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martedì 2 ottobre 2018

Quanti posti di lavoro saranno spazzati via dall'automazione?


Previsioni sull'entità dell'automazione del lavoro

In molti si saranno chiesti: quanti posti di lavoro verranno spazzati via dall'automazione?

Ancor prima di riportare una rassegna delle più autorevoli previsioni in merito, devo avvisare il lettore che è estremamente complesso rispondere con esattezza ad un simile quesito.

A livello ufficiale, c'è chi sostiene che la maggior parte dei mestieri sarà automatizzata nel giro di qualche decennio e chi all'opposto afferma addirittura che i robot creeranno più occupazione di quanta ne distruggeranno!

Ma siamo proprio sicuri che sia questa la domanda fondamentale da porsi in merito all'automazione del lavoro?

In uno studio della Oxford University si sostiene che circa il 47 % degli odierni lavori potrebbe essere svolto già oggi, in una certa misura, da macchine “intelligenti”.

Nell'indagine ESDE (Employment and Social Developments in Europe 2018) si prevede che, nel prossimo futuro, una percentuale compresa tra il 37 % e il 69 % dei lavori potrebbe essere parzialmente automatizzata.

Nel 2016 il World Economic Forum stimava che il numero di posti di lavoro persi dal 2015 al 2020 nei 13 dei Paesi più industrializzati del mondo (Italia inclusa) sarebbe stato prossimo ai 5,1 milioni.

Nello studio “Automation, skills use and training” dell’OCSE, si sostiene che robot e intelligenza artificiale metteranno a rischio “soltanto” il 14 % dei posti di lavoro nei Paesi membri dell'organizzazione: si tratta di 66 milioni di lavoratori che nei prossimi anni saranno licenziati, a cui però bisogna aggiungere un ulteriore 31 % di lavoratori che, a causa dell'innovazione tecnologica, andranno incontro a significativi cambiamenti nelle modalità di lavoro. 

In un rapporto realizzato dal think tank governativo formato da China Development Research Foundation (CDRF) e Sequoia Capital China, si sostiene che la rivoluzione tecnologica sottrarrà alla Cina tra i 40 e i 50 milioni di posti di lavoro a tempo pieno entro i prossimi 15 anni; un numero che potrebbe salire fino a 100 milioni, nel caso in cui la conversione alle macchine dovesse procedere a un ritmo più sostenuto rispetto a quanto ipotizzato.

Nel libro “La fine del lavoro”, l’economista Jeremy Rifkin si sbilancia, ipotizzando che, forse, entro il 2050, la tradizionale sfera industriale mondiale potrà essere gestita da non più del 5 % della popolazione adulta grazie al supporto di robot e intelligenza artificiale.

In uno studio molto articolato del McKinsey Global Institute, in cui i ricercatori hanno valutato più di 800 tipologie di occupazioni in 46 nazioni distinte, complessivamente responsabili di circa il 90 % del PIL globale, emerge che entro il 2030 un numero compreso tra 375 e 800 milioni di persone nel mondo perderà il posto di lavoro a causa di robot e automazione.

Scendendo nel dettaglio, i ricercatori del McKinsey Global Institute aggiungono che, allo stato attuale della tecnica, ogni mestiere ha un certo potenziale di automatizzazione: più precisamente, ben il 60 % di tutte le attività lavorative potrebbe essere svolto già oggi dagli automi per una quota maggiore o uguale al 30 % del carico di lavoro, un 30 % del lavoro umano ha un tasso di automatizzazione del 65 % ed una percentuale vicina al 5 % del totale dei lavori potrebbe essere completamente automatizzata.

Alcuni asseriscono che nella fase di transizione si creeranno nuovi impieghi e che per i lavoratori sarà di vitale importanza acquisire nuove competenze. Nel suddetto studio, però, si sostiene anche che entro il 2030 negli Stati Uniti si perderanno 39 milioni di posti di lavoro, ma soltanto 20 milioni di persone potrebbero essere ricollocate in nuovi settori.

Una stima analoga è presente anche nel saggio “Lavoro 2025” firmato dal sociologo Domenico De Masi, in cui si sostiene che in Italia entro il 2025 robot e software creeranno 13 milioni di nuovi posti di lavoro, ma al tempo stesso ne distruggeranno 22 milioni, con un saldo negativo di ben 9 milioni.

