Tramonto fotografato in Umbria, 2 gennaio 2015. |
Ho avuto la fortuna di poter immortalare un tramonto spettacolare, le cui tinte riportano alla mente i capolavori di William Turner, l'artista che pose le basi per l'impressionismo.
Il fenomeno è durato pochi minuti, giusto il tempo di scattare qualche fotografia, fin quando Aton, eclissandosi all'orizzonte, ha concesso alla dea Nyx di giungere nel regno dei mortali.
Ma com'è possibile che il cielo si trasformi in un'opera d'arte degna d'essere impressa su tela dal miglior Monet? Che l'onnipotente dio dei cristiani si sia divertito a tinteggiare il cielo? No, sì tratta d'un noto fenomeno fisico, conosciuto con il nome di “scattering di Rayleigh”.
Quando viene emessa da una sorgente, la luce segue una specifica traiettoria. In uno spazio vuoto, senza l'interferenza di campi gravitazionali, si propagherà in linea retta.
Se un fascio di fotoni viene emesso da un punto A in direzione di un punto B, l'osservatore potrà vedere la luce solamente trovandosi sulla medesima traiettoria dell'onda elettromagnetica, guardando nel verso che va da B ad A. Infatti, se l'osservatore si trovasse fuori da suddetta retta, non potrebbe vedere alcunché, perché fisicamente la luce non lo avrebbe neanche raggiunto.
Eppure, sotto particolari condizioni, la luce diviene visibile anche posizionandosi al di fuori della traiettoria ideale che va da A a B.
Quando incrociamo un'autovettura possiamo chiaramente vedere i suoi fari guardando la macchina avvicinarsi; in caso di nebbia però, è altresì possibile vedere la luce emessa da quei fari anche ponendosi in direzione perpendicolare alla traiettoria del veicolo, magari osservandolo dal ciglio della strada.
Non si tratta d'un caso isolato, l'effetto è facilmente replicabile avvalendosi d'un fascio di luce collimato (come quello d'un comune laser) che, in un ambiente fumoso, appare ben visibile anche da posizioni laterali. Com'è possibile?
In questi casi, la luce non si trova più in uno spazio "vuoto" e sul suo percorso incontra delle particelle (fumo, vapore acqueo...) che la diffondono: gli urti fanno in modo che parte della luce venga deviata dalla traiettoria ideale che congiunge A e B, rendendola visibile anche al di fuori di essa.
In particolare, il fenomeno di diffusione (o scattering) di un'onda luminosa è provocato da particelle di dimensione più piccole rispetto alla lunghezza d'onda dell'onda stessa, ed è noto come scattering di Rayleigh, prendendo in prestito il nome dal fisico britannico, nonché premio Nobel, John William Strutt Rayleigh, che formalizzò il modello matematico utilizzato per descrivere il fenomeno.
Grazie al risultato di Rayleigh è possibile rispondere alla seguente domanda: perché il cielo visto dalla terra è di colore blu? Si tratta d'un fenomeno di scattering, appunto! Nel caso dell'atmosfera le particelle responsabili della diffusione sono le molecole dell'aria: azoto, ossigeno, vapore acqueo...
La luce altro non è che un'onda elettromagnetica, al pari delle le onde radio e dei raggi UV. Lo spettro visibile è quella parte dello spettro elettromagnetico che cade tra il rosso e il violetto, includendo tutti i colori percepibili dall'occhio umano che danno vita al fenomeno della luce. La lunghezza d'onda della luce visibile nell'aria spazia indicativamente dai 380 nm ai 760 nm: i tipici colori dell'arcobaleno.
Secondo il modello, l'intensità della luce diffusa decresce con la quarta potenza della lunghezza d'onda. Così il violetto, che ha una lunghezza d'onda sui 400 nm, è diffuso circa 7 volte più del rosso, che ha una lunghezza d'onda sui 650 nm.
Inoltre, bisogna considerare che l'occhio umano è poco sensibile al violetto, mentre è molto più adatto a percepire l'azzurro, che viene anch'esso diffuso piuttosto efficacemente, avendo una lunghezza d'onda prossima a quella del violetto (circa 450 nm).
Ecco perché in pieno giorno l'intera volta celeste ci appare colorata di blu, fatta eccezione per l'area occupata dal Sole, dalla quale ci proviene principalmente una luce “diretta”, non diffusa, quindi bianca.
Gli astronauti che si trovano in orbita invece, possono osservare un cielo completamente nero, perché in assenza di atmosfera il fenomeno della diffusione non ha luogo.
