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mercoledì 24 febbraio 2016

I sofisti e l'arte della retorica.


Il carattere della Sofistica nell'antica Grecia.


Tratto dal saggio Il Sapere degli Antichi Greci, disponibile in formato cartaceo e digitale al seguente indirizzo, anche in download gratuito.


A partire dalla metà del V secolo prima della presunta nascita del mito di Gesù, Atene divenne il centro culturale dell'antica Grecia.

Dopo la vittoria contro i Persiani a Salamina nel -480, seguirono 50 anni di pace che consentirono alle città di Atene e Sparta di potenziarsi e primeggiare. 

Ma con il potere politico-economico crebbero anche la reciproca ostilità e la brama di supremazia sull'intera Grecia che condussero al disastro della Guerra del Peloponneso. 

Prima che ciò avvenisse, Atene raggiunse il suo massimo splendore.

Sotto la guida di Pericle, un leader carismatico della fazione democratica, lo sviluppo delle arti e della letteratura fu favorito e venne avviato un ambizioso progetto architettonico che portò alla costruzione di molte opere sull'Acropoli, tra le quali il Partenone.

La pace e le alleanze consentirono d'intensificare le interazioni sociali e gli scambi commerciali tra le varie città. In Atene vigeva la democrazia e i cittadini partecipavano regolarmente alla vita politica. 

Pur escludendo gli schiavi e le donne, il governo d'Atene era ben più democratico delle odierne democrazie: funzionari e giudici, infatti, erano estratti a sorte e prestavano servizio solo per un breve periodo di tempo.

Le arti oratorie consentivano di ottenere successo e di difendersi nei tribunali, dove le sentenze dipendevano fortemente dalla capacità di appellarsi ai pregiudizi dei numerosi giudici che vi partecipavano. 

Le arti persuasive dell'oratoria divennero preziose ed essenziali, e chi fosse stato in grado d'insegnarle avrebbe potuto trarne un giovamento economico.

Fu questo il clima che diede origine alla Sofistica. 

Inizialmente il termine sofista indicava soltanto un uomo saggio e sapiente. Ad esempio, fu utilizzato per indicare i Sette Savi e anche Pitagora. 

Ma nel periodo della gloria d'Atene il significato mutò, ed i sofisti divennero coloro che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso.

Questa prassi appariva decisamente scandalosa alla mentalità del tempo e procurò aspre critiche ai sofisti; Socrate arrivò a definirli «prostituti della cultura». 

Ben presto nell'immaginario collettivo il sofista divenne colui che era privo di un vero sapere, interessato più ai soldi e al successo che alla verità. Anche oggi il termine mantiene dei connotati negativi. 

Con sofisma ci si riferisce ad un'argomentazione capziosa e fallace, valida solo all'apparenza, volutamente utilizzata per ingannare e convincere l'interlocutore indipendentemente dalla verità del messaggio.

I sofisti del terzo millennio sono coloro che ricorrono al sofisma per servire i propri interessi e quelli del potere: preti, politici ed esperti del marketing, solo per citare alcune categorie.

A partire dal XIX secolo, però, la corrente filosofica Sofistica è stata rivalutata, tanto da essere riconosciuta come un momento fondamentale dell'antica Grecia. 

Come avremo modo di vedere, non tutti i sofisti furono uomini senza scrupoli dediti esclusivamente al denaro, e ciò che essi riuscirono a comprendere in ambito socio-culturale ha ancora oggi un certo valore.

Quella dei sofisti non fu né una scuola vera e propria, né una corrente omogenea. 

Al contrario, i membri di questa categoria di pensatori erano in forte competizione, perché dovevano attirare l'attenzione dei clienti, e quindi tendevano ad accentuare le differenze di forma e contenuto del loro sapere.

Essi non indagarono la natura, ma posero l'attenzione sull'uomo e sulle problematiche relative alla morale e all'attività politica. Furono i primi a comprendere il valore della formazione di un individuo come membro di un ambiente sociale, e arrivarono ad elaborare il concetto di “cultura”.

Ma la cultura che essi andavano insegnando doveva essere utile nella città in cui svolgevano i loro insegnamenti.

Per questo motivo era di fondamentale importanza che il loro sapere fosse sempre ispirato ai valori locali delle rispettive comunità; in nessun modo un sofista avrebbe dovuto criticare o svolgere riflessioni personali che lo avrebbero messo in urto con i valori dominanti.

I valori mutavano di città in città e i sofisti, di volta in volta, si adattavano al contesto socio-culturale nel quale prestavano i loro insegnamenti. 

In questo modo riuscivano ad ottenere il consenso necessario per svolgere le loro attività. Ecco spiegato perché non elaborarono un sapere proprio. 

La virtù che andavano insegnando non era altro che l'insieme delle norme e delle convenzioni riconosciute valide dai cittadini di una data città, alle quali il retore si adattava per ottenere l'accettazione sociale, la fama e il successo.

Itinerando nelle varie città per esercitare la loro professione, i sofisti visitarono luoghi con tradizioni e ordinamenti politici profondamente differenti. 

Così facendo, si accorsero che ciò che era giudicato “normale” in un luogo improvvisamente diventava strano o inaccettabile in un altro. 

In altre parole, essi si resero conto della diversità e dell'eterogeneità dei valori che non potevano che assumere una valenza locale, e non universale.

Interrogandosi sul valore intrinseco delle leggi e della morale, giunsero ad una forma di relativismo. 

Essi sostenevano che il valore delle norme morali sussiste solo in relazione alle usanze della città in cui esse vengono accettate.

Si comprende come il relativismo-convenzionalista delle tesi dei sofisti non sia altro che il frutto dell'esperienza come insegnanti itineranti.

Fu anche per questi motivi che l'oggetto del loro insegnamento mosse verso discipline formali, che avrebbero potuto essere utili indipendentemente dalla cultura e dalla tesi sostenuta.

Non a caso la loro “creazione” originale fu la retorica, vale a dire l'arte di persuadere gli interlocutori indipendentemente dalla verità, dalle ragioni addotte e dalla correttezza dei ragionamenti utilizzati. 

Essi arrivarono a dichiarare l'indipendenza della retorica da ogni valore conoscitivo o morale, e l'onnipotenza di questo mezzo rispetto a ogni fine da raggiungere.

Con la retorica si poteva acquisire e mantenere il consenso, accusare e difendersi nei tribunali, amministrare la casa e la città, in altre parole eccellere nella condotta pubblica ma anche in quela privata.

Agli occhi di molti queste prospettive facevano apparire il sapere dei sofisti perfino più importante di quello trasmesso dagli artigiani. 

La richiesta di alti compensi per i loro preziosi insegnamenti fece in modo che i principali clienti dei sofisti fossero nobili e ricchi, esattamente coloro che solitamente aspiravano ad avere posizioni di rilievo nella città.

Con queste ultime precisazioni il ritratto dei sofisti potrebbe assumere delle tonalità ancora più scure di quanto non sia in realtà. 

Ma se da un lato è innegabile che alcuni di essi furono soltanto dei servi che misero al servizio dei potenti e dei furbi la loro opera, dall'altro vi erano individui ben più nobili nell'intento che rivendicavano ai sapienti e ai buoni oratori la missione di guidare e consigliare al meglio le comunità umane. 

In particolare, tra questi, vi era Protagora: il padre della Sofistica

Mirco Mariucci

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Fonti:
  • Storia della filosofia antica, di Giuseppe Cambiano.
  • Storia della filosofia, di Nicola Abbagnano.
  • Storia della Filosofia occidentale, di Bertrand Russell.
  • Sofistica su Wikipedia

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