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venerdì 26 febbraio 2016

Gorgia: la retorica e il potere della persuasione.



Tratto dal saggio Il Sapere degli Antichi Greci, disponibile in formato cartaceo e digitale al seguente indirizzo, anche in download gratuito.


Gorgia nacque in Sicilia a Leontini (oggi Lentini) intorno al -483 e morì ultracentenario a 109 anni.

Discepolo di Empedocle e contemporaneo di Parmenide, fu uno dei retori più illustri del suo tempo.

Viaggiando per le città dell'antica Grecia riscosse un grande successo facendosi apprezzare come retore finissimo ed eloquente.

La sua fama crebbe a tal punto da indurre la propria città natale a inviarlo come ambasciatore ad Atene per risolvere un conflitto che era in atto con Siracusa.

Era talmente abile nell'esercizio della retorica, e sicuro di sé, da dirsi in grado di rispondere a qualunque domanda gli avessero avanzato.

Praticando l'insegnamento dell'arte oratoria in cambio di denaro, diventò talmente ricco da potersi addirittura permettere di erigere una statua d'oro al dio Apollo a Delfi.

Di Gorgia ci giungono alcuni dei suoi discorsi, quali l'Encomio di Elena (di Troia) e la Difesa di Palamede, che in realtà non furono mai pronunciati e rappresentano dei testi fittizi probabilmente utilizzati dall'abile retore per sfoggiare le proprie capacità o come modelli per l'insegnamento.

Nell'Encomio Gorgia prende le difese di Elena che era stata incolpata di aver provocato la guerra di Troia a causa della sua decisione di tradire il marito Menelao e seguire Paride.

Ma l'abile retore sostiene che Elena è innocente in ogni caso: infatti, sia che abbia fatto ciò che ha fatto perché presa da amore, sia perché persuasa dalla parola, sia perché rapita con la violenza o perché costretta dal volere divino, il vero movente rimane sempre esterno alla sua responsabilità. Com'è possibile?

Nel primo caso il vero motivo dell'amore di Elena deve essere individuato nell'azione di Afrodite che, in cambio della Mela d'Oro, aveva promesso a Paride l'amore della donna più bella del mondo, ovvero Elena di Troia.

Nel secondo caso la scelta non è dipesa dalla volontà di Elena ma dalla potenza persuasiva della parola, perché: «La parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo, divinissime cose sa compiere».

Nel terzo caso Elena è stata rapita e questo gesto è avvenuto con la forza, quindi è evidente che la colpa debba essere attribuita a Paride e non di certo a Elena.

Ed infine, nell'ultimo caso, come si può anche solo pensare che Elena avrebbe potuto modificare i progetti stabiliti dagli dei?

Al di là della debolezza e della discutibile validità di questi argomenti, dalla lettura dell'Encomio si può comprendere la concezione gorgiana della parola.

L'ambito del linguaggio è la persuasione ed in particolare l'arte della retorica è la tecnica che consente di far credere determinate cose agli interlocutori in modo da spingerli ad agire secondo una precisa direzione.

La persuasione avviene a prescindere dal grado di verità di ciò che viene detto, perché la discussione tende ad agire sugli aspetti emotivi, sentimentali e culturali dell'interlocutore, più che sulla ragione e la verità; ed proprio mediante la possibilità di evocare e modificare le passioni dell'uomo che la parola dimostra di avere un potere illimitato sulle anime.

Gorgia paragona la potenza del linguaggio alle medicine e agli incantesimi. La parola «Riesce a calmare la paura ed eliminare il dolore, a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà».

Egli era convinto che non esistesse alcun argomento di cui un buon retore, di fronte alla folla, non fosse stato in grado di parlare in modo più persuasivo di qualsiasi altro specialista e, in certi casi, chi padroneggiava la parola gli sarebbe stato addirittura superiore.

Egli dice: «Mi sono recato con mio fratello e con altri medici da qualche ammalato che non voleva bere medicine o mettersi in mano al medico lasciando che questi praticasse tagli o cauterizzazioni, e, mentre il medico non riusciva a persuaderlo, io lo persuasi con non altra arte che la retorica».

Per ottenere simili risultati bisogna essere in grado di cogliere la condizione psicologica degli interlocutori e di stabilire i discorsi e le modalità più appropriati per raggiungere il fine della persuasione; per questo Gorgia si focalizzava sullo studio delle forme e delle figure stilistiche nei suoi insegnamenti.

I giovani ricchi che ricevevano il suo sapere disponevano di un potente mezzo per ottenere consenso e influenzare gli altri, che non disdegnavano d'impiegare per avere successo nella politica e nei tribunali. Ecco perché erano disposti a pagare a caro prezzo i suoi insegnamenti.

Ma nonostante ciò, pare che almeno in una occasione la sua abilità di oratore fu messa in discussione, e la persuasione non andò a segno.

Durante uno dei suoi viaggi ad Atene, Gorgia tenne il famoso Discorso Olimpico, pronunciato con l'intento di invitare i greci a mettere da parte rancori e discordie per affrontare uniti i barbari.

