trova espresso in modo esplicito negli scritti aristotelici, ma può essere dedotto dal secondo principio elementare, il principio di non contraddizione, il quale esclude che un attributo possa appartenere e non appartenere all'essere nel medesimo tempo e al medesimo riguardo.

Volendo usare le parole di Aristotele: «È impossibile che la stessa cosa sia e non sia al tempo stesso e sotto il medesimo aspetto», ovvero data una proposizione A, non è possibile che A e non-A valgano entrambe. 

Tale principio non è né scontato né banale. In una logica dicotomica, come quella classica in cui il vero si contrappone al falso, la presenza di una simile contraddizione porterebbe all'inconsistenza dell'intero impianto. 

Infatti se A e non-A fossero entrambe vere, per il principio logico noto come “Ex falso sequitur quodlibet”, ossia "dal falso segue qualsiasi cosa (scelta) a piacere", allora sarebbero vere anche qualsiasi altre proposizioni scelte a piacere, incluse le negazione di quelle stesse proposizioni. E così diverrebbe vero tutto e il contrario di tutto.

Inoltre, poiché da un enunciato contraddittorio consegue logicamente qualsiasi altro enunciato, conseguirebbero anche tutte le possibili contraddizioni, il sistema perderebbe di consistenza e significato, e non sarebbe in grado di veicolare alcuna informazione.

Il terzo e ultimo principio elementare, quello del terzo escluso, dice che fissata una certa determinazione, o questa apparterrà all'essere, oppure non gli apparterrà e che non può accadere altrimenti, ovvero non esiste un terzo caso.

Aristotele dice: «È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo», perché fissato A, o A apparterrà all'essere, oppure A non apparterrà all'essere, e non può accadere altrimenti.

Assumere il principio del terzo escluso, significa ammettere una logica bivalente (a due valori) tipicamente vero e falso.

In altre parole, data una coppia di proposizioni di cui una è la negazione dell'altra, p e non-p, allora queste devono avere valore di verità opposto, e non può esistere una terza possibilità perché esse esauriscono le possibilità.  

Quindi, quando si parla di logica classica alla maniera intesa da Aristotele, una data proposizione è vera oppure la sua negazione è vera, cioè la proposizione data è falsa; inoltre quella proposizione non può essere allo stesso tempo sia vera che falsa per il principio di non contraddizione, e deve essere vera o falsa per il principio del terzo escluso.

Dal punto di vista di Aristotele i tre principi elementari posti a fondamento della logica rappresentano il punto di incontro tra il mondo dell'essere e quello del linguaggio.

Le proposizioni che soddisfano tali principi stanno esprimendo in modo sensato e coerente le proprietà dell'essere, e così possono adempiere egregiamente al compito della scienza. 

Ma tutto ciò non è sufficiente. La scienza, per potersi occupare delle manifestazioni dell'essere, ha bisogno di uno specifico linguaggio, che Aristotele individua nel linguaggio apofantico (o dichiarativo) ovvero quel linguaggio che afferma o nega qualcosa di qualcosa e così facendo è suscettibile di essere vero o falso.

Secondo Aristotele, infatti, l'ambito del sapere scientifico è la determinazione della verità opposta alla falsità, ed il linguaggio adatto alla scienza non può che riflettere questa caratteristica.

«Socrate è grasso», «I cavalli hanno gli zoccoli» e «Questa mela è gialla» sono esempi di linguaggio apofantico, perché dichiarano qualcosa su qualcosa (o qualcuno). 

Non tutti i discorsi sono di tipo apofantico. Le preghiere possono essere esaudite oppure no, i comandi possono essere rispettati oppure ignorati, alle domande si può dare o non dare una risposta, ma in generale non ha senso cercare di stabilire se questo genere di frasi siano vere o false.

Secondo Aristotele tutto ciò non entra a costituire il corpo della scienza. La scienza si costituisce di proposizioni nelle quali i termini sono connessi in modo da esprimere affermazioni su cose rispetto le quali si è in grado di stabilire la verità o la falsità di quanto sostenuto.