Nella ricerca pubblicata da Bruegel intitolata "The Impact of Industrial Robots on Eu Employment and Wages" si sostiene che nelle maggiori economie europee, introdurre un robot ogni 1.000 lavoratori significa tagliare il tasso di occupazione dell'economia nazionale di 0,2 punti percentuali.

Contestualizzando il dato nell'economia italiana, si scopre che incrementare di una unità il numero di robot ogni 1.000 lavoratori, comporta la scomparsa di 75 mila posti di lavoro, che non è affatto detto che saranno recuperati altrove.

Secondo un report redatto dal Club Ambrosetti, in Italia, nei prossimi 15 anni, a causa dell'automazione verranno meno dai 3 ai 4,3 milioni di posti di lavoro.

In uno studio della società PwC (Price Waterhouse Coopers) si prevede che nel 2035 il 38 % dei posti di lavoro oggi disponibili negli Stati Uniti potrebbe esser assegnato ai robot; la previsione è sostanzialmente analoga anche per l'Italia e la Germania, dove l'automazione minaccerà rispettivamente il 39 % ed il 35 % dei posti di lavoro.

Da un recente sondaggio emerge che il 50 % delle aziende italiane si sta dotando di sistemi tecnologici nell'ambito dei cicli produttivi, il 2 % sta incrementando il proprio livello di automazione interna, un ulteriore 10 % considera molto probabile avviare processi di automazione entro un anno e un altro 6 % si dice possibilista in merito all'automazione. 

Ciò detto, soltanto il 41 % delle aziende ha sostenuto che non intende ridurre il personale, ma che invece provvederà a riqualificarlo.

Un report pubblicato dall’Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che attualmente in Italia il 26,6 % degli addetti delle imprese (circa 4,3 milioni di lavoratori) opera in settori ad alto rischio di automazione, il 54,8 % è impiegato in settori a medio rischio di automazione, mentre il 18,6 % lavora in settori dove il rischio di automazione è basso.

In particolare, nel comparto manifatturiero la quota di addetti ad alto rischio automazione raddoppia rispetto alla media, salendo al 53,3 %, mentre se si guarda al settore dei servizi la percentuale scende al 20,3 %.


L'automazione incrementerà il lavoro?

Nonostante quanto riportato nei suddetti studi, c'è chi asserisce in modo piuttosto ottimistico che, in realtà, l'automazione creerà più lavoro per gli umani rispetto a quanto ne distruggerà, così come è sempre avvenuto in passato: chi non ricorda l'allarmismo dovuto all'avvento dei bancomat che avrebbero dovuto spazzar via gli sportellisti dalle banche e che invece si è risolto, come dimostrano i dati che vanno dal 1970 al 2012, con una crescita del numero degli impiegati nel sistema bancario?

Sfortunatamente, l'analogia tra bancomat ATM che rubano lavoro agli sportellisti e le nuove automazioni provviste d'intelligenza artificiale che distruggono posti di lavoro è alquanto inappropriata: in quel periodo, infatti, il settore bancario era in espansione, inoltre i bancomat erano in grado soltanto di erogare denaro, o poco più.

Quindi era già del tutto evidente all'epoca che l'introduzione dei bancomat non avrebbe potuto incidere drasticamente sul numero degli sportellisti, perché l'estrema specificità della mansione ricoperta da quel tipo di automazione unita all'espansione del sistema, avrebbe richiesto un numero di impiegati più elevato rispetto al quantitativo di quelli che sarebbero stati rimpiazzati dalla tecnologia.

Ma si può dire la stessa cosa oggi per i moderni sportellisti robot in grado di comprendere e comunicare quasi come un normale operatore umano, e che sono già in grado di evadere, non una sola operazione (erogare denaro), ma circa il 70-80 % delle richieste che vengono avanzate agli sportelli delle banche? Il lettore tragga da sé le dovute conclusioni.

Lo stesso genere di ragionamento (fallace) viene riproposto, mutatis mutandis, per il caso di Amazon: l’azienda di Jeff Bezos, infatti, negli ultimi 3 anni, ha aumentato da 1.400 a 15.000 il numero di robot nei propri stabilimenti.