Si narra che il noto retore arringò a lungo la folla, insistendo sulla differenza di temperamento tra gli abitanti della Sicilia e della Grecia e gli altri, che venivano etichettati come "barbari".

L'assenza dell'armonia era la causa della discordia dei Barbari, ed era proprio l'armonia il tratto distintivo della superiorità dei greci sui nemici, ciò che avrebbe accresciuto il timore degli stranieri nei loro confronti. Ma una voce proveniente dalla folla affermò:

«Noi siamo in tanti, Gorgia, e ci suggerisci di andare d'accordo e in armonia; tutti sanno però che a casa tua siete in tre, tu, tua moglie ed un servo, e litigate da mattina a sera. Non credi che avrebbero più effetto i tuoi discorsi se si sapesse che almeno voi tre non recate molestia ai vicini?».

Al che, Gorgia, avrebbe potuto ribattere che non si deve giudicare una tesi filosofica dalla condotta del filosofo, così come fece Arthur Schopenhauer quando fu beccato dai suoi allievi all'uscita di un bordello, non prima di aver affermato con insistenza l'utilità della castità per sconfiggere la specie che tratta l'uomo come un suo funzionario.

E così Gorgia avrebbe avuto la meglio, perché una tesi filosofica, e ancor meglio una scientifica, non hanno bisogno né di testimonianze né di esempi, perché se sono vere esse sussistono da sé.

Ma Gorgia non fu soltanto un retore dedito al denaro più che alla verità.

Egli scrisse anche un'opera filosofica intitolata Sul non essere, nella quale rovesciava intenzionalmente il nucleo centrale delle tesi della scuola filosofica eleatica. E lo fece utilizzando le medesime tecniche logico-razionali tipiche dei razionalisti di Elea, noti per il loro utilizzo della reductio ad absurdum.

Parmenide e i suoi successori avevano negato contro l'evidenza sensibile l'esistenza del moto e della molteplicità, dimostrando per mezzo della ragione la necessità dell'Essere che era: unico, immobile, omogeneo, immutabile, finito, ingenerato, immortale e quindi eterno.

Gorgia replicò con tre tesi concatenate che: 1) nulla esiste; 2) se anche qualcosa fosse, non sarebbe conoscibile; 3) se anche questo qualcosa fosse conoscibile, tale conoscenza non sarebbe comunicabile.

Punto 1) Se qualcosa esiste, esso sarà o l'Essere o il non-essere o l'Essere e il non-essere insieme.

Ora, il non-essere non c'è, perché se ci fosse dovrebbe essere allo stesso tempo sia essere che non essere, il che è contraddittorio.

Ma neppure l'Essere c'è, perché se ci fosse, esso dovrebbe essere o eterno o generato o eterno e generato insieme; se è eterno, non ha alcun principio e, non avendo alcun principio, è infinito; ma se è infinito non è in alcun luogo e, se non è in nessun luogo, non esiste.

Ma l'Essere non può essere neppure generato, perché se fosse nato, sarebbe nato o dall'Essere o dal non-essere.

Ma di certo non è nato dall'Essere, perché se era già Essere, allora non è nato, ma esisteva già; e ancor meno può nascere dal non-essere, perché il non-essere non può generare.

Dunque l'Essere non può essere né eterno né generato, e quindi non può essere nemmeno eterno e generato allo stesso tempo.

Ne consegue che né l'Essere né il non-essere esistono.

Punto 2) Secondo Gorgia l'uomo non possiede il potere di far esistere le cose a cui pensa.

Infatti se il pensato esistesse, allora dovrebbero esistere tutte le cose a prescindere da come le si pensi. Ma ciò è chiaramente contrario all'esperienza:

gli uomini non si mettono a volare solo perché li si pensa volanti, né un'automobile può sfrecciare sul mare solo perché la si pensa in grado di compier una simile impresa.

Che le cose pensate non esistano ci appare del tutto evidente anche quanto tentiamo di far materializzare un oggetto del pensiero davanti a noi e puntualmente non ci riusciamo.

Del resto, se così non fosse, il mondo dovrebbe brulicare di cose stravaganti che sono frutto delle fantasie umane, compresi i mostri partoriti dalle menti dei bambini e le migliaia di divinità inventante nel corso della storia da quelle degli adulti.

Ebbene, la logica ci dice che A implica B se e solo se non-B implica non-A. Questa tautologia è nota come principio di contrapposizione.

Quindi, se è vero che ciò che è pensato non esiste allora, per contrapposizione, è anche vero che ciò che esiste non è pensato, e che perciò l'Essere, se ammettiamo che esista, è inconoscibile.

Punto 3) Posto che le cose esistenti sono visibili e udibili e, in genere, sensibili, e che di esse quelle visibili sono percepibili per mezzo della vista e quelle udibili lo sono grazie all'udito, come si potranno esprimere ad un altro?

Poiché il mezzo con cui ci esprimiamo è la parola, e la parola non è l'oggetto né la cosa, ciò che esprimiamo non è realtà esistente, ma solo parola, che è altro dall'oggetto.

Così come il visibile non può diventare udibile e viceversa, l'Essere, in quanto oggetto esterno a noi, non può diventar parola, che è in noi. E non essendo parola non potrà esser manifestato agli altri.