Ma che cos'è la verità? Nella Metafisica di Aristotele troviamo la seguente definizione: «Dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso, mentre dire di ciò che è che è o di ciò che non è che non è, è vero».

Ad esempio, la frase «in questo momento nel tuo paese sta piovendo» è vera se chi legge la frase si affaccia alla finestra e scopre che sta piovendo, perché effettivamente quella frase sta affermando di ciò che è che è, mentre è falsa se chi legge esce di casa e scopre che è una bellissima giornata di sole, perché in questo caso quella frase sta affermando di ciò che non è che è. «Quella mela è rossa» è vera se la mela indicata è effettivamente rossa, altrimenti è falsa. E così via.

Lo logica viene così ricondotta al presupposto fondamentale della teoria della sostanza, che per Aristotele rappresenta il fondamento della verità di ogni conoscenza intellettuale.

Questa teoria garantisce la corrispondenza tra il concetto e la sostanza, perciò l'essere e la verità sono in corrispondenza, ma in questo rapporto è l'essere che dà fondamento alla verità: un'affermazione è vera perché l'essere è tale quale essa lo esprime, mentre non accade mai che l'essere sia in una certa determinazione perché l'affermazione che lo riguarda è vera.

Se Socrate esiste, l'affermazione «Socrate esiste» è vera, mentre l'affermazione «Socrate esiste» non può essere vera se al tempo stesso Socrate non esiste effettivamente. 

In altri termini la verità del concetto è fondata sulla sostanza e non viceversa, per questo la metafisica aristotelica precede e fonda la logica. 

Secondo Aristotele le parole utilizzate nel linguaggio sono convenzionali ma ciò a cui esse si riferiscono, vale a dire “le affezioni dell'anima”, sono le medesime per tutti gli uomini, perché sono identici gli oggetti dai quali esse scaturiscono.

Tra i vari popoli si possono usare diversi segni e suoni convenzionali per indicare un cavallo, ma l'immagine evocata nell'anima è la medesima, a prescindere dal segno e dal suono impiegato.

Al netto delle parole, nel linguaggio apofantico non c'è nulla di convenzionale, e poiché ciò che il linguaggio evoca è un'immagine mentale effettiva delle cose, esso può assumere una validità universale, intesa per tutti gli uomini.

Compito della logica è analizzare la sintassi di questo linguaggio in astratto. Gli ingredienti minimi di questi discorsi scientifici sono nomi e verbi mediante i quali si affermano o si negano delle cose.

I termini di per sé non sono né veri né falsi, al contrario la loro combinazione può assumere un qualche valore di verità poiché asserisce qualcosa a proposito dell'essere. Si ottengono così dei discorsi.

Ogni proposizione di un discorso può essere semplice o composta a seconda che essa sia ulteriormente scomponibile oppure no.

«Mariucci è l'autore di questo saggio e vive in un piccolo paese» è un discorso composto dalle proposizioni «Mariucci è l'autore di questo saggio» e «Mariucci vive in un piccolo paese».

Aristotele non si concentrò sull'analisi delle proposizioni composte, uno studio che venne affrontato con rigore e profondità successivamente dagli Stoici, ma si focalizzò sull'analisi delle proposizioni semplici.

Quest'analisi lo condusse ad una classificazione sistematica basata su tre punti di vista: qualitativo, quantitativo e modale.

Il punto di vista qualitativo comporta la distinzione delle frasi in affermative e negative, a seconda che attribuiscano qualcosa a qualcosa o che lo neghino.

Le considerazioni quantitative conducono a suddividere le frasi in universali e particolari; si ha il primo caso quando si predica qualcosa in comune a tutta una classe di soggetti, si ha il secondo quando ciò avviene soltanto per qualche soggetto particolare.

Ad esempio, «Tutti gli uomini sono mortali» è una proposizione affermativa universale, perché predica la mortalità di tutti gli uomini, mentre «Qualche uomo è intelligente» è un esempio di proposizione affermativa particolare, perché afferma l'intelligenza soltanto di qualche uomo.

