Lavorare meno lavorare tutti mantenendo il reddito invariato.
- Per risolvere la disoccupazione in Italia (12.6%) è sufficiente lavorare 1h al giorno in meno, integrando i redditi dei lavoratori ed assumendo 500 mila dipendenti pubblici, con una manovra economica da 70 miliardi di euro.
Secondo le statistiche ISTAT, in Italia ci sono 22 milioni e 360 mila occupati, mentre il tasso di disoccupazione ufficiale si attesta al 12,6%, che equivale a 3 milioni e 220 mila persone.
Purtroppo il dato è aumentato sensibilmente negli ultimi anni a causa della crisi e delle scellerate politiche economiche di rigore imposte dall'Europa.
Le misure adottate dal governo italiano anziché risolvere il problema, lo stanno ulteriormente aggravando.
La tipica ricetta proposta da economisti e politici ortodossi per cercare di ridurre l'incidenza dei disoccupati, è da sempre quella di spingere sulla crescita economica.
Aumentare il PIL infatti, significa incrementare produzione e consumo di beni e servizi, che portano a nuova forza lavoro da impiegare.
Ultimamente però, va di moda affermare che per riottenere il diritto alla sopravvivenza mediante la costrizione al lavoro subordinato, sia necessario ridurre i diritti dei lavoratori.
Si parla sempre più spesso di abolizione di articoli che permettono il reintegro per licenziamento per giusta causa (art 18), o di contratti a tutele crescenti.
Come se i diritti debbano essere “conquistanti”, anziché spettare ai lavoratori esclusivamente in quanto esseri umani.
Non si capisce poi, come possa una misura che evita il reintegro per giusta causa, impedire ad un imprenditore di assumere:
se avesse realmente necessità di aumentare i dipendenti, perché dovrebbe temere il reintegro di un lavoratore licenziato per giusta causa?
Purtroppo il dato è aumentato sensibilmente negli ultimi anni a causa della crisi e delle scellerate politiche economiche di rigore imposte dall'Europa.
Le misure adottate dal governo italiano anziché risolvere il problema, lo stanno ulteriormente aggravando.
La tipica ricetta proposta da economisti e politici ortodossi per cercare di ridurre l'incidenza dei disoccupati, è da sempre quella di spingere sulla crescita economica.
Aumentare il PIL infatti, significa incrementare produzione e consumo di beni e servizi, che portano a nuova forza lavoro da impiegare.
Ultimamente però, va di moda affermare che per riottenere il diritto alla sopravvivenza mediante la costrizione al lavoro subordinato, sia necessario ridurre i diritti dei lavoratori.
Si parla sempre più spesso di abolizione di articoli che permettono il reintegro per licenziamento per giusta causa (art 18), o di contratti a tutele crescenti.
Come se i diritti debbano essere “conquistanti”, anziché spettare ai lavoratori esclusivamente in quanto esseri umani.
Non si capisce poi, come possa una misura che evita il reintegro per giusta causa, impedire ad un imprenditore di assumere:
se avesse realmente necessità di aumentare i dipendenti, perché dovrebbe temere il reintegro di un lavoratore licenziato per giusta causa?
E' chiaro che ridurre diritti e rendere i licenziamenti facili, è il frutto dell'esigenza del capitale sempre a caccia di schiavi docili e flessibili da impiegare come oggetti al fine di realizzare profitto.
I minor diritti sarebbero usati come ulteriore arma per rendere ancora più palese il ricatto che il capitale da sempre attua nei confronti dei lavoratori, spingendo verso un ulteriore abbassamento delle retribuzioni e delle condizioni di sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Per ricreare l'humus economico necessario per far sì che gli imprenditori assumano, sarebbe preferibile agire sulla domanda di beni e servizi anziché sui diritti, anche perché appare abbastanza evidente che senza domanda l'aumento del PIL non sarebbe neanche giustificato, a meno che non venga supportato dall'estero.
Eppure anche questa logica non può estendersi a tutti gli stati, sempre che non si voglia iniziare ad esportare su Marte.
D'altro canto agire dal lato dell'offerta per rilanciare l'economia è un po' come spingere la corda anziché tirarla, sperando che non si pieghi ma che resti rigida, riuscendo così a spostare il carico ad essa legato.
I minor diritti sarebbero usati come ulteriore arma per rendere ancora più palese il ricatto che il capitale da sempre attua nei confronti dei lavoratori, spingendo verso un ulteriore abbassamento delle retribuzioni e delle condizioni di sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Per ricreare l'humus economico necessario per far sì che gli imprenditori assumano, sarebbe preferibile agire sulla domanda di beni e servizi anziché sui diritti, anche perché appare abbastanza evidente che senza domanda l'aumento del PIL non sarebbe neanche giustificato, a meno che non venga supportato dall'estero.