Nello stesso periodo, però, il tasso di crescita delle assunzioni umane è rimasto sostanzialmente invariato e il numero di dipendenti del colosso americano è passato da 124.000 a 341.000 unità... ma ovviamente si omette di spiegare che anche nel caso di Amazon se i robot non hanno rubato il lavoro agli umani è perché in quegli anni l'azienda ha incrementato notevolmente i volumi di vendita, raddoppiando il suo fatturato!

In altri termini, gli incrementi di produttività dovuti all'automazione non hanno retto il passo con la crescita dell'attività economico-produttiva di Amazon. 

Ma le vicende di una singola azienda non sono un esempio rappresentativo dell'intera economia globale. Inoltre, ci si dovrebbe porre il seguente quesito: l'elevata efficienza di Amazon, dovuta ad un incremento di automazione e al celebre livello di sfruttamento dei suoi dipendenti, quanto lavoro sottrae al resto del mondo? Quante altre aziende ha fatto chiudere Amazon a causa della sua modalità operativa?

È chiaro che a livello locale ci possano essere casi di aziende che assumono lavoratori pur automatizzando, ma come conseguenza dell'automatizzazione di quel quantitativo di lavoro, a livello globale, corrisponderà un certo decremento del numero di ore umane lavorate a parità di produzione.

Se Amazon avesse mantenuto costante il suo volume di vendite, ed avesse introdotto un certo livello di automazione, il numero degli impiegati sarebbe aumentato o sarebbe diminuito? Ovviamente sarebbe diminuito, a causa della maggiore efficienza apportata dalle automazioni. 

C'è un ulteriore argomento, più tecnico dei precedenti, a supporto del verificarsi della cosiddetta disoccupazione tecnologica.

Eric Brynjolfsson, professore alla MIT Sloan School of Management, e il suo collaboratore Andrew McAfee, hanno riportato nel medesimo grafico sia l’andamento della produttività che dell'occupazione degli USA per il periodo che va dal 1947 al 2003.

Non serve un esperto per rendersi conto a colpo d'occhio che, a partire dal dopoguerra, produttività e occupazione sono cresciute di pari passo. Ma nell’anno 2000, però, accade qualcosa di strano: mentre la produttività continua la sua crescita, l'occupazione si stabilizza ed accenna a diminuire.

I due esperti hanno evidenziato questo fenomeno chiamandolo “grande disaccoppiamento”. Essi riconducono la sua causa proprio al rapido cambiamento tecnologico che, per la prima volta, avrebbe distrutto lavoro più velocemente di quanto ne abbia creato.

In passato ciò non accadeva, perché i disoccupati tecnologici migravano in altri settori del tessuto economico, che via via si andavano sviluppando.

Prima delle rivoluzioni industriali, più del 90% della popolazione americana si occupava di agricoltura.

Nel 1900, il 41% degli americani lavorava nel settore agricolo; nel 2000, la quota si era ridotta a non più del 2%.

Analogamente, alla fine della seconda guerra mondiale, la percentuale di americani occupati nei settori industriali si attestava al 30%, per poi scendere fino a raggiungere l'attuale 10%.

Al tempo stesso, la produttività aumentava e con essa l'economia si espandeva. Se ciò è avvenuto, è perché le macchine sono state introdotte progressivamente, prima nel settore agricolo e poi in quello industriale.

Ora l'umanità sta vivendo il periodo in cui un livello di automazione assai più spinto rispetto al passato sta interessando non solo la produzione di beni materiali nel settore primario e secondario, ma anche il settore dei servizi: il problema è che chi viene sostituito in quest'ultimo settore non sa più dove "rifugiarsi".

A mio avviso, chi sostiene che i robot non ruberanno il lavoro agli esseri umani non tiene in considerazione alcuni fattori determinanti che caratterizzano l'attuale fase storica, rendendola del tutto peculiare rispetto al passato.

Si pensi soltanto all'avvento di software dotati d'intelligenza artificiale, che, una volta sviluppati e perfezionati, possono essere replicati con un semplice “copia e incolla”; o al fatto che il sistema economico ha oltrepassato di gran lunga i limiti fisici in grado di assicurare la complessiva sostenibilità ecologica.

Il fatto di poter copiare software in modo istantaneo, darà luogo a rapide ondate di disoccupazione settoriale, che si verificheranno non appena un certo automatismo digitale sarà stato perfezionato ed il suo utilizzo assicurerà un maggior profitto rispetto all'impiego di lavoratori umani.

