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domenica 23 settembre 2018

La sanità italiana è ancora tra le migliori al mondo, ma bisogna parlarne male per privatizzarla meglio


Spese sanitarie

Se c'è una cosa che mi ripugna di più del realizzar profitto sfruttando altri esseri umani, è il far profitto sulle disgrazie dei malati. E che profitto!

Nel 2017, il fatturato mondiale delle industrie farmaceutiche superava i 1.100 miliardi di dollari, con un andamento in forte crescita (circa il 5% annuo), tanto che si prevede che Big Pharma raggiungerà i 1.300 miliardi di fatturato entro il 2020.

Nel 2016, le aziende farmaceutiche nella top 10 mondiale hanno avuto una quota di mercato di circa il 40% del totale, realizzando i seguenti introiti: Pfizer 52,8 mld di dollari; Roche 39,5 mld; Sanofi 35,9 mld; Merck & Co. 35,1 mld; Johnson & Johnson 33,5 mld; Novartis 32,6 mld; Gilead 30 mld; AbbVie 25,6 mld; Asta Zeneca 23 mld e Amgen 23 mld.

Nel suo piccolo, l'industria farmaceutica italiana fattura 30 miliardi di euro all'anno, di cui ben 12 vanno alle 10 aziende più grandi. Tra esse spiccano nelle prime posizioni: Menarini 3,5 mld; Chiesi 1,6 mld; Bracco 1,36 mld; Recordati 1,2 mld e Alfasigma 1 mld.

Com'è facilmente intuibile, con i fatturati, anche la spesa mondiale sanitaria destinata a medicine, strumenti bio-medicali, strutture e stipendi per il personale medico, non solo è aumentata ma lo sta ancora facendo accelerando il passo: +4,1% nel periodo 2017-2021, rispetto al +1,3% del 2012-2016. 

Se nel 2015 la spesa sanitaria mondiale era di poco superiore all'incredibile cifra di 7.000 miliardi di dollari, entro il 2020 sfonderà quota 8.700 miliardi, mentre si prevede che nel 2040 raggiungerà la cifra monstre di 18.000 miliardi di dollari!

In Italia si spendono 3.400 dollari all'anno pro capite per la salute, una cifra di poco inferiore ai 4.000 dollari della media calcolata nei Paesi dell'OCSE. Si stima che nel 2040 la spesa sanitaria pro capite italiana sfiorerà i 6.000 dollari.

Per fare un confronto, si tenga presente che, attualmente, la spesa sanitaria media globale pro capite è di circa 1.300 euro, ma vi sono profonde differenze a seconda del Paese in cui si ha la (s)fortuna di nascere. 

Ad esempio, in Somalia, uno degli Stati più poveri al mondo, i cittadini devono accontentarsi di un servizio sanitario che dispone di non più di 33 dollari a persona.

Stando alle previsioni, la disuguaglianza tra la spesa sanitaria dei Paesi a basso reddito e quelli ad alto reddito rappresenta un problema che nei prossimi anni non si risolverà.

Dati alla mano, nel periodo che va da 1995 al 2015 i Paesi a basso reddito spendevano 0,03 dollari per ogni dollaro speso in salute nelle nazioni più ricche; si prevede che nel 2040 questo rapporto rimarrà pressoché invariato.

Inoltre, entro i prossimi 20 anni, soltanto una nazione tra le 34 a più basso reddito e solo 36 tra le 98 a medio reddito, raggiungeranno l’obiettivo di allocare il 5% del PIL in spesa sanitaria statale. Per un confronto, si consideri che attualmente l'Italia destina circa l'8,9% del PIL alla salute, mentre la media OCSE è pari al 9%.

Quantitativamente parlando, ciò significa che mentre nei Paesi economicamente sviluppati la spesa sanitaria pro capite crescerà in media di circa 5.000 dollari, i Paesi più svantaggiati dovranno accontentarsi di un incremento medio di soli 75 dollari ad individuo. 