Esempi di negativa universale e negativa particolare possono essere «Nessun uomo è in grado di volare», in quanto nega che tutti gli uomini siano in grado di volare, e «Qualche uomo non riesce a correre», perché nega che soltanto qualche uomo sia in grado di correre.

Aristotele riconosce l'esistenza di frasi singolari e indefinite, sempre da un punto di vista qualitativo, ma esse, a suo avviso, sono prive di quella generalità richiesta dall'ambito della scienza.

Per rendere l'idea del procedimento seguito da Aristotele illustriamo il caso notevole che si ottiene combinando le modalità del punto di vista qualitativo con quello quantitativo. 

In particolare il filosofo si preoccupò di stabilire i rapporti che intercorrono tra le frasi ottenute combinando in tutti i modi le distinzioni affermativo-negativo e universale-particolare.

Per convenzione, e semplicità, individueremo ciascuna tipologia con una lettera, secondo la celebre notazione impiegata dai logici medioevali. (Ovviamente si otterranno 4 tipi di proposizioni).

A:  universale affermativa, ad esempio «Tutti gli uomini sono mortali».

E: universale negativa, ad esempio «Nessun uomo è mortale».

I: particolare affermativa, ad esempio «Alcuni uomini sono mortali».

O: particolare negativa, ad esempio «Alcuni uomini non sono mortali».

Mancherebbe all'appello la classe delle proposizioni singolari, ad esempio «Socrate è mortale» che però, come accennato poc'anzi, non trovano una trattazione sistematica nella logica aristotelica.

Tra i tipi appena elencati sussistono delle precise relazioni esaminate da Aristotele nella teoria dell'opposizione e della conversione, che possiamo brevemente riassumere con il seguente schema, noto come “schema del quadrato logico aristotelico”:


La A e la O, così come la E e la I, sono tra loro contraddittorie ed hanno la caratteristica di essere necessariamente l'una vera e l'altra falsa. 

Ad esempio, se è vero che «Tutti gli uomini sono felici» è falso che «Qualche uomo non è felice» e vice versa, se è vero che «Qualche uomo non è felice» è falso che «Tutti gli uomini sono felici».

Inoltre, la negazione della A implica la O e viceversa, mentre la negazione della E implica la I e viceversa, cioè la negazione di una qualsiasi di queste proposizioni comporta l'affermazione della rispettiva contraddittoria, così come indicato nel quadrato logico.

Ad esempio, se non è vero che «Qualche uomo è cattivo» allora è vero che «Nessun uomo è cattivo» e in modo simmetrico, se non è vero che «Nessun uomo è cattivo» è vero che «Qualche uomo è cattivo». 

La proposizione A implica la I, così come la E implica la O, ma non sussistono i viceversa, perché se è vero che «Tutti i corvi sono neri» allora è vero anche che «Qualche corvo è nero», mentre se è vero che «Qualche corvo è nero» non è assolutamente detto che sia vero anche che «Tutti i corvi sono neri» perché potrebbe esistere un corvo bianco!

La A e la E sono contrarie e non possono essere entrambe vere, mentre possono esserlo la I e la O, ma nulla vieta che la A e la E siano entrambe false.

Ad esempio, se affermo che «Tutti gli uomini sono ciechi» e che «Nessun uomo è cieco» è chiaramente impossibile che entrambe le frasi siano vere, perché se è vero che tutti sono ciechi non può essere che nessuno sia cieco, ma può benissimo accadere che entrambe siano false, come in effetti è, perché nel mondo esistono sia persone vedenti che non vedenti. 

Se è vero che la A e la E possono essere entrambe false, la stessa cosa non può accadere per la I e la O.

Se è falso che «Qualche gatto graffia» è vera la sua negazione e cioè che «Tutti i gatti non graffiano» e quindi non può essere falso che «Qualche gatto non graffia» perché altrimenti dovrebbe essere vera la sua negazione che afferma che «Tutti i gatti graffiano» e si avrebbe un assurdo logico.

Il lettore si sarà reso conto che queste regole sono esclusivamente formali, nel senso che sussistono a prescindere dal contenuto, e dipendono solo dalla forma delle proposizioni utilizzate.