In estrema sintesi: se anche l'Essere fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile perché noi ci esprimiamo con la parola che non è l'Essere, perché di fatto stiamo trasmettendo parole e non l'Essere.

Lascio al lettore il semplice esercizio della confutazione degli argomenti di Gorgia che ho cercato di ricostruire basandomi sulla testimonianza di Sesto Empirico.

Ciò che è interessante da un punto di vista filosofico è che Gorgia, riducendo all'assurdo le tesi Eleatiche, sembra giungere ad una forma di nichilismo epistemologico, divenendone così un precursore.

Nulla è, se anche fosse non sarebbe conoscibile, se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile. In un certo senso se per Protagora «Tutto è vero», per Gorgia «Tutto è falso».

Con queste tesi egli intendeva negare l'oggettività del pensiero; la verità è inaccessibile, perché non esistono criteri infallibili e universali per stabilire cos'è vero.

Ed è proprio a causa dell'assenza di questa oggettività, che la retorica assume una forza di persuasione alla quale nessuno è in grado di resistere.

Dal momento che non ci si può appellare al vero, il sentimento prevale, e così l'uomo non ha difese per proteggersi dagli attacchi sferrati con le parole.

Ma se assumiamo che la verità non sia raggiungibile, né con i sensi ingannatori né con il pensiero, quale può essere un valido fondamento per la morale dell'uomo?

È opinione di Gorgia che non esistano valori e principi immutabili e universali, e che ciascuno debba attuare il comportamento più consono per affrontare la situazione in cui si trova.

La risposta di ciascuno varierà in funzione delle circostanze ma anche a seconda del soggetto, della sua età e della sua cultura. Ed ecco ancora una volta che il relativismo culturale dei sofisti diviene manifesto.

Concludiamo con una piccola precisazione. Alcuni filosofi hanno messo in dubbio che l'interpretazione nichilista rappresenti un reale convincimento filosofico di Gorgia.

Se così fosse, chiaramente egli non sarebbe un precursore del nichilismo, e lo scritto intitolato Sul non essere assumerebbe una valenza ironica o dimostrativa, come se fosse una sorta di parodia delle tesi e dei metodi della scuola Eleatica e quindi un ulteriore saggio delle sue abilità da retore.

Altri però, come il filosofo Nicola Abbagnano, ritengono che non vi siano ragioni sufficienti per negare l'interesse filosofico di Gorgia e quindi la credibilità delle sue tesi.

Per quanto riguarda la stesura di questo scritto, ho deciso di risolvere la disputa schierandomi in modo arbitrario dalla parte dei sostenitori del nichilismo, non tanto sulla base di un solido criterio di verità, che come avrebbe sostenuto anche Gorgia - a ragione - in questo caso sì che non esiste, bensì per completare l'esposizione degli aspetti della concezione filosofica ad esso attribuita.

Vorrei infatti far notare al lettore come sia possibile dimostrare che una filosofia basata sulla convinzione che “tutto è falso” si riveli essere intrinsecamente contraddittoria.

Infatti, se assumiamo per vero che “tutto è falso”, allora in particolare dovrebbe essere falsa anche quella frase; ma così non è, perché non appena assumiamo per ipotesi che tutto è falso la frase che afferma "tutto è falso" diventa vera. Il che è assurdo.

Ciò significa che la frase “tutto è falso” è falsa, ovvero che bisogna assumere per vera la sua negazione e cioè “esiste qualche verità”.

Quello che ho appena esposto è un semplice esercizio basato sull'applicazione di un principio logico noto come consequentia mirabilis, che fa derivare la validità di un'affermazione dalla constatazione dell'inconsistenza della sua negazione.

Si può utilizzare il medesimo principio anche per provare l'esistenza di qualcosa e anche del pensiero, ma non del soggetto pensante (provate assumendo per vero che “nulla esiste” e che “il pensiero non esiste”).

Per comporre un'ultima arringa difensiva nei confronti della concezione filosofica dei sofisti bisogna ricordare di contestualizzare le loro tesi: essi non si occuparono di verità logico-matematiche, né di indagini naturalistiche.

Il loro campo d'indagine riguardava l'uomo che vive in società e possiede un insieme di nozioni e regole che vanno a formare un "substrato" culturale. Ed è qui che il relativismo dei sofisti può dare il proprio contributo alla storia del pensiero, senza correre il rischio di essere banalmente confutato.

Si pensi per un istante alla religione che, in ultima analisi, si riduce ad un fatto culturale; non a caso la maggior parte dei credenti reputa vera la religione di cui ha avuto esperienza nel proprio contesto sociale, mentre ritiene che tutte le altre professioni siano in errore.

In questo campo sì che Gorgia avrebbe davvero potuto argomentare con forza che tutto è falso.

Mirco Mariucci

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Fonti.

  • Storia della filosofia antica, di Giuseppe Cambiano.
  • Storia della filosofia, di Nicola Abbagnano.
  • Storia della Filosofia occidentale, di Bertrand Russell.
  • Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 65 ss
  • Gorgia su Wikipedia
  • Gorgia su Filosofico

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