Attualmente, al primo posto per spesa sanitaria troviamo gli USA, con una cifra pro capite annua destinata alla salute dei propri cittadini prossima ai 10.000 dollari, o meglio destinata alla salute di chi può permettersi di pagare un'assicurazione medica.

Infatti, se in Italia la copertura sanitaria è (formalmente) pari al 100%, nel senso che a nessuno vengono negate le cure mediche in caso di effettiva necessità, in America il dato si arresta (ufficialmente) al 91%. 

Va ancora peggio alla Grecia che, dopo esser stata devastata dai falsi salvataggi basati sulle politiche di austerità imposte dalla dittatura europeista, riesce ad assicurare cure mediche solo all'86% dei suoi cittadini.

Purtroppo, come avremo modo di comprendere, le precedenti percentuali sono piuttosto ottimistiche.

In Italia, infatti, la spesa sanitaria è per il 75,3% a carico delle casse statali, mentre il 24,7% è pagato direttamente dai cittadini in base al reddito ed alle prestazioni di cui si ha bisogno; il dato è simile a quello della media OCSE, dove lo Stato provvede al 73% dei costi sanitari complessivi. 

La situazione peggiora negli Stati Uniti, dove per curarsi, oltre all'8,5% del PIL di costi sostenuti dallo Stato, i cittadini devono sborsare un'ulteriore quota corrispondente all'8,8% del PIL, e diviene drammatica nei Paesi più poveri, come ad esempio la Somalia, dove il governo partecipa soltanto con il 25% alla spesa sanitaria, mentre il 45,2% è coperto da associazioni benefiche e aiuti umanitari ed il resto è direttamente a carico di chi richiede le prestazioni mediche.

Sanità pubblica o privata?

Il punto critico di una sanità che non è completamente gratuita per i fruitori, è che se non si ha denaro a sufficienza per pagare o compartecipare alle spese sanitarie, non si ha alternativa all'indebitarsi, al vendere i propri averi o al rinunciare alle cure. 

Ed è proprio a questo punto della storia che si intromettono le assicurazioni, a peggiorare ulteriormente la situazione!

Salvo alcune eccezioni, in generale, si segnala la seguente dinamica: in una prima fase, nei Paesi a basso reddito, le spese sanitarie sono sostenute grazie agli aiuti umanitari ed ai pagamenti dei privati cittadini; quando il reddito della nazione aumenta, la quota pagata dallo Stato inizia a salire; ed infine, quando lo Stato raggiunge un livello di ricchezza elevata, intervengono le assicurazioni private a lucrare profitto. 

Complessivamente, negli Stati Uniti, dove il sistema sanitario è sostanzialmente privato, assicurazioni e organizzazioni non governative gestiscono il 38,8% della fetta di mercato dovuta all'assistenza medica. 

Il costo del premio per un’assicurazione di medio livello per la copertura medica di un individuo è di circa 393 dollari al mese; se però si ha un'età compresa tra i 55 e i 64 anni si deve pagare di più, ovvero circa 650 dollari al mese, per compensare la maggiore probabilità di ammalarsi. 

Chi ha la sfortuna di avere un grave problema di salute non è affatto detto che riesca ad assicurarsi, perché per le aziende un malato potenziale è fonte di profitto mentre un malato appurato rischia di essere soltanto una perdita economica.

I più poveri e gli over 65, però, possono rispettivamente fare affidamento sui piani assicurativi pubblici noti con il nome di Medicaid e Medicare: senza di essi più di 100 milioni di statunitensi avrebbero difficoltà a pagare le più comuni cure mediche. 

Guarda caso, questa cifra combacia quasi con i dati relativi alla povertà degli USA, dove circa 105 milioni di persone hanno difficoltà a far fronte ai propri bisogni elementari. 

