Mercoledì 7 gennaio 2015 due individui armati di kalašnikov sono riusciti ad entrare nella sede del giornale satirico parigino Charlie Hebdo e hanno aperto il fuoco al grido di "Allahu Akbar" ("Allah è grande / Allah è il più grande").
Nell'azione hanno perso la vita 12 persone, tra le quali Stéphane Charbonnier (Charb), direttore e disegnatore del Charlie Hebdo, ed il noto economista Bernard Maris, professore all'Università di Parigi nonché consigliere generale della Banque de France.
La Francia è scossa: si tratta del più grave attentato terroristico avvenuto sul territorio nazionale dal 1961. Solidarietà e condanne non tardano ad arrivare, sia da parte del popolo, che dai principali esponenti di organizzazioni e partiti politici; a livello mondiale il grido comune è: «je suis charlie».
Ben presto il dramma si trasforma in una ghiotta occasione per il potere: immancabilmente i mass media sfruttano l'evento per aumentare lo share, attuando tutte le strategie necessarie per ottenere il “nobile” obiettivo di formare l'opinione pubblica.
Noti personaggi iniziano a parlare di una guerra condotta da parte dell'Islam nei confronti dell'Europa; alcuni arrivano ad affermare che si tratta dell'inizio della terza guerra mondiale. L'Islam estremista deve essere fermato prima che sia troppo tardi; le misure di sicurezza devono essere aumentate per la salvaguardia della libertà, s'intenda!
Ma qual è la verità sull'attentato? Difficile a dirsi, i mass media da sempre diffondono la versione che fa comodo al potere, quella che in seguito diverrà la verità ufficiale, ma che raramente coincide con la realtà. Possiamo comunque effettuare alcune riflessioni.
Se vogliamo realmente risolvere la questione inerente gli attentati di matrice islamica, bisogna chiederci: qual è la vera causa del terrorismo? Perché una parte d'un popolo, accomunato da una stessa cultura, improvvisamente decide di organizzarsi e di coalizzarsi contro gli europei effettuando rapimenti, uccisioni ed attentati? Si tratta di una questione religiosa? Una “guerra santa”?
Se guardiamo ai paesi con le maggiori riserve petrolifere del mondo, ci accorgiamo che, al netto del Venezuela (in prima posizione ) e del Canada (terza posizione), la maggior parte dei giacimenti di petrolio si trovano (guarda caso) proprio in Medio Oriente ed in nord Africa.
Si tratta di paesi come l'Arabia Saudita, l'Iran, l'Iraq, il Kuwait, gli Emirati Arabi, la Libia e l'Algeria... molti dei quali sono tristemente noti per i conflitti bellici che sono avvenuti negli ultimi decenni.
Ancor più casualmente, gli stessi territori sono proprio quelli nei quali si sono sviluppate le cosiddette cellule terroristiche dell'Isis; l'idea di realizzare uno stato islamico riguarda proprio i territori del nord Africa e del Medio Oriente.
Risulta estremamente difficile evitare di teorizzare una correlazione: il petrolio svolge ancora un ruolo chiave nell'odierna economia capitalistica, come risorsa in grado di generare enormi profitti. E se il terrorismo fosse una reazione indotta dalle azioni dei membri dei paesi Europei?
Non è un mistero il fatto che numerose multinazionali sfruttino le risorse presenti nei territori del nord Africa e del Medio Oriente ormai da molti decenni; uno sfruttamento che avviene con la connivenza dei politici locali: chi si rifiutava di collaborare è stato abilmente sostituito per mezzo di apposite azioni.
Il profitto necessita del controllo delle risorse e l'élite non ha esitato ad attuare tutte le strategie necessarie per accaparrarsi il diritto allo sfruttamento su di esse: corruzione, meccanismi di controllo monetario e guerre incluse.
Il profitto necessita del controllo delle risorse e l'élite non ha esitato ad attuare tutte le strategie necessarie per accaparrarsi il diritto allo sfruttamento su di esse: corruzione, meccanismi di controllo monetario e guerre incluse.
L'appropriazione forzosa del diritto allo sfruttamento delle risorse locali da parte degli “stranieri”, ottenuto per mezzo di apposite strategie coercitive, non comporta un miglioramento delle condizioni di benessere per le popolazioni locali, bensì un peggioramento. Distruzione, morte, fame, sfruttamento e imponenti flussi migratori sono le principali conseguenze di un tipo di politica che non è esagerato definire imperialista, attuata in virtù di miopi ed egoistiche logiche di profitto.
A seguito di queste dinamiche fatte di dominio, sfruttamento e sottomissione è del tutto normale che le popolazioni locali non riescano a vedere di buon occhio gli “stranieri”, e che saranno spinte, a loro volta, ad attuare alcune azioni offensive, rispondendo alla violenza con la violenza.