Allora perché il tramonto assume delle colorazioni che vanno fino all'aracione e al rosso? Perché i raggi di luce raggiungono i nostri occhi dopo aver percorso un lungo tragitto attraverso la bassa atmosfera, nel corso del quale, dopo aver subìto un sufficiente numero di processi diffusivi, la luce "diretta" del sole ne esce depauperata delle componenti blu-violette. In quei raggi prevarranno le componenti dello spettro con la lunghezza d'onda del rosso e dell'arancio. La presenza di vapore acqueo farà il resto, rendendo il tramonto ancor più spettacolare.
Gli effetti combinate di luce ed atmosfera danno adito ad un ulteriore fenomeno, alquanto curioso. Il tramonto del Sole si osserva con qualche minuto di ritardo rispetto all'effettiva discesa dell'astro al di sotto della linea dell'orizzonte. In altre parole, i raggi di luce ci raggiungono anche quando il Sole non si trova più in vista “diretta”.
Questa volta il fenomeno è dovuto alla rifrazione che si ha quando la luce passa dal vuoto interstellare all'atmosfera: l'inclinazione dei raggi che giungono sulla superficie terrestre, in realtà è maggiore di quella che essi possiedono quando colpiscono la parte esterna dell'atmosfera.
Un simile effetto può essere osservato guardando all'interno di un bicchiere pieno d'acqua, nel quale è stata immersa una matita parzialmente inclinata: l'oggetto sembrerà ulteriormente piegato dalla superficie dell'acqua, come se fosse formato da due segmenti.
Il risultato della rifrazione è che il sole ci appare sempre un po' più in alto di quanto non lo sia; l'effetto aumenta man mano che il sole si abbassa sull'orizzonte, raggiungendo il suo picco massimo proprio in prossimità del tramonto, rendendo visibile la stella anche quando si trova effettivamente già coperta dall'orizzonte, generando così una sorta d'illusione.
Per quanto detto, la semplice fotografia d'un tramonto acquisisce una duplice funzione: oltre a catturarne tutto il suo fascino, può riportarci alla mente le decine di secoli di libero pensiero, che sono state necessarie per comprendere la fisica d'un fenomeno, che fin dai tempi antichi affascina l'umanità.
Non c'è alcun dio che usa il cielo come fosse una tela, imitando tratti e colori del più abile degli impressionisti; ancora una volta, il pittore più in gamba del quale abbiamo la fortuna di poter osservare le opere, non è un essere metafisico, né un umano, bensì la natura stessa con le sue stupefacenti dinamiche fisiche; una natura scritta in un linguaggio matematico, che gli esseri umani dimostrano sempre più di saper comprendere per mezzo della ragione, come nel caso dei gloriosi tramonti e dell'effetto di scattering descritto dal modello di Rayleigh.
Fonti:
Citazioni artistiche:
Il fenomeno è durato pochi minuti, giusto il tempo di scattare qualche fotografia, fin quando Aton, eclissandosi all'orizzonte, ha concesso alla dea Nyx di giungere nel regno dei mortali.
Ma com'è possibile che il cielo si trasformi in un'opera d'arte degna d'essere impressa su tela dal miglior Monet? Che l'onnipotente dio dei cristiani si sia divertito a tinteggiare il cielo? No, sì tratta d'un noto fenomeno fisico, conosciuto con il nome di “scattering di Rayleigh”.
San Giorgio Maggiore al crepuscolo, olio su tela di 65,2 x 92,4 cm, realizzato nel 1904-1908 dal pittore francese Claude Monet. È conservato nel National Museum of Wales di Cardiff, in Galles. |
Quando viene emessa da una sorgente, la luce segue una specifica traiettoria. In uno spazio vuoto, senza l'interferenza di campi gravitazionali, si propagherà in linea retta.
Se un fascio di fotoni viene emesso da un punto A in direzione di un punto B, l'osservatore potrà vedere la luce solamente trovandosi sulla medesima traiettoria dell'onda elettromagnetica, guardando nel verso che va da B ad A. Infatti, se l'osservatore si trovasse fuori da suddetta retta, non potrebbe vedere alcunché, perché fisicamente la luce non lo avrebbe neanche raggiunto.
Eppure, sotto particolari condizioni, la luce diviene visibile anche posizionandosi al di fuori della traiettoria ideale che va da A a B.
Quando incrociamo un'autovettura possiamo chiaramente vedere i suoi fari guardando la macchina avvicinarsi; in caso di nebbia però, è altresì possibile vedere la luce emessa da quei fari anche ponendosi in direzione perpendicolare alla traiettoria del veicolo, magari osservandolo dal ciglio della strada.
Non si tratta d'un caso isolato, l'effetto è facilmente replicabile avvalendosi d'un fascio di luce collimato (come quello d'un comune laser) che, in un ambiente fumoso, appare ben visibile anche da posizioni laterali. Com'è possibile?