E se si fa fatica ad arrivare a fine mese, di certo, non si hanno soldi da spendere per un'assicurazione sanitaria privata e quindi ci si deve affidare ai programmi Medicaid e Medicare, ammesso che si abbiano i requisiti per accedervi.

Qualcuno penserà che una volta che ci si è procurati un'assicurazione sanitaria il problema dell'accesso alle cure mediche sia definitivamente risolto... e invece no, perché non è affatto detto che l'assicurazione che ci si può permettere di avere copra tutte le necessità. 

Ciò significa che se per disgrazia si avesse bisogno di cure che non sono previste nel contratto sottoscritto, si dovrebbe comunque pagare la prestazione sanitaria, ammesso che si abbia denaro a sufficienza per farlo. In caso contrario, si verrebbe dimessi. 

Il sistema sanitario degli Stati Uniti d'America è così "avanzato" che non di rado giungono notizie di malati che sono stati letteralmente scaricati per strada, perché non avevano soldi a sufficienza per pagare i servizi di cui avrebbero avuto bisogno.

In generale, chiunque, per qual si voglia motivo, non sia in possesso di un'assicurazione e/o abbia bisogno di una prestazione che esula dalle coperture della sua polizza, se vuole curarsi, dev'essere in grado di pagare di tasca propria le prestazioni mediche. E tutto ciò ai modici prezzi di: 150-3.000 dollari per una visita al pronto soccorso;  400-1.200 dollari per essere trasportati in ambulanza; 500 dollari per un polso slogato, che diventano 8.000 se c'è bisogno di far intervenire un chirurgo; ben 17.000 dollari per un'appendicectomia... e così via, arrivando a cifre incredibili per operazioni e cure più specifiche e complesse. 

Con una simile organizzazione sociale non stupisce che il 47% della popolazione degli USA non sia in grado di affrontare spese mediche impreviste e che per curarsi debba indebitarsi o vendere qualcosa di valore, tanto che, nel 2007, i debiti contratti per questioni mediche hanno causato il 62% delle bancarotte personali degli statunitensi.

Per fortuna, dalla sponda opposta dell'Oceano Atlantico le cose vanno in modo diverso e, di norma, almeno in linea di principio, la filosofia dell'assistenza sanitaria è basata su criteri universalistici.

Non a caso, se si guarda all'elenco dei migliori sistemi sanitari a livello mondiale, stilato sulla base dei dati del Global Burden of Disease Study, si scopre che 13 dei primi 15 Paesi in classifica appartengono all'Europa occidentale. 

Ai primi posti si trovano: Andorra, con un punteggio di 95/100, Islanda (94/100), Svizzera (92/100), Svezia (90/100), Norvegia (90/100), Australia (90/100), Finlandia (90/100) Spagna (90/100), Paesi Bassi (90/100). 

L'Italia si piazza al dodicesimo posto, con 89 punti, a pari merito con Lussemburgo e Giappone, tre posizioni più in alto rispetto alla Francia; la Germania è soltanto ventesima, mentre il Regno Unito è al trentesimo posto.

Gli Stati Uniti, a fronte della spesa sanitaria pro capite più alta del mondo, realizzano uno scandaloso 35esimo posto, totalizzando 81 punti, riuscendo a garantire ai propri cittadini un'aspettativa di vita inferiore rispetto a quella calcolata valutando la media dei Paesi dell'OCSE. 

In realtà, il dato paradossale degli Stati Uniti si spiega facilmente: in un sistema sanitario privato, il fatto che la spesa pro capite sia elevata non implica che tutti abbiano accesso a cure dignitose. 

Significa che i ricchi possono curarsi in maniera eccellente, mentre i poveri, ammesso che vengano curati, ricevono un'assistenza di qualità inferiore. 

Ciò fa crollare in basso il punteggio, perché ai fini della classifica curare male un povero conta tanto quanto curare male qualsiasi altro essere umano. 