Se i giapponesi bombardassero l'Italia al fine di sfruttare le risorse presenti sul nostro territorio, per giunta senza il contrappeso di alcuna ricaduta positiva per la popolazione locale; se molti dei nostri amici, conoscenti e connazionali venissero uccisi dalle azioni dell'esercito invasore; se le nostre strutture pubbliche venissero distrutte o privatizzate; se si diffondesse la fame, la miseria e la disperazione; se i membri del parlamento avvallassero le operazioni di profitto a vantaggio degli stranieri... anche noi italiani ci trasformeremmo, in breve tempo, in spietati terroristi nei confronti dei giapponesi.
La guerra, lo sfruttamento e la miseria causano a cascata anche un “imbarbarimento” di tipo culturale, perché se non si ha neanche da mangiare, allora l'istruzione diventa un lussuoso accessorio; quando la cultura ed il sapere scientifico cedono il posto all'ignoranza ed alla superstizione, ecco che subentra la religione.
Uno dei migliori modi per diventare un attentatore suicida, è quello di convincersi dell'esistenza di un Dio che, nel suo testo sacro, comanda di combattere una guerra santa contro gli infedeli, ricompensando l'azione con la vita eterna ed un posto in paradiso. Se poi i miscredenti, che sono la causa delle barbarie che interessano un gruppo di persone con la stessa cultura, si rivelano anche “irriverenti” nei confronti del loro amico immaginario... il gioco è fatto!
Gli interessi economici causano le guerre, che spingono le popolazioni interessate all'odio nei confronti degli stranieri distruttori, sfruttatori e parassitari; l'impoverimento ed il degrado conseguenti contribuiscono all'imbarbarimento culturale, che a sua volta porta al fiorire dell'estremismo religioso, concretizzando una ritorsione per mezzo dell'azione terroristica.
Il terrorismo quindi non è un evento spontaneo, semmai un riacutizzarsi di una fede religiosa che parte da presupposti errati (quelli dell'esistenza di dio) il cui messaggio, a causa dei comportamenti degli invasori che disseminano morte, povertà e sfruttamento, diventa attuale, trovando la linfa necessaria per avvalorare le sue tesi di distruzione e conquista nei confronti dei popoli dell'Europa e dell'America: gli eretici.
L'estremismo islamico di oggi non ha una connotazione strettamente religiosa; non è una lotta tra islamici e cristiani per stabilire la supremazia di un Dio immaginario, ma è una contrapposizione tra l'islam ed il capitalismo, scaturita a seguito delle azioni d'una élite che si cimenta in una strenua ricerca del profitto. L'Isis lotta in nome della religione, ma in realtà sta cercando di emancipare il popolo sottomesso alle barbarie del capitalismo, reagendo alla violenza degli invasori con ulteriore violenza, facendo del terrorismo.
In Europa il potere sfrutta gli attentati per legittimare le azioni necessarie per ottenere definitivamente il predominio sulle risorse presenti nei territori islamici. Non che sia un mistero, in realtà si tratta della nota tecnica “problema-reazione-soluzione”, sottolineata da Noam Chomsky nel suo decalogo della manipolazione mediatica.
Se l'élite volesse attuare un conflitto bellico nei confronti di una popolazione al fine di sfruttare le risorse disponibili su quel territorio, e improvvisamente il governo dichiarasse l'azione di guerra, l'opinione pubblica si solleverebbe: il popolo inizierebbe a protestare e a manifestare per cercare in tutti i modi di ostacolare l'operazione. Il governo finirebbe per perdere consensi e verrebbe delegittimato perdendo consensi.
Ma se invece quella guerra (che poi solitamente è camuffata con nomignoli benevoli, del tipo “azione di pace”, sempre per non suscitare le proteste del popolo) venisse dichiarata in seguito a spiacevoli azioni terroristiche avvenute sul territorio nazionale?
Se a causa degli attentati la popolazione percepisse l'Isis come un reale pericolo, un nemico comune che «ci sta attaccando»; se la popolazione s'illudesse di una imminente «invasione» o di una potenziale «guerra mondiale», ecco che sarebbero gli stessi cittadini ad invocare a gran voce l'intervento militare, che in realtà era necessario per perpetuare gli scopi di profitto di qualche multinazionale; la percezione della realtà ne risulterebbe alterata: a quel punto anche acquistare nuovi armamenti si trasformerebbe in un'operazione legittima attuata per difendersi dal nemico, e non più per concretizzare le dinamiche necessarie per realizzare profitto tramite la guerra e il commercio degli armamenti.
A seguito del verificasi degli attentati gli esseri umani corrono un ulteriore pericolo, ma non per colpa degli attentatori, bensì a causa delle manovre che i governi attueranno al grido di: «dobbiamo garantire la vostra sicurezza». Controlli sulle conversazioni personali, censure sull'informazione, un maggior potere alle forze armate e a quelle dell'ordine poteranno gradualmente alla realizzazione di una società Orwelliana, istituita con il consenso d'un popolo impaurito e disorientato.