In questi casi, la luce non si trova più in uno spazio "vuoto" e sul suo percorso incontra delle particelle (fumo, vapore acqueo...) che la diffondono: gli urti fanno in modo che parte della luce venga deviata dalla traiettoria ideale che congiunge A e B, rendendola visibile anche al di fuori di essa.
In particolare, il fenomeno di diffusione (o scattering) di un'onda luminosa è provocato da particelle di dimensione più piccole rispetto alla lunghezza d'onda dell'onda stessa, ed è noto come scattering di Rayleigh, prendendo in prestito il nome dal fisico britannico, nonché premio Nobel, John William Strutt Rayleigh, che formalizzò il modello matematico utilizzato per descrivere il fenomeno.
Grazie al risultato di Rayleigh è possibile rispondere alla seguente domanda: perché il cielo visto dalla terra è di colore blu? Si tratta d'un fenomeno di scattering, appunto! Nel caso dell'atmosfera le particelle responsabili della diffusione sono le molecole dell'aria: azoto, ossigeno, vapore acqueo...
La luce altro non è che un'onda elettromagnetica, al pari delle le onde radio e dei raggi UV. Lo spettro visibile è quella parte dello spettro elettromagnetico che cade tra il rosso e il violetto, includendo tutti i colori percepibili dall'occhio umano che danno vita al fenomeno della luce. La lunghezza d'onda della luce visibile nell'aria spazia indicativamente dai 380 nm ai 760 nm: i tipici colori dell'arcobaleno.
Secondo il modello, l'intensità della luce diffusa decresce con la quarta potenza della lunghezza d'onda. Così il violetto, che ha una lunghezza d'onda sui 400 nm, è diffuso circa 7 volte più del rosso, che ha una lunghezza d'onda sui 650 nm.
Inoltre, bisogna considerare che l'occhio umano è poco sensibile al violetto, mentre è molto più adatto a percepire l'azzurro, che viene anch'esso diffuso piuttosto efficacemente, avendo una lunghezza d'onda prossima a quella del violetto (circa 450 nm).
Ecco perché in pieno giorno l'intera volta celeste ci appare colorata di blu, fatta eccezione per l'area occupata dal Sole, dalla quale ci proviene principalmente una luce “diretta”, non diffusa, quindi bianca.
Gli astronauti che si trovano in orbita invece, possono osservare un cielo completamente nero, perché in assenza di atmosfera il fenomeno della diffusione non ha luogo.
Fotografia scattata dalla Stazione Spaziale Internazionale, 22 novembre 2009. |
Gli effetti combinate di luce ed atmosfera danno adito ad un ulteriore fenomeno, alquanto curioso. Il tramonto del Sole si osserva con qualche minuto di ritardo rispetto all'effettiva discesa dell'astro al di sotto della linea dell'orizzonte. In altre parole, i raggi di luce ci raggiungono anche quando il Sole non si trova più in vista “diretta”.
Questa volta il fenomeno è dovuto alla rifrazione che si ha quando la luce passa dal vuoto interstellare all'atmosfera: l'inclinazione dei raggi che giungono sulla superficie terrestre, in realtà è maggiore di quella che essi possiedono quando colpiscono la parte esterna dell'atmosfera.
Un simile effetto può essere osservato guardando all'interno di un bicchiere pieno d'acqua, nel quale è stata immersa una matita parzialmente inclinata: l'oggetto sembrerà ulteriormente piegato dalla superficie dell'acqua, come se fosse formato da due segmenti.
Fenomeno della rifrazione della luce nell'acqua. |
Il risultato della rifrazione è che il sole ci appare sempre un po' più in alto di quanto non lo sia; l'effetto aumenta man mano che il sole si abbassa sull'orizzonte, raggiungendo il suo picco massimo proprio in prossimità del tramonto, rendendo visibile la stella anche quando si trova effettivamente già coperta dall'orizzonte, generando così una sorta d'illusione.
Per quanto detto, la semplice fotografia d'un tramonto acquisisce una duplice funzione: oltre a catturarne tutto il suo fascino, può riportarci alla mente le decine di secoli di libero pensiero, che sono state necessarie per comprendere la fisica d'un fenomeno, che fin dai tempi antichi affascina l'umanità.
Non c'è alcun dio che usa il cielo come fosse una tela, imitando tratti e colori del più abile degli impressionisti; ancora una volta, il pittore più in gamba del quale abbiamo la fortuna di poter osservare le opere, non è un essere metafisico, né un umano, bensì la natura stessa con le sue stupefacenti dinamiche fisiche; una natura scritta in un linguaggio matematico, che gli esseri umani dimostrano sempre più di saper comprendere per mezzo della ragione, come nel caso dei gloriosi tramonti e dell'effetto di scattering descritto dal modello di Rayleigh.