Ciò invece non accade in un sistema pubblico universale. Infatti, sotto questa ipotesi, a maggior spesa pro-capite segue un maggior livello qualitativo per tutti.

Inoltre, il fatto che negli Stati Uniti il sistema sanitario sia fondamentalmente privato, introduce una certa inefficienza dovuta all'azione parassitaria di tutti quei soggetti che escogitano strategie per lucrare profitto sfruttando le attività legate alla salute. 

Anche se la propaganda liberista continua ad asserire il contrario, tutto ciò fa lievitare il prezzo per i fruitori, oppure, a parità di prezzo, fa diminuire la qualità, perché si deve ricavare un profitto per i parassiti, peggiorando la complessiva efficacia del servizio. Pertanto, con una privatizzazione, nella migliore delle situazioni si avrà la medesima assistenza sanitaria ad un prezzo più elevato.

Confrontando i dati del 1995 con quelli del 2015, anno di riferimento della classifica appena riportata, si nota come quasi tutti i Paesi del mondo abbiano migliorato il proprio punteggio relativo alla sanità. 

Ma la situazione a livello globale è ancora drammatica, se si pensa che quasi la metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari fondamentali, mentre un terzo degli esseri umani non dispone di farmaci essenziali. 

Nel 2010, l'Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che più di un miliardo di persone non abbia potuto ricorrere alle cure sanitarie di cui necessitava a causa di prezzi fuori dalla loro portata; 

al tempo stesso, 800 milioni di persone nel mondo spendono più del 10% delle proprie entrate per la salute, per 180 milioni di essi la percentuale supera il 25%, mentre 100 milioni di persone si riducono in povertà per sostenere le spese sanitarie.

Sinceramente, non riesco a stupirmi più di tanto del fatto che la sanità a livello globale non funzioni: in un mondo dominato dalle logiche del profitto, non ha alcun senso curare chi non può permettersi di pagare a caro prezzo i rimedi farmaceutici e le prestazioni sanitarie. E le conseguenze di questa logica scellerata si vedono in modo forte e chiaro, non solo in ambito medico.

In realtà, negli ultimi anni, neanche la sanità italiana, un tempo fiore all'occhiello a livello mondiale, non è più totalmente gratuita e non è più neanche così universale come invece si vorrebbe far intendere con i dati ufficiali.

Privatizzazione della sanità

Il caso italiano è degno d'interesse, perché ripropone la classica strategia da manuale per indurre la privatizzazione di un servizio pubblico altamente efficiente, secondo la celebre tecnica: problema-reazione-soluzione.

Se lo scopo è di privatizzare il servizio sanitario di uno Stato, ma "sfortunatamente", come nel caso dell'Italia, quel servizio pubblico funziona così bene da essere classificato nel 2014 come il migliore d'Europa ed il terzo più efficiente al mondo, è evidente che non si può procedere direttamente proponendo una privatizzazione, perché il popolo si ribellerebbe, così com'è giusto che sia.

Si deve quindi creare appositamente un problema nella sanità, che induca nel popolo una reazione tale da giustificare l'avvento della privatizzazione.

Concretamente parlando, per quanto riguarda la sanità, non c'è miglior problema se non quello d'introdurre dell'inefficienza tagliando progressivamente negli anni i fondi pubblici destinati al servizio, dando un grande risalto mediatico ai casi di mala-sanità che inevitabilmente si verificheranno.

Così facendo, nel giro di qualche anno, le liste d’attesa s’ingrosseranno, i tempi si dilateranno, i pazienti non verranno più curati come si deve, ed inevitabilmente esploderà il malcontento popolare. 

Parallelamente a questa operazione inizieranno a spuntare come funghi delle strutture private, in alcuni casi addirittura sovvenzionate dallo Stato, che si faranno carico, a caro prezzo, di una parte delle prestazioni che il sistema pubblico, ormai sottodimensionato ma puntualmente descritto come “sprecone” e “inefficiente”, non riuscirà più a gestire.