Lo stesso meccanismo potrebbe essere utilizzato per forzare ulteriormente il processo di unificazione europea; un nemico comune rappresenta un ottimo spunto per l'ideologia europeista, in grado di unire sotto la stessa bandiera popoli che non hanno praticamente nulla in comune, al di fuori della moneta che gli è stata imposta da un'élite asservita alle banche, alla finanza ed al capitale, ovviamente. In questo caso lo slogan diverrà: «lottiamo come un unico popolo contro un nemico comune! L'unione fa la forza, viva gli stati uniti d'Europa!»
Come per magia, le stesse dichiarazioni che in tempi non sospetti avrebbero potuto far cadere un governo, si sarebbero trasformate nella causa principale del suo successo. L'operazione nel suo complesso avrebbe trasformato l'inattuabile nell'inevitabile, nel giusto o nel necessario.
In questo modo lo stesso governo ne uscirà doppiamente vincitore: da un lato perché avrà servito il potere (che era il suo scopo originario), dall'altro perché sarà riuscito addirittura ad aumentare i consensi, pur conducendo delle azioni folli e spregevoli, il tutto a discapito del benessere degli esseri umani.
In Europa i media danno sempre gran risalto alle morti avvenute a causa del terrorismo islamico, mentre invece minimizzano le stragi causate dagli interventi militari di America e Europa, tant'è che si ha quasi l'impressione che le morti causate da una guerra contino di meno rispetto a quelle avvenute a seguito d'un attentato; eppure in entrambi i casi sono state strappate con forza delle vite a esseri umani innocenti.
Se è vero che il terrorismo islamico deve essere condannato, allora lo stesso tipo di argomentazione dovrebbe sussistere anche per le azioni omicide attuate dai paesi europei nei confronti delle popolazioni islamiche; perché se il terrorismo consiste nell'attuazione di fatti criminali diretti contro uno stato, con lo scopo di provocare terrore nella popolazione, allora che cosa c'è di più “terroristico” di una guerra?
Pensare di combattere il terrorismo con ulteriore violenza, è come cercare di spegnere un incendio con il fuoco. Il terrorismo non si combatte con la forza, perché la forza porta ad ulteriore scontro e contrapposizione, acuisce il risentimento reciproco, l'odio ed il disprezzo. Ad una rappresaglia aerea da parte degli Europei seguiranno nuovi attentati delle cellule terroristiche islamiche, innescando un'escalation estremamente pericolosa, che non porterà alla cessazione delle dinamiche, ma ad un loro ampliamento.
Aumentare le misure di sicurezza in Europa non aumenterà il nostro benessere, ma limiterà di certo quel minimo di libertà che ci viene concessa, anche se bisogna ammettere che parlare in termini di “libertà”, riferendoci alle condizioni di vita sperimentate dagli esseri umani all'interno di un sistema capitalistico, non è nulla di più che un futile eufemismo.
Continuando con le vetuste dinamiche di forza e controllo contribuiremo a realizzare un inferno per l'intera umanità.
Il terrorismo non si combatte con la forza, ma con l'economia e con la cultura, realizzando condizioni di benessere per tutti gli esseri umani; in particolar modo per i paesi che oggi vivono nella miseria e nell'ignoranza, anche a causa delle azioni dei paesi europei;
Il terrorismo si scardina cessando le politiche imperialiste basate sull'occupazione e la sottomissione di altri popoli, attuate con il fine di realizzare profitto dallo sfruttamento delle risorse presenti sui loro territori, senza che essi ne traggano alcun giovamento.
Se l'Europa e l'America s'impegnassero a realizzare condizioni di benessere per i popoli dell'Islam, e per quelli di tutto il mondo, creando le strutture necessarie per accedere ad una cultura sana basata su di un pensiero scientifico scettico-razionale, garantendo a tutti l'accesso alle cure mediche gratuitamente ed evitando che le persone vengano sfruttate e soffrano la fame;
se i popoli di tutto il mondo comprendessero, una volta per tutte, che non esiste alcuna religione superiore alle altre da imporre al resto dell'umanità in virtù del possesso di una Verità di presunta origine divina, perché tutte le religioni sono false, in quanto non esiste alcun essere metafisico che può comunicare alcunché e, di conseguenza, non esiste alcun messaggio divino, ma solo verità umane;
se si riuscisse a far passare il messaggio che gli esseri umani non hanno bisogno della religione per vivere in pace ed in serenità, né di sfruttare e sottomettere gli altri per realizzare i propri egoistici fini, ma di cooperare in modo sinergico, condividendo le risorse della Terra in modo equo con tutti gli esseri viventi, guardando alla sostenibilità ambientale delle proprie azioni e finalizzando gli sforzi per il raggiungimento del benessere collettivo,
ecco che non esisterebbero più né guerre, né terrorismo, né misure di sicurezza, né sfruttamento, né povertà, ma semplicemente una comunità d'individui evoluti che agirebbe in modo ragionevole all'interno di una società in grado di assicurare serenità e felicità a tutti i suoi membri.
Mirco Mariucci
Mirco Mariucci
Al solito non vedo una così grave minaccia nella religione (anche se troppo spesso è usata come strumento di potere sulle persone), ma sono pienamente d'accordo sul rimanente 90% dell'articolo :)
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