Esse hanno un valore logico in grado di stabilire la correttezza del ragionamento senza riferirsi al contenuto delle frasi utilizzate.

Avremmo potuto generalizzare il tutto utilizzando delle variabili senza perdere di generalità, affermando ad esempio che «Tutti gli X sono Z» e «Nessun X è Z» possono essere entrambe false ma non possono essere entrambe vere, e ciò sussiste per ogni valore di X e di Z, dove X può essere uomo, animale etc e Z può essere felice, ricco, buono etc.

Aristotele classificò le proposizioni anche in base alle modalità. Le proposizioni che soddisfano la modalità del "possibile" sono quelle che trattano di cose che non sono ma che possono essere, ad esempio «A breve è possibile che si metta a piovere».

Si ha una frase "contingente" quando si parla di qualcosa che è ma che potrebbe non essere, ad esempio «È contingente che ora piova».

Una frase "impossibile" è quella che afferma cose che non sono e non possono essere, ad esempio «È impossibile che la diagonale del quadrato di lato unitario possa essere espressa mediante un numero razionale».

Si può parlare della modalità del "necessario" quando una frase esprime un qualcosa che è e non può non essere, come ad esempio le verità matematiche (si pensi pure a 2+2=4)

Tutto questo lungo preambolo funge da premessa per comprendere al meglio la teoria del sillogismo, che rappresenta il contributo centrale dato da Aristotele alla logica classica.

Un sillogismo è un ragionamento composto di 3 parti: una premessa maggiore, una premessa minore, ed una conclusione. 

Esistono molti tipi di sillogismi, ciascuno dei quali è stato etichettato con un nome dai logici medioevali. 

Il più noto di essi è denominato con il nome di "Barbara" ed ha la seguente forma:

«Tutti gli uomini sono mortali» (premessa maggiore)
«Socrate è un uomo» (premessa minore)
quindi: «Socrate è mortale» (conclusione)

In generale ogni conclusione sillogistica segue da due premesse che collegano i termini della conclusione stessa ad un terzo termine, detto termine medio, che funge da "perno" del ragionamento. Nell'esempio precedente il termine medio è "uomo".

Le proposizioni che formano i sillogismi sono assertorie del tipo A E I O sopra descritte.

A seconda della posizione occupata dal termine medio, che è sempre comune alle due premesse, Aristotele ottenne una classificazione dei sillogismi in "schemata" anche dette "figure". 

Il sillogismo in Barbara sopra illustrato ne rappresenta un esempio, ma ve ne sono molti altri. Quanti?

Da un punto di vista combinatorio esistono 4 figure diverse: nella prima il medio è soggetto della premessa maggiore e predicato della minore; nella seconda il medio è predicato in entrambe le premesse; nella terza esso è soggetto ad entrambe le premesse; e nella quarta, infine, il termine medio appare come predicato nella premessa maggiore e soggetto in quella minore.

Aristotele però, trattò esplicitamente solo le prime 3, assimilando la quarta alla prima, considerandola una sorta di prima figura inversa.

Furono i logici medioevali ad aggiungere nuovamente la quarta figura e a distinguerla dalla prima.

Tenendo conto di questa precisazione, si possono riassumere le 4 figure al seguente modo:

M P      P M      M P      P M
S M      S M      M S      M S
-----     -----       -----     -----
S P       S P       S P       S P

dove con P si intende il predicato della conclusione, con S il suo soggetto e con M il termine medio.

Ora, siccome tanto le premesse, maggiore e minore, che la conclusione, possono essere una qualsiasi proposizione semplice del tipo A E I O, per ogni figura si avranno 4^3=64 possibili combinazioni diverse, dette modi del sillogismo.

Siccome le figure sono 4, in totale, si avranno 4x64=256 modi sillogistici. Di questi 256 modi ottenibili in modo combinatorio, Aristotele si preoccupò di verificarne l'esattezza uno ad uno.

Con esattezza s'intende che il sillogismo sia logicamente valido, ovvero la conclusione di quel particolare sillogismo discende in modo necessario, ed il ragionamento che esso sottende è formalmente corretto. 