Eppure anche questa logica non può estendersi a tutti gli stati, sempre che non si voglia iniziare ad esportare su Marte.
D'altro canto agire dal lato dell'offerta per rilanciare l'economia è un po' come spingere la corda anziché tirarla, sperando che non si pieghi ma che resti rigida, riuscendo così a spostare il carico ad essa legato.
Pur ammettendo che politici ed economisti riescano nell'impresa di rilanciare l'economia, l'incremento del PIL comporterebbe un consequenziale aumento dell'inquinamento, aggiungendo problemi su problemi alla sostenibilità ambientale della nostra società, già fortemente in discussione, che sarebbe bene evitare.
Aumentando la richiesta di lavoratori spingendo sulla produzione di beni e servizi, i nuovi occupati sarebbero costretti ancora una volta a subordinarsi con contratti di lavoro di 8 ore al dì, che a causa dell'eccessiva costrizione all'attività lavorativa, da sempre inducono problemi psico-fisici, perché il lavoro quando diventa totalizzante, impedisce di vivere la vita, annullando l'essere umano e producendo quella precisa sensazione di smarrire il senso della propria esistenza.
Aumentando la richiesta di lavoratori spingendo sulla produzione di beni e servizi, i nuovi occupati sarebbero costretti ancora una volta a subordinarsi con contratti di lavoro di 8 ore al dì, che a causa dell'eccessiva costrizione all'attività lavorativa, da sempre inducono problemi psico-fisici, perché il lavoro quando diventa totalizzante, impedisce di vivere la vita, annullando l'essere umano e producendo quella precisa sensazione di smarrire il senso della propria esistenza.
Allora è bene chiedersi: l'incremento della produzione di beni e servizi, e quindi del PIL, è veramente necessario per risolvere il problema della disoccupazione?
Gli esseri umani hanno bisogno di vedersi negare i propri diritti pur di lavorare? Oppure si tratta del riflesso delle esigenze di profitto del capitale?
Gli esseri umani hanno bisogno di vedersi negare i propri diritti pur di lavorare? Oppure si tratta del riflesso delle esigenze di profitto del capitale?
Dal punto di vista degli esseri umani, lavorare di meno e nel pieno rispetto dei loro diritti rappresenterebbe un'importante conquista, così come evitare di aumentare ancor più l'inquinamento ambientale.
Se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che abbiamo già beni e servizi in abbondanza per soddisfare le nostre necessità, anzi in molti casi stiamo addirittura iper-consumando, usufruendo di prodotti usa e getta o che sono appositamente costruiti per rompersi allo scadere della garanzia, che invece potrebbero essere realizzati per essere ricaricati o per durare molto più a lungo fornendo il medesimo servizio, ma impattando in minor misura su ambiente e orari di lavoro.
Per una volta quindi cerchiamo di svincolarci dalle attuali gabbie di pensiero, e sforziamoci di trovare una soluzione alternativa.
Se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che abbiamo già beni e servizi in abbondanza per soddisfare le nostre necessità, anzi in molti casi stiamo addirittura iper-consumando, usufruendo di prodotti usa e getta o che sono appositamente costruiti per rompersi allo scadere della garanzia, che invece potrebbero essere realizzati per essere ricaricati o per durare molto più a lungo fornendo il medesimo servizio, ma impattando in minor misura su ambiente e orari di lavoro.
Per una volta quindi cerchiamo di svincolarci dalle attuali gabbie di pensiero, e sforziamoci di trovare una soluzione alternativa.
Per far sì che quei 3 milioni e 220 mila di persone disoccupate tornino a lavorare, si potrebbe pensare di diminuire l'orario lavorativo medio nazionale in modo tale da riassorbire i disoccupati.
In Italia i lavoratori passano al lavoro una media di 1.643 ore all'anno, vale a dire 205 giorni fatti di 8 ore lavorative.
Se si ripartisse questo orario sulla totalità delle persone che effettivamente potrebbero lavorare, si otterrebbero 22,360*1643/25580 = 1436 ore annue pro-capite lavorative medie, ovvero 205 giorni di lavoro a 7 ore al dì lavorativo.
Quindi diminuendo per legge l'orario medio di lavoro di 1 ora, il problema della disoccupazione sarebbe risolto per le leggi della domanda e dell'offerta.
Le aziende pubbliche e private avrebbero un ammanco di ore lavorate che dovrebbero compensare assumendo nuovi dipendenti. I lavoratori autonomi lavorando di meno, lascerebbero spazio per l'attività lavorativa ad altre persone.
In Italia i lavoratori passano al lavoro una media di 1.643 ore all'anno, vale a dire 205 giorni fatti di 8 ore lavorative.