Chi potrà permettersi di pagare le cure migrerà spontaneamente verso i servizi privati, ritenendoli ormai qualitativamente superiori, maledicendo la sanità pubblica ed elogiando le nuove strutture ad ogni buona occasione, dando così il proprio contributo per creare il consenso necessario affinché avvenga una massiccia privatizzazione... ed ecco che la transizione pubblico-privato potrà essere progressivamente attuata a furor di popolo.

Nel giro di qualche decennio, i settori più redditizi della sanità saranno completamente privatizzati, senza che vi sia alcuna protesta sociale, e dato che i costi per le singole prestazioni diventeranno esorbitanti e non saranno più garantiti dallo Stato, le assicurazioni private cominceranno a fare capolino e realizzeranno lauti profitti vendendo polizze alla maggior parte della popolazione.

Questo è quanto stanno cercando di far accadere in Italia, e purtroppo non solo per quanto riguarda la sanità pubblica, la quale sta cercando di resistere agli attacchi neoliberali. Ci si augura che il popolo non sia così addormentato da cadere ancora una volta nel medesimo inganno.

Qualche dato sarà più che sufficiente a dimostrare quanto appena sostenuto.

Negli ultimi dieci anni, la capacità assistenziale dello Stato italiano, vale a dire la misura in cui il sistema sanitario pubblico riesce a fornire prestazioni e assistenza medica ai cittadini, si è fortemente contratta, passando dal 92% al 77% degli aventi diritto.

Al tempo stesso, la spesa sanitaria privata è aumentata di circa 10 miliardi (che coincidenza!), passando dai 25 miliardi del 2005 ai 34,5 miliardi del 2015. 

Nel 2016, la spesa privata è continuata a salire, raggiungendo la quota di 36 miliardi di euro; di questa, il 15% è stata intermediata da polizze e fondi sanitari (ecco che arrivano i parassiti!). 

Quantitativamente parlando, gli italiani che hanno fatto ricorso a cure private sono stati all'incirca 13,5 milioni, generando un quarto del volume complessivo della spesa medica italiana. Nel 2017, le cose sono peggiorate ulteriormente, portando gli italiani a sborsare di tasca propria la cifra di 40 miliardi di euro, con un incremento del 9,6% rispetto al 2013. 

Ciò prova che il processo di privatizzazione della sanità è ormai in atto e che si sta creando spazio per tutti quegli attori sociali che intendono lucrare profitto sulle disgrazie della gente. 

In termini più comprensibili, possiamo affermare che l'americanizzazione del sistema sanitario italiano sta muovendo passi da gigante. Ma quando l'assistenza pubblica gratuita viene meno, non tutti riescono più a curarsi, in particolar modo in tempo di crisi. 

Ed ecco che, nel 2016, quasi 4 milioni di italiani si sono trovati in difficoltà per sostenere le spese mediche richieste dal settore privato; di questi, 2,6 milioni hanno rinunciato alle cure per il costo eccessivo (prevalentemente cure odontoiatriche), 1 milione ha sostenuto spese al di sopra del proprio reddito e 300.000 hanno affermato di essersi impoveriti a causa di spese sanitarie.

Nello stesso anno, il 16,5% delle famiglie non era in grado di far fronte a una spesa imprevista importante, nell’ordine di 700 euro, mentre la pratica della rinuncia a un’eventuale visita medica per ragioni economiche è cresciuta dal 34,4% del 2013 al 37,2% del 2016.

Complessivamente, nel 2017, sono stati ben 13 milioni gli italiani che, per un motivo o per l'altro, hanno rinunciato a curarsi. Tra le principali cause di rinuncia alle cure spiccano le motivazioni economiche (10,9% dei casi) e la lunghezza delle liste di attesa (9,8%).

Oltre a ciò si deve considerare l'impatto socio-economico dei 320 mila “viaggi della speranza”, vale a dire quegli spostamenti da una regione all'altra effettuati per ricevere cure migliori.