Ad esempio, non appena verrà sviluppata una segretaria virtuale sufficientemente “intelligente” da svolgere quasi tutte le mansioni di una segretaria umana, ed il suo costo sarà sensibilmente inferiore agli stipendi degli addetti alle segreterie, le aziende provvederanno a rimpiazzare la maggior parte degli impiegati umani con la nuova automazione, e così quel mestiere si avvierà rapidamente all'estinzione.

D'altro canto, il superamento dei limiti fisici ambientali implica l'impossibilità di sfruttare l'incremento di produttività dovuto alle nuove automazioni per far crescere ancor più il sistema economico, e con esso i consumi, così tanto da super-compensare la distruzione dei posti di lavoro provocata dall'automatizzazione del lavoro, perché se ciò avvenisse l'ecosistema sarebbe portato definitivamente al collasso e con esso crollerebbe l'intera società.

Analogamente a quanto accaduto negli Stati Uniti in passato, anche nelle altre nazioni l'introduzione delle macchine ha progressivamente fatto migrare i lavoratori dal settore primario al secondario, e successivamente dal secondario al terziario, ma oggi non c'è un “quarto settore” da sfruttare per re-impiegare la crescente massa di disoccupati tecnologici, a meno che non si decida d'inventare un nuovo settore cominciando a retribuire tutte quelle attività che non vengono considerate “lavoro”, come ad esempio il volontariato, il prendersi cura della propria abitazione e degli spazi pubblici, e la gran parte delle attività artistico-creative-culturali che arricchiscono l'esistenza degli esseri umani. 

Inoltre, in quel periodo storico, crescita e consumi vennero alimentati artificiosamente per mantenere in essere una dinamica basata su di una continua espansione economica, che però, non di rado, ha richiesto l'utilizzo di appositi meccanismi per sovra-consumare (si pensi agli incentivi per rottamare le auto, alla pubblicità, alla moda o all'obsolescenza programmata) così da rendere possibile la continuazione del vortice consumistico, invece di rimetterlo in discussione ripensando il modello economico.

Si può anche solo immaginare di riproporre la stessa cosa oggi, visti gli odierni livelli di iper-consumo, sovra-sfruttamento delle risorse e inquinamento ambientale? Sarebbe pura follia.

Di certo, non si potrebbe farlo nei Paesi più “avanzati”, perché dopo aver già accelerato i ritmi di consumo fino a riempire quasi tutte le abitazioni di oggetti futili, avvelenando aria, acqua e suolo, non c'è altro da fare per alimentare la corsa al consumismo, a meno di voler attuare un'altra follia ancora più grande, ovvero quella di distruggere tutto (magari con una guerra) e ricominciare da capo a produrre e riprodurre, per sostenere la medesima tipologia di economia.

Si può però pensare di realizzare beni e servizi per i Paesi in via di sviluppo, i quali hanno un'effettiva necessità di espandere le loro economie, cercando così di replicare anche in quei luoghi la modalità estrattiva, distruttiva e predatoria tipica dell'Occidente: ma se così fosse, ecco che interverrebbero i limiti fisici ed ambientali globali, se non a bloccare, di certo, ad ostacolare il processo.

Si giunge così ad un vicolo cieco, che non può essere oltrepassato continuando a ragionare con i vecchi schemi mentali.

Le contraddizioni dell'odierno sistema socio-economico, e delle sue logiche scellerate e irrazionali, stanno diventando così eclatanti che, prima o poi, chiunque se ne renderà conto, se non ad un livello mentale, di certo ad un livello fisico, pagandone a caro prezzo le conseguenze sulla propria pelle (in parte ciò sta già avvenendo: si pensi ai tumori).

Se si prendessero in considerazione le limitazioni fisiche dovute alla finitezza della Terra, e il livello di consumo si stabilizzasse, gli incrementi di efficienza e la crescente autonomia dei robot, si tradurrebbero, a maggior ragione, in un minor numero di lavoratori umani da impiegare per ottenere il medesimo quantitativo di cose, tanto che in un futuro, forse non troppo lontano, si potrebbe addirittura arrivare ad una situazione paradossale in cui i lavoratori di una sola nazione altamente automatizzata potrebbero essere in grado di realizzare beni e servizi per tutti gli abitanti della Terra.