La refutazione dei modi non validi avvenne tramite controesempi, determinando terne di termini che sostituiti nelle forme verificano le premesse ma rendono falsa la conclusione.

Aristotele giunse così ad individuare soltanto 19 sillogismi validi, anche se in realtà, sotto particolari condizioni, i logici successivi arrivarono ad individuare come corretti 24 sillogismi.

Una cosa davvero notevole è che nel definire la sua teoria tramite gli schemata, Aristotele non considerò termini specifici ma impiegò lettere sostituibili da termini generici, introducendo per la prima volta nella logica l'uso delle variabili.

Al posto di termini quali "casa", "cane", "uomo", "mortale", "rosso" etc egli utilizzò delle lettere. Nella frase «Tutti gli A sono B» possono così essere compendiate tutte le frasi universali affermative, prescindendo da soggetti e predicati specifici.

L'impiego di queste forma di ragionamento astratto e analitico ha fatto considerare Aristotele come il padre della logica formale. Egli cercò di indagare e costruire ragionamenti corretti. 

Quando Aristotele afferma che da un sillogismo valido le conclusioni discendono in modo necessario, intende sottolineare che qualunque sostituzione delle variabili con termini che rendono vere le premesse, non può in alcun modo falsificare la conclusione.

Ma la validità di un'inferenza prescinde dalla verità o dalla falsità delle premesse. Infatti esistono inferenze formalmente valide che restano tali anche partendo da premesse false e giungendo a conclusioni altrettanto false.

Ad esempio, dalle premesse «tutti gli animali vivono nell'acqua» e «tutte le automobili sono animali» possiamo dedurre in modo logicamente ineccepibile che «tutte le automobili vivono nell'acqua», ottenendo una palese falsità, pur con una deduzione logicamente valida.

Tutto ciò sta a significare che la validità di un ragionamento sillogistico logico-razionale prescinde dalla verità; essa sussiste o cade di per sé, indipendentemente dai contenuti. Sarà compito della scienza stabilire la verità delle proposizioni impiegate nei ragionamenti.

L'indagine di Aristotele continua e si rivolge allo studio formale dei sillogismi e alle relazioni che intercorrono tra i modi di una medesima figura e quelli delle altre figure.

Egli riesce a definire delle regole di trasformazione che consentono di passare da un sillogismo ad un altro ad esso equivalente.

Queste trasformazioni sono in grado di modificare la “forma” ma non la “sostanza”, ovvero la figura può cambiare ma il sillogismo resta del tutto equivalente a quello che si aveva prima della trasformazione.

Impiegando questa regola di trasformazione, Aristotele riuscì a dimostrare che tutti i sillogismi possono essere ridotti alla prima figura, che assume così un ruolo principale.

I quattro modi della prima figura diventano gli “assiomi” della teoria, che egli considera perfetti e completi.

Abbiamo già avuto modo di conoscere il sillogismo in Barbara, gli altri 3 modi della prima figura sono noti come:

Calerent: «Nessun uomo è onesto», «Tutti i politici sono uomini» quindi «Nessun politico è onesto»;

Darii: «Tutti gli uomini sono stupidi», «Alcuni animali sono uomini» quindi «Alcuni animali sono stupidi»;

Ed infine Ferio: «Nessun italiano è europeista», «Alcuni uomini sono italiani» quindi «Alcuni uomini non sono europeisti»;

A questo punto è molto interessante scoprire il mistero legato ai nomi associati ai sillogismi che il filosofo Kant giudicò come “strani”, “magici” e “oscuri”.

Prima però presentiamo i nomi di tutti gli altri sillogismi validi delle rimanenti figure che sono:

Cesare, Camestres, Festino, Baroco per la seconda; Darapti, Datisi, Disamis, Felapton, Ferison, Bocardo per la terza e Bramantip, Dimaris, Fesapo, Fresison e Camenes per la quarta.

Questi nomi codificano in sé tutte le informazioni sulla struttura dei vari modi sillogistici validi di ogni figura e sul procedimento da applicare per ricondurre i modi delle ultime tre figure ai modi corrispondenti alla prima.