Nel mentre che, tra il 2009 e il 2015: il costo dei ticket per le prestazioni sanitarie cresceva del 40,6%, quello dei farmaci aumentava del 76,7% e i costi per le visite a pagamento negli ospedali pubblici salivano del 21,9 %, i cittadini subivano gli effetti di un crescente degrado sanitario altamente funzionale al silente avvento della privatizzazione. Posti letto? -9,2%. Ricoveri? -18,3%. Giornate di degenza? -14%. Personale? -9%.

In 10 anni di tagli sconsiderati, la sanità pubblica italiana ha detto addio a 175 ospedali, con la perdita di oltre 70.000 posti letto, raggiungendo così un rapporto di 3,7 posti per mille abitanti, contro i 6 della Francia e gli 8 della Germania. Senza considerare una diminuzione del personale medico prossima alle 20.000 unità.

Com’è naturale che sia, a seguito di questa cura dimagrante, i tempi di attesa per effettuare visite mediche nella sanità pubblica sono diventati sempre più lunghi e risultano tutt’ora in costante aumento: si parla di una media di 65 giorni d’attesa, a fronte di un’offerta privata in grado di ricevere i pazienti nel giro di una settimana.  

Se nel 2014 per una mammografia bisognava pazientare 62 giorni, nel 2017 i tempi sono lievitati a 122 giorni. Attualmente, per effettuare una risonanza magnetica bisogna aspettare in media 80 giorni; per una visita ginecologica 47 giorni, e così via... chiari segnali di un sistema sanitario pubblico sottodimensionato rispetto alle esigenze dei cittadini. 

Se però si è disposti a pagare le cose cambiano! 

Con il privato convenzionato, infatti, i tempi medi d'attesa si dimezzano (circa 32 giorni), mentre (udite, udite) il record per celerità si ottiene richiedendo una prestazione intramuraria (anche nota come “intramoenia”): in tal caso, bisogna attendere solo 6 giorni!

Per chi non ne fosse al corrente, con quest'ultimo termine s'intende la possibilità concessa ai medici di erogare prestazioni al di fuori del normale orario di lavoro, utilizzando però le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell'ospedale stesso, previo pagamento da parte del paziente.

In pratica, i medici possono svolgere la professione privata sfruttando le strutture pubbliche, senza doversi preoccupare di costruire uno studio e di acquistare i macchinari, perché possono sfruttare spazi e mezzi del servizio pubblico!

Ma se i medici (e le strutture) incaricati di (e utilizzati per) effettuare le visite nel sistema pubblico ed in quello della libera professione intramuraria sono identici, come si spiega che nel primo caso i tempi d'attesa superino i 2 mesi, mentre nel secondo non oltrepassino neanche una settimana? 

Per quale motivo chi ha la possibilità di pagare di più può diminuire drasticamente il proprio tempo d'attesa sfruttando i medesimi mezzi pubblici e lo stesso personale di chi invece resta in fila ad aspettare con l'assistenza pubblica? 

Se è vero che i lor signori medici, che hanno scelto di curare esseri umani in difficoltà in una struttura pubblica ricevendo un compenso pubblico, sono così volenterosi da fermarsi oltre il proprio orario di lavoro all'interno dell'ospedale per curare altre persone con mezzi pubblici, che lo facciano gratis, dimostrando così la loro umanità, anche perché dal punto di vista delle retribuzioni, le figure dei medici sono quelle con i compensi più alti (64.900 euro all'anno in media) ed è assolutamente ridicolo sostenere che tali soggetti abbiano bisogno di più denaro per vivere dignitosamente. 