Già da queste brevi riflessioni, risulta del tutto evidente che l'umanità si trovi di fronte a nuove condizioni rispetto al passato, che richiedono soluzioni innovative: c'è bisogno di un nuovo paradigma economico, completamente rinnovato nelle sue dinamiche e nei suoi fini.

Volendo restare all'interno dell'odierno paradigma, si può parlare di diminuire l'orario di lavoro, o di istituire un reddito di esistenza universale, ma onestamente non ritengo che simili misure, per quanto necessarie nell'immediato, siano davvero risolutive nel medio-lungo termine.

Tali provvedimenti, infatti, consentirebbero senz'altro di risolvere il problema della povertà e della disoccupazione tecnologica, ma alimenterebbero il consumismo, accelerando il declino ambientale già in stato oltremodo avanzato; tutto ciò, non significherebbe affatto "risolvere il problema della disoccupazione tecnologica", significherebbe invece condannare all'estinzione l'intera umanità: servono idee nuove.

Ciò che io propongo nei miei scritti, è qualcosa di ancor più radicale e innovativo, rispetto all'istituzione di un reddito incondizionato: si tratta di una soluzione concepita per risolvere non solo la questione della disoccupazione tecnologica, ma anche gli altri problemi dell'odierna società.

Servono soluzioni che tengano in considerazione tutti i fattori, non solo un singolo aspetto della realtà sociale, altrimenti si rischia di produrre problemi più grandi di quelli che si tenta di risolvere.


Qual è il fine dell'automazione del lavoro?

Lasciando da parte, per un istante, le previsioni riguardanti la disoccupazione tecnologica, il fatto che le automazioni possano essere impiegate con intelligenza per diminuire la necessità di lavoro umano è un qualcosa di ovvio e scontato.

Ad esempio, se per produrre 100 paia di scarpe al giorno con metodi tradizionali servono 100 operai, mentre per realizzare e far funzionare un robot che produce il medesimo numero di scarpe c’è bisogno di 8 tecnici e 2 operai, a causa del processo di automazione 90 persone perderebbero il posto di lavoro, perché il loro contributo non sarebbe più necessario.

Si viene così a definire in modo naturale un “tasso di sostituzione”, che sancisce quanti operai umani possono essere rimpiazzati dalle automazioni a parità di produzione ottenibile.

La questione fondamentale, quindi, sui cui vale davvero la pena di riflettere, è che, da un punto di vista teorico, automatizzando i processi produttivi l'umanità potrebbe disporre del medesimo numero di beni, lavorando di meno.

In altri termini, le automazioni sono potenzialmente in grado di liberare l'umanità dalla costrizione al lavoro, pur consentendo di disporre di beni e servizi in quantità non inferiore rispetto a quando si doveva necessariamente lavorare per realizzare le medesime cose.

Ora, che un simile scenario possa essere “un male” per la comunità, perché così facendo “si crea disoccupazione”, è soltanto l'ennesimo sintomo dell'eclatante idiozia dell'odierna organizzazione socio-economica, nonché ulteriore prova del fatto che l'economia debba essere ripensata fin dalle sue dinamiche più basilari .

Non servono più di 3 secondi per rendersi conto che quello della disoccupazione tecnologica è un falso problema facilmente risolvibile, già con una semplice manovra redistributiva e ancor meglio rendendo pubblico ciò che è privato (mezzi di produzione), così che una volta per tutte i profitti legati all'automazione non finiscano più nelle tasche di qualche avido parassita, ma siano impiegati per migliorare le condizioni di vita di tutta l'umanità.

Pertanto, si deve convenire sul fatto che la vera questione da risolvere non sia “quanti” posti di lavoro l'automazione spazzerà via, ma “come” l'umanità sceglierà d'impiegare le potenzialità dell'automazione, e soprattutto “quale fine” intenderà perseguire.

I robot possono essere utilizzati stupidamente per aumentare ulteriormente un consumo già divenuto superfluo a vantaggio del profitto dei detentori di capitale, continuando a inquinare e distruggere l'ambiente, oppure possono essere impiegati in modo intelligente per liberare l'umanità dalla costrizione al lavoro, abbandonando al contempo anche il consumismo e redistribuendo la ricchezza prodotta con equità.