Vediamo di capire come. Cominciamo con le vocali. Esse indicano qualità e quantità, in ordine, della premessa maggiore, minore e della conclusione del sillogismo.

“bArbArA” ci dice che premessa maggiore, minore e conclusione sono tutte e tre universali affermative; “dArII” ci dice che la premessa maggiore è universale affermativa, mentre premessa minore e conclusione sono particolari affermative. E così via.

Le iniziali dei nomi dei sillogismi che non appartengono alla prima figura, B, C, D, F, stanno ad indicare che quel particolare sillogismo può essere ricondotto al modo della prima figura che inizia con la medesima lettera. 

Ad esempio: Datisi può essere ricondotto a Darii, Baroco a Barbara, Fesapo a Ferio e così via.

Le altre lettere significative contenute nei nomi m, s, p, c, stanno ad indicare come si deve operare per trasformare il modo considerato al modo corrispondente nella prima figura.

“m” significa che si deve effettuare uno scambio di premesse; “s” che va eseguita un conversione semplice... e così via. Si comprende ora lo stupore di Kant davanti a cotanta ingegnosità!

Qual è allora il legame tra la scienza e il linguaggio sillogistico della logica? Secondo Aristotele quelle della prima figura sono le uniche frasi ad essere propriamente scientifiche. 

Questa classe di sillogismi «Non ha bisogno di nessun altra cosa di ciò che è posto nelle premesse perché sia evidente la necessità delle conclusioni».

Infatti, affinché siano corrette, le conclusioni di un sillogismo non possono contenere nulla che non sia già sottinteso nelle premesse. Ma in questo modo il sillogismo non conduce alla conquista di alcuna nuova verità.

Ciò nonostante secondo Aristotele il sillogismo di prima figura risulta uno strumento imprescindibile per la scienza.

Esso infatti riesce a rispondere alla domanda centrale della scienza: “perché”?

Ad esempio potremmo chiederci: perché l'uomo è mortale? Perché sappiamo che tutti gli animali sono mortali e che tutti gli uomini sono animali, quindi anche tutti gli uomini sono mortali.

Ma un simile sillogismo non dà garanzia di verità delle premesse. Ciò che può fare un sillogismo valido è di assicurare che il ragionamento effettuato sulle premesse sia corretto; quindi, se gli assunti sono veri allora anche la conseguenza lo è. 

Se il sillogismo trasmette la verità dalle premesse alla conclusione, il carattere generale e universale delle premesse consente di ottenere una conclusione universale e necessaria, così come richiesto dalla scienza.

Con l'impiego del sillogismo la scienza aristotelica diviene dimostrativa. Ma tutto ciò non ci dice nulla sugli assunti iniziali. Che cos'è che ci assicura che siano veri? Da dove possono essere tratti?

A questa domanda Aristotele risponde al seguente modo: con l'induzione. Questo procedimento tenta di giustificare il passaggio dal particolare all'universale sulla base dell'esperienza.

Il processo induttivo argomenta che una certa proprietà sussista per tutta una classe poiché è stato possibile appurare che essa è valida per più individui di una data classe.

Il guaio è che un simile processo è certamente lecito ma logicamente fallace.

Se noi osservassimo molti leoni, saremmo certamente portati a concludere che tutti i leoni siano di colore marrone/arancio. All'aumentare del numero delle osservazioni la fede nei confronti della nostra congettura si rafforzerebbe.

Ma in realtà non c'è nulla che ci assicuri di aver tratto una conclusione necessariamente vera, e infatti, un giorno, potremmo trovarci davanti ad un bellissimo esemplare di lenone bianco, dimostrando così la falsità della nostra generalizzazione induttiva.

Per quanto plausibile possa sembrarci una conclusione induttiva, da un punto di vista logico non c'è nulla che ci assicuri che essa sia vera in senso definitivo, perché un vasto esame di casi particolari, per quanto vasto esso sia, non rappresenta una dimostrazione.

Dal fatto che tutti gli animali osservati fino ad oggi sono mortali non si può indurre che tutti gli animali sono mortali, perché magari uno di quelli che ora è in vita non morirà mai, mostrando di essere immortale!