Fonti:
- “Perché accade ciò che accade”, di Andrea Frova ISBN 978-88-17-10797-6
Citazioni artistiche:
- "William Turner" (si veda "La nave negriera")
- "Claude Monet" (si veda "San Giorgio Maggiore al crepuscolo")
In effetti non c'è nessun dio che utilizza il cielo come una tela.... ma chi può dire che non ci sia un dio che abbia stabilito le regole fisiche così tanto bene descritte nel testo che produco gli effetti che poi ammiriamo?
RispondiEliminaL'esistenza di un dio non implica, necessariamente, il suo intervento costante e continuativo nel creato ma, semplicemente, un'opera originaria a creare quelle regole che consentono al creato di avere e mantenere la sua forma.
Per fare un esempio banale: l'acquario che ho in salotto è stato creato da me, pezzo per pezzo. Io ho posizionato la teca, fatto il fondale, versato l'acqua, piantato le piante, regolato la temperatura, deciso gli orari di accensione e spegnimento della luce ed, infine, piazzato i pesci.
Ora il sistema funziona perfettamente da solo senza (quasi, giusto il cibo) il mio intervento. I pesci vivono, il giorno e la notte (artificiali) si alternano, la temperatura è costante. Eppure tutto il sistema "acquario" funziona secondo regole e criteri che sono stati decisi da qualcuno a priori.
Quello che dice è logicamente corretto; ma allo stesso modo potremmo chiederci: chi può dire che esiste un dio che ha stabilito le leggi della fisica? Perché deve necessariamente esserci una divinità che inventa e fissa la fisica dell'universo? E se la divinità esiste, chi l'ha creata? Se invece è sempre esistita, perché allora non può essere sempre esistito l'universo? Allo stesso modo, perché le leggi della fisica non possono esistere "da sempre", senza l'intervento di un ideatore? Supporre fideisticamente l'esistenza di un essere immaginifico e metafisico, per cercare di spiegare ciò che nessuno conosce, non rappresenta una strategia soddisfacente; per dirla alla Laplace: Dio è un'ipotesi non necessaria, se non del tutto inutile e dannosa.
EliminaTutto quello che dici, però, è vero anche all'opposto: chi può dire che NON esiste un dio che ha stabilito le leggi della fisica? Chi può dire che le leggi della fisica sono necessariamente così e non potrebbero essere altrimenti?
EliminaAnche supporre fideisticamente (sì, fideisticamente anche in questo caso, perchè sempre di un atto di fede si tratta, opposta ma pur sempre fede) la NON esistenza di un essere metafisico basandosi sul fatto che ciò che può essere spiegato, allora non necessita di creatore, non rappresenta una teoria soddisfacente.
Io posso andare da un meccanico e farmi spiegare nei più infimi dettagli il funzionamento di un'automobile, ma questo non implica che non esista un creatore delle automobili.
Per dirla alla Einstein: "Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell'essere umano più intelligente nei confronti di Dio"
1) Perché non ti firmi quando scrivi?
Elimina2) Non mi sembra proprio che «tutto quello che dici è vero anche all'opposto». Chi ha creato Dio? Perché Dio è sempre esistito invece l'universo deve essere creato?
3) Non mi sto basando sul fatto che: «ciò che può essere spiegato, allora non necessita di creatore». L'esistenza nel mondo fisico ha bisogno di empirismo; nel mondo delle idee invece, Dio esiste eccome, così come qualsiasi altro parto della mente umana.
Una domanda: dove sono le evidenze empiriche oggettive che dimostrano in modo definitivo l'esistenza di Dio? Semplice, non ci sono, altrimenti non sarebbe richiesta la fede nella sua esistenza. Portami le prove che corroborano la teoria dell'esistenza di Dio in modo oggettivo e cambierò idea, ma fino a quel momento la teoria che i parti dell'immaginazione dei credenti non esistano, è quella logicamente corretta da sostenere, perché l'onere della prova è a carico di chi afferma l'esistenza.
4)Non puoi paragonare l'universo con un'automobile, molto semplicemente perché l'automobile esiste necessariamente in quanto costruita da qualche costruttore nel mondo; ciò non implica che avvenga lo stesso per l'universo, ovvero che ci sia un creatore dell'universo, così come c'è per forza un costruttore di automobili.
5) Forse ti sfugge un dettaglio piccolo, piccolo su Einstein... Cito testualmente le sue parole: « io non credo in un Dio personale e non ho mai negato questo fatto, anzi, ho sempre espresso le mie convinzioni chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la mia sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare». Chiaro no?