Se si verificherà il primo o il secondo scenario, o un altro ancora, non dipende di certo dall'automazione in sé, ma da quali fini saranno scientemente perseguiti, e con quali modalità s'inseguiranno tali fini, vale a dire che tipo di scelte saranno compiute alla luce delle accresciute potenzialità tecnologiche acquisite dal genere umano.

Ma ciò non riguarda l'automazione, riguarda gli esseri umani.

Se nella vostra mente avete accolto l'idea concepita e propagandata dalla classe dominante di un'umanità oppressa da un lavoro inutile e totalizzante, allora avrete dei grossi problemi, perché per far sopravvivere il sistema economico mantenendo i livelli occupazionali dovrete escogitare dei modi tanto ingegnosi quanto dannosi per creare sempre più lavoro, così che tutti possano continuare a lavorare, sprecando la propria unica esistenza per essere degli schiavi.

Se non avete più idee su come fare, vi consiglio di prendere spunto dal capolavoro cinematografico della registra francese Coline Serreau, intitolato “Il pianeta verde” (La Belle Verte, 1996).

In una scena di quel film, si vede una coppia di politici intervistati in diretta TV, i quali, risvegliati dai poteri psichici dei visitatori della Terra, cominciano a dire la verità, ovvero che per “risolvere” il “problema” della disoccupazione, lasciando il sistema socio-economico esattamente così com'è (perché ai potenti va perfettamente bene che resti così), propongono d'istituire un nuovo mestiere: i mangiatori di merda.

Pensateci - sostengono - è un'idea geniale: possono farlo tutti, la materia prima non costa nulla e si avrebbero delle ottime statistiche, perché si potrebbero assumere in massa tutti i disoccupati senza nessuna qualifica! 

Ecco: ora sapete come fare per eliminare la disoccupazione per l'eternità.

Se invece condividete la mia visione di un'umanità liberata dalle costrizioni dovute al mondo del lavoro, così che finalmente chiunque possa effettivamente dedicarsi ad attività più alte, nobili e utili, rispetto allo sprecar la vita per cose che non servono all'umanità e/o che potrebbero essere svolte da dei robot, cominciando a vivere in reali e non più illusorie condizioni di libertà, allora l'avvento delle automazioni rappresenterà una delle più grandi opportunità della Storia.

Tutto dipenderà da come la tecnologia verrà utilizzata: molte vie sono percorribili, anche se ad oggi è oltremodo chiaro che l'umanità stia viaggiando sul sentiero errato. E non vedo come potrebbe essere altrimenti, visto l'attuale livello di (in)coscienza.

Cominciamo quindi col liberare le menti dall'idea di dover continuare a creare sempre più lavoro, e tutto ciò pur di mantenere le persone occupate, nonostante non ce ne sia affatto bisogno per assicurare il benessere della collettività. 

In tutta sincerità, io ritengo che questa sorta di “religione del lavoro” rappresenti la vetta dell'imbecillità: grazie alla tecnologia, l'umanità ha finalmente la possibilità di liberarsi dalla condanna sociale del lavoro, pur riuscendo a produrre il necessario per vivere in modo più che dignitoso.

Soltanto un pazzo non coglierebbe questa occasione e al contrario preferirebbe escogitare delle strategie per fare in modo che gli esseri umani continuino a lavorare a tempo pieno!

Non si dovrebbe continuare a mantenere occupata l'umanità con un lavoro artificioso perché “altrimenti l'economia fallisce”, si dovrebbe cambiare il sistema economico per liberare l'umanità dall'obbligo del lavoro.

Che fallisca pure quest'economia malsana, così che se ne possa adottare un'altra, basata su assunti e logiche migliori rispetto a quelle attuali.

Ora, però, bisogna prestare attenzione ad un ultimo punto fondamentale.

Liberare l'umanità dalle catene psico-fisiche del lavoro è di certo un grandioso obiettivo, ma non bisogna farsi prendere da facili entusiasmi: introdurre tecnologia non è un'operazione indolore, in particolar modo per l'ambiente.

La stessa tesi sussiste anche per le automazioni, anche se, per quanto riguarda i software, l'impatto risulta assai più modesto, se comparato a quello dei robot.

Si deve quindi prendere in seria considerazione un ulteriore aspetto cruciale, vale a dire se una massiccia automatizzazione del mondo del lavoro sia sostenibile (e auspicabile) a livello ambientale: è oltremodo ingenuo pensare che si possano automatizzare tutti i settori, continuando a produrre e consumare con le attuali modalità.