Lo ha appreso a sue spese il tacchino induttivista di Russell che ha commesso un grossolano errore induttivo simile a quello appena esposto:

«Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell'allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. 

E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. 

Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. 

Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un'inferenza induttiva come questa: "Mi danno il cibo alle 9 del mattino". 

Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato».

Quando i matematici dimostrano per induzione un certo risultato si preoccupano di mostrare che esso sussiste in generale, vale a dire lo provano per il caso n-esimo con n qualsiasi, come se lo avessero provato per tutti i casi ammissibili, foss'anchero infiniti!

Ma tutto ciò è lecito solo nel mondo della matematica, e non in quello della realtà, dove non c'è niente che ci assicuri che il prossimo caso esaminato rientrerà anch'esso nell'inferenza che abbiamo indotto dalle osservazioni, per quanti numerosi siano i casi che abbiamo enumerato nel corso del nostro ragionamento induttivo.

Le premesse dei sillogismi possono a loro volta essere conclusioni di altri sillogismi, ma se non vogliamo cadere in un regresso infinito nel quale quelle conclusioni a loro volta sono premesse di altri sillogismi ad infinitum, prima o poi dovremmo fermarci e dovremmo assumere che quelle premesse siano dei “principi primi”.

Questi principi primi, non potendo essere a loro volta dimostrati, dovrebbero essere evidenti di per sé. Servirebbe quindi un metodo per accertare la loro verità mediante uno strumento che non sia la dimostrazione sillogistica o l'induzione. Aristotele assegna questo compito all'intelletto.

L'insieme di principi primi riconosciuti veri dall'intelletto formano le basi di partenza proprie di ogni scienza, che a loro volta possono sempre contare anche sui principi comuni offerti dalla logica, ad esempio il sillogismo, il principio di non contraddizione e così via.

Tutto ciò spero sia sufficiente per giustificare l'eventuale podio di Aristotele come più grande logico della storia dell'umanità.

È suo il merito dell'introduzione dei quantificatori, tutt'oggi impiegati, e sua l'introduzione del calcolo simbolico astratto in logica.

Dal punto di vista storico la teoria del sillogismo ha assunto un'importanza notevole, recitando un ruolo centrale per molti secoli.

Ma se è vero che questo sistema segnò l'inizio della logica formale, e come tale fu ammirevole, è altrettanto vero che se lo si considera come la meta finale è suscettibile di forti critiche.

Il filosofo Bertrand Russell suddivide la critica alla logica aristotelica su tre livelli che di seguito cercherò di riassumere:

Primo punto: difetti formali all'interno del sistema stesso.

Se io affermassi: «Tutte le montagne dorate sono montagne», «Tutte le montagne dorate sono d'oro» quindi «Alcune montagne sono d'oro» le mie premesse sarebbero entrambe vere, il sillogismo sarebbe valido, quindi la conclusione dovrebbe essere vera, ma in realtà è falsa, perché non ci sono montagne d'oro! Cos'è successo?

Succede che nella sua teoria Aristotele ha omesso di specificare che enunciati del tipo «Tutte le montagne dorate sono montagne» oppure «Tutti i greci sono uomini» per essere vere devono contenere implicitamente l'ipotesi che esistano montagne dorare ed esistano dei greci. 

Se così non è, come abbiamo visto, alcuni sillogismi possono perdere la correttezza.

Dovremmo dividere in modo esplicito la frase «Tutti i greci sono uomini» in due parti, «Esistono dei greci» e poi «Se qualcuno è greco, allora è un uomo». Come è ben chiaro l'ultima frase è puramente ipotetica e non presuppone strettamente che dei greci esistano.

Come sottolineato parlando del problema dell'induzione, la conoscenza in merito a proposizioni molto generali quali «Tutti gli uomini sono mortali» è assai problematica.

Affermazioni come «Tutti i greci sono uomini» possono essere controllate tramite il dizionario e non ci dicono nulla sulla realtà del mondo, se non come siamo soliti usare le parole. Di fatto non c'è nulla, se non un uomo, che siamo soliti chiamare “un greco”.