Se si ripartisse questo orario sulla totalità delle persone che effettivamente potrebbero lavorare, si otterrebbero 22,360*1643/25580 = 1436 ore annue pro-capite lavorative medie, ovvero 205 giorni di lavoro a 7 ore al dì lavorativo.
Quindi diminuendo per legge l'orario medio di lavoro di 1 ora, il problema della disoccupazione sarebbe risolto per le leggi della domanda e dell'offerta.
Le aziende pubbliche e private avrebbero un ammanco di ore lavorate che dovrebbero compensare assumendo nuovi dipendenti. I lavoratori autonomi lavorando di meno, lascerebbero spazio per l'attività lavorativa ad altre persone.
Lavorando 1 ora al giorno in meno si avrebbe a ragione anche una riduzione dello stipendio pari ad 1/8.
Dato che la retribuzione media netta italiana è pari a 1330 € si avrebbe un minor reddito mensile di circa 166 €.
Per far in modo che lo stipendio non venga diminuito a causa del nuovo orario, è necessario che lo stato si faccia carico del reintegro della quota di riduzione dello stipendio.
Moltiplicando i 166 € per il numero dei lavoratori si ottiene 4,25 miliardi al mese, che sono circa 51 miliardi all'anno.
Dal momento che il numero dei dipendenti pubblici è pari a 3 milioni e 375 mila, riducendo l'orario medio di 1/8 si verrebbe a creare un ammanco di ore lavorate nel settore pubblico pari a 3,375*(1643-1436) ore, che diviso per il nuovo orario restituisce 486 mila lavoratori.
Per tornare al precedente livello di ore lavorate nel servizio pubblico, lo stato dovrebbe assumere 486 mila lavoratori.
Il costo aggiuntivo oltre a quello menzionato può essere stimato in modo approssimato in 28 € * 205 giorni * 7 ore * 486 milioni = 19,5 miliardi.
Nel complesso una manovra da 70 miliardi di euro circa potrebbe garantire la piena occupazione agli italiani.
Dato che la retribuzione media netta italiana è pari a 1330 € si avrebbe un minor reddito mensile di circa 166 €.
Per far in modo che lo stipendio non venga diminuito a causa del nuovo orario, è necessario che lo stato si faccia carico del reintegro della quota di riduzione dello stipendio.
Moltiplicando i 166 € per il numero dei lavoratori si ottiene 4,25 miliardi al mese, che sono circa 51 miliardi all'anno.
Dal momento che il numero dei dipendenti pubblici è pari a 3 milioni e 375 mila, riducendo l'orario medio di 1/8 si verrebbe a creare un ammanco di ore lavorate nel settore pubblico pari a 3,375*(1643-1436) ore, che diviso per il nuovo orario restituisce 486 mila lavoratori.
Per tornare al precedente livello di ore lavorate nel servizio pubblico, lo stato dovrebbe assumere 486 mila lavoratori.
Il costo aggiuntivo oltre a quello menzionato può essere stimato in modo approssimato in 28 € * 205 giorni * 7 ore * 486 milioni = 19,5 miliardi.
Nel complesso una manovra da 70 miliardi di euro circa potrebbe garantire la piena occupazione agli italiani.
70 miliardi sembrerebbe una cifra enorme, se non fosse che il PIL pro-capite annuo italiano, nonostante crisi e disastri economici vari, ammonti ancora a circa 23.300 euro.
Comprendiamo quindi che la ricchezza italiana è sufficiente per assicurare un diffuso benessere a tutti, anche senza aumentare ulteriormente il PIL.
Il problema è semplicemente che la ricchezza prodotta in un anno è mal distribuita (link per approfondire).
Senza far nulla di sconvolgente, senza ledere diritti o aumentare il PIL, si potrebbe garantire la copertura della manovra semplicemente redistribuendo la ricchezza, trasferendola da chi ne ha in eccesso rispetto alla media, a di chi ne ha in difetto.
A tal fine basterebbe attuare una scelta politica, aumentando la quota salari e diminuendo la quota dei redditi da capitale.
La quota assegnata ai salari, alle pensioni e agli stipendi è rimasta piuttosto stabile per circa due decenni, dal 1970 al 1990.
Ma nella prima metà degli anni Novanta, si è ridotta di circa 11 punti percentuali, passando dal 68% in media del periodo dal 1970 ai primi anni Novanta fino al 57% circa dalla seconda metà degli anni Novanta in poi.
Si tratta di una vera e propria slavina che si ferma solo nei primi anni Duemila senza che vi sia in seguito alcun recupero.
Considerando che stratificazione e divario sociale stanno aumentano, sembra proprio giunta l'ora d'iniziare ad invertire la tendenza attraverso una sana e doverosa azione redistributiva.