Se così fosse, non si farebbe altro che degradare ulteriormente l'ambiente, esaurendo una gran quantità di risorse non rinnovabili ed aggiungendo inquinamento ad inquinamento, con maggiore rapidità.

Pensate che sonno della mente deve colpire tutti quei sedicenti “geni” che sprecano la loro esistenza per automatizzare lavori inutili e dannosi, aggiungendo danni a danni, quando invece l'unica cosa saggia da fare sarebbe di smetterla di dedicare energie a quelle attività.

Pertanto, ancor prima di automatizzare, è di fondamentale importanza - e lo ripeto perché si tratta di un punto cruciale - è di fondamentale importanza ridurre al minimo il lavoro eliminando tutte le attività nocive, insieme alla sovra-produzione e al sovra-consumo caratteristici dell'odierna società capitalistica.

Solo a quel punto, si potrà procedere ad analizzare in modo puntuale cosa, come, quando e perché automatizzare, sulla base di criteri razionali volti alla massimizzazione del benessere collettivo, e non perché l'automazione consente di risparmiare sui costi di produzione e/o di ottenere un maggior profitto.

Ad esempio, è più che ragionevole automatizzare quei lavori necessari che risultano noiosi e logoranti, ma sarebbe una follia delegare ai robot quelle mansioni desiderabili in cui i rapporti umani sono fondamentali.

Perché mai si dovrebbe automatizzare quel lavoro la cui pratica provoca piacere e gratificazione agli esseri umani, e che quindi, nella giusta ottica, potrebbe esser svolto, non perché gli individui sono costretti a lavorare, come accade oggi, ma perché, pur disponendo già di beni e servizi a sufficienza per vivere anche senza lavorare, essi decidono in piena e reale libertà di dedicarsi comunque a un certo genere di attività lavorativa?

Conclusioni

Possiamo quindi sostenere che il futuro della società alla luce dell'automatizzazione dei processi produttivi oscilli in una gamma di possibilità contenute entro un minimo ed un massimo, creando i presupposti per una catastrofe sociale (che si potrebbe verificare nel peggiore dei casi) o per un grandioso punto di svolta in direzione del benessere e della libertà (che potrebbe presentarsi nella migliore delle situazioni).

Di certo, se si continuerà a inseguire egoisticamente il profitto, l'avvento dell'automazione sarà la più grande tragedia dell'umanità; se invece si comincerà ad usare l'intelligenza, guardando al bene comune, essa darà luogo alla rinascita dell'umanità.