Ma sostenere che non ci siano uomini immortali è cosa assai diversa dal punto di vista logico, perché non c'è nulla di contraddittorio da un punto di vista logico in un uomo immortale.

Crediamo a questa frase su base induttiva, ma questa conoscenza è solo probabile non certa, perlomeno fin quando anche l'ultimo uomo della nostra specie sarà morto. Solo a quel punto diverrà certa.

Secondo punto: sopravvalutazione del sillogismo.

Aristotele e i suoi seguaci erano convinti che tutte le deduzioni, se formulate correttamente, fossero sillogistiche. Ma in realtà il sillogismo è solo “un” tipo di ragionamento deduttivo.

Nell'insieme dei ragionamenti validi i sillogismi rappresentano soltanto un sottoinsieme non esaustivo, e non hanno alcuna priorità logica rispetto agli altri ragionamenti che sono altrettanto validi ed importanti.

Nella matematica, che è interamente deduttiva, è assai difficile che compaia un sillogismo. 

Considerate questo semplice problema: ho acquistato un cubo di Rubik dal costo di 8,90 € pagando con una banconota da 20 €. Quanto resto mi spetta?

Tradurre in termini sillogistici un simile ragionamento sarebbe totalmente assurdo e occulterebbe la natura del problema, rendendolo drasticamente più complesso.

Ragionamenti del tipo «Un leone è un animale, quindi la coda del leone è una coda di un animale» è un ragionamento deduttivo non sillogistico tra i tanti leciti e presenti in logica.

Terzo punto: Sopravvalutazione della deduzione. 

In generale gli antichi greci attribuivano molta più importanza alla deduzione rispetto all'induzione, per quanto riguarda l'origine della conoscenza. 

Queste tendenza è andata ad invertirsi con la corrente filosofica degli empiristi, che però non fiorì prima del XVI secolo.

Da questo punto di vista Aristotele sbagliava decisamente meno di Platone, ed ammise ripetutamente l'importanza dell'induzione.

Come abbiamo visto cercò di dare una risposta alla domanda: come conosciamo le prime premesse da cui deve partire la deduzione?

Ma non meno che gli altri greci dette una maggiore importanza alla deduzione rispetto all'induzione nella sua teoria della conoscenza.

In verità, al di fuori della logica e della matematica pura, tutte le più importanti conclusioni nell'ambito della conoscenza derivano dall'induzione.

Fanno eccezione la legge e la teologia, che derivano i loro assunti base da testi “indiscutibili”.

Il motivo è il seguente, e ce lo spiega in modo lucido e sintetico lo stesso Russell: «L'induzione è certamente meno inoppugnabile della deduzione, ed esprime una probabilità non una certezza, ma d'altra parte aggiunge nuova conoscenza, cosa che la deduzione non dà».

Nell'affermare che il signor Pico Pallino è mortale ci troviamo tutti d'accordo, ma assai difficilmente potremmo sostenere di saperlo perché siamo certi del fatto che tutti gli uomini sono mortali.

Ciò che sappiamo dall'esperienza empirica è che tutti gli uomini nati più di 150 anni fa sono morti, è per questo che pensiamo che anche il signor Pinco Pallino morirà, ma un simile ragionamento è chiaramente induttivo e non deduttivo, ed esprime una probabilità molto elevata ma non una certezza. 

Tutto ciò però, poco toglie alla somma abilità di Aristotele.

Per comprendere la caratura di questo filosofo, si tenga presente che in tutta l'epoca moderna quasi ogni progresso nella scienza, nella logica e nella filosofia si è dovuto compiere muovendo opposizione alle teorie aristoteliche.

In particolare la sua logica dominò pressoché incontrastata per quasi 2000 anni.

Mirco Mariucci

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Fonti:
  • Corso di storia della logica, Piergiorgio Odifreddi.
  • Storia della filosofia antica, di Giuseppe Cambiano.
  • Storia della filosofia, di Nicola Abbagnano.
  • Storia della Filosofia occidentale, di Bertrand Russell.
  • Storia del pensiero scientifico e filosofico, di Ludovico Geymonat

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