Se invece il loro scopo è di ottenere dei lauti guadagni sfruttando le strutture pubbliche, sottraendo, di fatto, i mezzi a chi non può permettersi di pagare i loro compensi e contribuendo altresì ad allungare le liste d'attesa del servizio pubblico, allora che questa razza di medici, più innamorati del denaro che della salute dei pazienti, si costruisca un bello studio e spenda milioni di euro per acquistare tutti i macchinari di cui ha bisogno per esercitare la propria professione, senza sfruttare quelli del sistema sanitario pubblico! 

L'elevata caratura etico-morale di questi volenterosi “benefattori”, che si prodigano per l'umanità fermandosi a lavorare addirittura oltre il proprio orario di lavoro, è chiaramente testimoniata da un'indagine del N.A.S (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell'Arma), che, a fronte di 400 ispezioni tra ospedali e strutture private e 704 posizioni mediche valutate, ha riscontrato irregolarità nel 50% dei casi.

Tra i comportamenti più “etici” riconducibili alla benevola e senza fini di lucro attività medica intramoenia, citiamo: compensi presi sottobanco, induzione a cure a pagamento presso strutture private, prestazioni in regime libero-professionale in orario istituzionale, falsificazione degli atti per indennità di esclusiva e ingiusti profitti ai danni del servizio sanitario nazionale.

Personalmente ritengo che la pratica intramuraria sia a dir poco scandalosa e debba essere immediatamente abolita e che i profitti ottenuti dai medici con queste disdicevoli modalità debbano essere sequestrati in modo retroattivo per essere destinati alla sanità pubblica: è una questione di buon senso, giustizia sociale e dignità. 

Inoltre, sono pronto a scommettere che così facendo i tempi d'attesa diminuirebbero, e lo farebbero senz'altro in modo ancor più consistente se gli uffici e i mezzi, liberatisi dal maggior utilizzo di questi medici dediti al profitto, venissero utilizzati da altri professionisti appositamente assunti per alleggerire le liste d'attesa del sistema pubblico nazionale.

Ma com'è stato possibile condurre in rovina un servizio che, fino a pochi anni fa, si collocava ai primi posti nelle classifiche mondiali per efficienza e capacità? 

I titoli di alcune testate nazionali saranno più che sufficienti per comprendere la causa:

2010 – Sanità, i tagli pesano sugli italiani. Spesa privata sempre più alta;
2011 – Sanità pubblica: tagli per 10 miliardi in tre anni;
2012 – Tagli, la sanità si fa privata;
2013 – Legge di stabilità: tagli alla sanità per più di quattro miliardi in tre anni;
2014 – Tagli alla sanità, Senato vota la fiducia;
2015 – Sanità pubblica vittima dei tagli;
2016 – Tagli alla Sanità: addio ticket, 203 visite ed esami a pagamento;
2017 – Sanità, arrivano dieci miliardi di tagli per decreto: stop a visite e medici.

È stato calcolato che, dal 2010 e al 2015, i vari governi abbiano operato tagli alla sanità per 26 miliardi di euro, senza considerare le manovre degli anni successivi. E tutto ciò in una fase storica in cui per compensare il crescente fabbisogno assistenziale dovuto a fattori quali l’invecchiamento della popolazione, l’incremento dell’aspettativa di vita e la crescita di patologie croniche-degenerative, bisognerebbe addirittura aumentare la spesa pubblica da dedicare alla sanità, non ridurla!

Sotto queste condizioni, anche se le risorse destinate alla sanità si fossero mantenute costanti, senza operare alcun taglio, si sarebbe comunque venuto a creare un disservizio, dovuto ad una progressiva diminuzione della quota di copertura pubblica rispetto al fabbisogno effettivo.

La motivazione è evidente: se il servizio erogato resta invariato, ma si accresce la platea di chi ne ha bisogno, il sistema si sovraccarica e le necessità di alcuni, soprattutto quelle di chi non può pagare, non possono essere soddisfatte. 

Inutile dire che la situazione riferita al 2018 sia peggiorata ulteriormente: 7 milioni di italiani si sono indebitati per pagare cure e servizi sanitari; 2,8 milioni di essi, per farlo, hanno dovuto vendere un’immobile o dar fondo ai risparmi per curarsi privatamente.