Comprendiamo quindi che la ricchezza italiana è sufficiente per assicurare un diffuso benessere a tutti, anche senza aumentare ulteriormente il PIL.
Il problema è semplicemente che la ricchezza prodotta in un anno è mal distribuita (link per approfondire).
Senza far nulla di sconvolgente, senza ledere diritti o aumentare il PIL, si potrebbe garantire la copertura della manovra semplicemente redistribuendo la ricchezza, trasferendola da chi ne ha in eccesso rispetto alla media, a di chi ne ha in difetto.
A tal fine basterebbe attuare una scelta politica, aumentando la quota salari e diminuendo la quota dei redditi da capitale.
La quota assegnata ai salari, alle pensioni e agli stipendi è rimasta piuttosto stabile per circa due decenni, dal 1970 al 1990.
Ma nella prima metà degli anni Novanta, si è ridotta di circa 11 punti percentuali, passando dal 68% in media del periodo dal 1970 ai primi anni Novanta fino al 57% circa dalla seconda metà degli anni Novanta in poi.
Si tratta di una vera e propria slavina che si ferma solo nei primi anni Duemila senza che vi sia in seguito alcun recupero.
Considerando che stratificazione e divario sociale stanno aumentano, sembra proprio giunta l'ora d'iniziare ad invertire la tendenza attraverso una sana e doverosa azione redistributiva.
Viviamo in una società che paga senza problemi 80 miliardi all'anno di interessi sul debito, perché la moneta non è più in mano agli stati che esercitano la sovranità popolare, ma è stata sapientemente relegata a banche centrali private e indipendenti, come nel caso dell'eurozona.
Così, anziché finanziarci autonomamente battendo moneta e stabilendo il tasso d'interesse più opportuno, siamo costretti a cedere ai ricatti del mercato, condannandoci futilmente al rischio di default.
Firmiamo trattati per rimborsare in 20 anni l'extradebito, quello che eccede rispetto al rapporto del 60% debito PIL, che ci costerà 40-50 miliardi all'anno, sulla base di una visione ideologica dell'economia, che rende l'operazione arbitraria e quindi evitabile (Fiscal Compact).
Spendiamo 23 miliardi all'anno per mantenere l'esercito e fare guerre in giro per il modo...
Ma quando si tratta di risolvere il problema della disoccupazione con una manovra redistributiva da 70 miliardi, potete scommetterci: le coperture non verranno trovate e la proposta di lavorare meno per lavorare tutti senza ledere diritti e stipendi dei lavoratori, non verrà nemmeno dibattuta.
Perché il capitale ed i politici asserviti alle sue esigenze, invece di prendersi cura del benessere degli esseri umani, preferiranno aumentare il consumo, l'inquinamento e negare i diritti ai lavoratori per sfruttarli con maggiore intensità, in modo da ottenere maggior profitto.
Le manovre saranno attuale al motto di "è il mercato che ce lo chiede!", quando invece sarebbe opportuno domandarsi: che cosa chiedono gli esseri umani?
Così, anziché finanziarci autonomamente battendo moneta e stabilendo il tasso d'interesse più opportuno, siamo costretti a cedere ai ricatti del mercato, condannandoci futilmente al rischio di default.
Firmiamo trattati per rimborsare in 20 anni l'extradebito, quello che eccede rispetto al rapporto del 60% debito PIL, che ci costerà 40-50 miliardi all'anno, sulla base di una visione ideologica dell'economia, che rende l'operazione arbitraria e quindi evitabile (Fiscal Compact).
Spendiamo 23 miliardi all'anno per mantenere l'esercito e fare guerre in giro per il modo...
Ma quando si tratta di risolvere il problema della disoccupazione con una manovra redistributiva da 70 miliardi, potete scommetterci: le coperture non verranno trovate e la proposta di lavorare meno per lavorare tutti senza ledere diritti e stipendi dei lavoratori, non verrà nemmeno dibattuta.
Perché il capitale ed i politici asserviti alle sue esigenze, invece di prendersi cura del benessere degli esseri umani, preferiranno aumentare il consumo, l'inquinamento e negare i diritti ai lavoratori per sfruttarli con maggiore intensità, in modo da ottenere maggior profitto.
Le manovre saranno attuale al motto di "è il mercato che ce lo chiede!", quando invece sarebbe opportuno domandarsi: che cosa chiedono gli esseri umani?
Fonti:
Spesa pubblica per interessi sul debito
- Il fatto quotidiano: “Debito pubblico. Istat: in quattro anni spesi per interessi 318 miliardi ”
Quota reddito da lavoro su reddito da capitale
- La voce info “La slavina dei redditi da lavoro dipendente”
Dati sull'occupazione ufficiali
- ISTAT “Occupati e disoccupati”
- Mondo informazione: "Fiscal Compact: cosa è e come funziona"
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