Mirco Mariucci



Fonti

  1. I robot ruberanno il lavoro a 800 milioni di persone. Tom's hardware, Manolo De Agostini, 30 novembre 2017. 
  2. Ecco quanti posti di lavoro rubano i robot. Repubblica, Maurizio Ricci, 21 aprile 2018. 
  3. Robot, ricerca stima in 375 milioni i posti di lavoro a rischio. Sky Tg 24, 29 novembre 2017. 
  4. I robot 'ruberanno' tre milioni di posti in Italia. Ma il lavoro ha un futuro. AGI, 2 settembre 2017. 
  5. L'anno dei robot: nel 2035 4 posti di lavoro su 10 saranno a rischio in Italia. Europa Today, 21 febbraio 2018. 
  6. “Attenti ai robot: in Italia a rischio 3 milioni di posti”. La Stampa, Alessandro Barbera, 2 settembre 2017. 
  7. Industria 4.0, tre milioni di posti a rischio: Italia in ritardo nella rivoluzione tecnologica. Il Fatto Quotidiano, Mario Portanova, 3 novembre 2017.
  8. I robot sono tra noi. «Il 65 per cento dei nostri figli farà un lavoro che ancora non esiste». Linkiesta, Marco Sarti, 29 Aprile 2017.  
  9. Disoccupazione tecnologica: il punto di vista dell`economista Jeffrey Sachs. Rai Economia.
  10. Disoccupazione tecnologica: che cos’è? Ecco il risultato del progresso. Money, Valentina Pennacchio, 11 Agosto 2014. 
  11. La disoccupazione tecnologica curata con la propaganda. Contropiano, Francesco Piccioni, 10 gennaio 2018. 
  12. Disoccupati ai tempi dei robot, quali politiche per evitare il disastro. Agenda Digitale, Marco Vivarelli, 26 luglio 2017. 
  13. Disoccupazione tecnologica: nell’UE a rischio ‘automazione parziale’ tra 40 e 70% dei lavori. Key4biz, Flavio Fabbri, 18 luglio 2018. 
  14. Disoccupazione tecnologica: vera minaccia? Wallstreet Italia, Angelantonio Viscione, 25 luglio 2018. 
  15. Qual è il vero rischio dell’automazione del lavoro? Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2017. 
  16. I robot ci ruberanno davvero il lavoro? Focus, Rebecca Mantovani, 4 aprile 2017. 
  17. I robot ci ruberanno il lavoro molto in fretta. Ma se saremo furbi non andrà male. Anzi. Il Sole 24 Ore, Luca Foresti, 11 novembre 2017. 
  18. I robot ci ruberanno il lavoro? Lo sapremo presto. Robotiko. 
  19. Le intelligenze artificiali ridurranno i posti di lavoro? Il Post, 6 aprile 2017. 
  20. STUDI – Digitalizzazione e robot: 26,6% occupazione imprese italiane in settori ad alto rischio di automazione. In 7 regioni rischio elevato ma con valido “sistema immunitario”. Confartigianato, 24 luglio 2018. 
  21. Mckinsey Global Institute - Automazione: come cambia il lavoro? quale impatto su crescita e produttività? Assolombardia. 
  22. Lavoro del futuro: quali lavori non saranno presi da macchine e robot. Termometro Politico, Daniele Sforza, 30 giugno 2017.
  23. McKinsey: le macchine sostituiranno l’uomo nel 49% dei lavori. Il Sole 24 Ore, Franco Sarcina, 14 gennaio 2017.  
  24. Cina, report governativo: “La rivoluzione tecnologica costerà tra i 40 e i 50 milioni di posti di lavoro in 15 anni”. Il Fatto Quotidiano, Alessandra Colarizi, 2 settembre 2018. 
  25. La «fine del Lavoro» secondo Rifkin e il terzo settore con il Corpo europeo di solidarietà. Agromagazine, 26 febbraio 2017. 
  26. Il lavoro nell’era dei robot e dell’intelligenza artificiale. Affari Italiani, Maurizio Garbati, 31 maggio 2017.
  27. «Lavoro 2025», il M5S prova ad allungare lo sguardo. Il Sole 24 Ore, Manuela Perrone, 17 gennaio 2017. 
  28. Ciprini (M5s) presenta 'Lavoro 2025', curati insieme al famoso sociologo De Masi. Umbria Left, Antonio Venditti, 29 settembre 2017. 
  29. Quasi 1 miliardo di posti di lavoro a rischio per colpa dell'automazione. Hardware Upgrade, Nino Grasso, 1 dicembre 2017. 
  30. Allarme a Washington: così la tecnologia ruberà posti di lavoro e stipendi. Repubblica, Roberto Petrini, 13 ottobre 2017. 
  31. Ocse: 66 milioni di posti di lavoro ad alto rischio di automazione. Aska News, 3 aprile 2018. 
  32. Robot e intelligenza artificiale minacciano 66 milioni di posti di lavoro. Panorama, Stefania Medetti, 12 aprile 2018.
  33. La tecnologia vincerà e l’uomo troverà nuovi lavori. Linkiesta, David Rotman, 12 Settembre 2013. 
  34. Il grande disaccoppiamento. Il Filugello, 12 settembre 2013. 
  35. Internet sta uccidendo la classe media? Repubblica, Riccardo Stanagliò, 14 maggio 2015. 
  36. Qualcuno spieghi ai politici italiani che ora le aziende licenziano anche se gli utili vanno a gonfie vele. Tiscali News, Michael Pontrelli, 9 novembre 2017.
  37. Salari e produttività: il grande (doppio) paradosso della new economy. Morning Future, 6 ottobre 2017.
  38. "Mangiatori di Merda", dal film "Il pianeta verde" (La Belle Verte) del 1996 diretto da Coline Serreau. 

1 commento:

  1. Sarebbe interessante un'approfondimento del tema "Maximum wage cap" o Tetto Salariale. In passato è già stato proposto, applicato e ha avuto grandi risultati. Grazie!

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