Il numero di persone che ha speso di tasca propria per pagare prestazioni sanitarie, per intero o con il ticket, è salito a 44 milioni, con un esborso medio pro capite annuo di 655 euro, che si prevede arriverà a 1.000 euro nel 2025, se non s'interverrà per recuperare fondi con delle altre strategie.

Considerando un orizzonte temporale di 10 anni, è stato calcolato che la crescita del fabbisogno assistenziale della popolazione italiana richiederebbe un’iniezione di risorse pubbliche aggiuntive da destinare al bilancio del sistema sanitario di circa 20-30 miliardi. 

E c'è già chi propone di puntare su un modello di assicurazione sociale integrativa, istituzionalizzato ed esteso a tutti i cittadini, attraverso il quale integrare il fondo sanitario nazionale (ma che coincidenza!).

Io invece ritengo che al posto di demonizzare il sistema sanitario pubblico e d'invocare ad ogni buona occasione l'avvento degli assicuratori per “risollevarne” le sorti, bisognerebbe semplicemente rifinanziarlo, andando a prelevare ricchezza laddove è presente: nelle tasche dei ricchi.

E non sarebbe male proibire che si possa far profitto quando si tratta di salute: questo sì che risolverebbe gran parte dei problemi!

Così facendo, nel giro di poco tempo la sanità italiana tornerebbe in cima alle classifiche mondiali per efficienza, com'è stato in passato, senza alcun bisogno che intervengano soggetti privati a lucrare profitti, contribuendo a peggiorare ulteriormente il quadro generale. Sì, lo ribadisco: a peggiorare la situazione.

La sanità pubblica è inefficiente?

Il fatto che i sistemi pubblici siano meno efficienti rispetto a quelli privati è un classico argomento portato avanti da chi intende privatizzare ciò che invece dovrebbe essere pubblico, gratuito ed universale.

Come abbiamo sottolineato qualche riga fa, già di per sé i dati degli Stai Uniti riferiti all'assistenza sanitaria confutano in modo inequivocabile questa risibile retorica liberista: in America, infatti, la spesa medica pro capite è decisamente più elevata rispetto a quella italiana, ma ciò nonostante il sistema sanitario italiano si posiziona molto più in alto nelle classifiche dell'efficienza. Fine della storia.  

Oltre ad esser smentito dall'evidenza empirica, un simile argomento retorico può essere confutato anche con un po' di buon senso, per via logica.

Visto che, fino a prova contraria, nel settore privato non lavorano delle razze di alieni ma dei comuni esseri umani, esattamente come avviene nel pubblico, da un punto di vista teorico, il livello di efficienza che entrambi questi sistemi possono raggiungere è il medesimo: se c'è una pratica che incrementa effettivamente l'efficienza migliorando la qualità del servizio, essa può essere parimenti implementata sia nel pubblico che nel privato. Ciò conclude in modo definitivo ogni ulteriore discussione.

Se non fosse contro i principi dell'etica, bisognerebbe ridurre in povertà, far ammalare, ed inviare a curarsi negli Stati Uniti, ovviamente senza assicurazione, tutti quei radical chic al servizio del capitale che sostengono pubblicamente che una sanità privata garantirebbe servizi migliori rispetto a quelli offerti dalla sanità pubblica, consentendo addirittura di risparmiare dei soldi. Forse dopo aver saggiato la "bontà" del sistema sanitario privato sulla propria pelle, la smetterebbero di negare perfino l'evidenza.

Solo un minus habens, o uno che agisce in completa mala fede, può asserire che privatizzare un servizio pubblico possa far diminuire i costi aumentando la qualità, quando i medesimi servizi potrebbero essere erogati da enti pubblici senza che si intromettano degli ulteriori soggetti parassitari il cui scopo consiste nel lucrare profitto.

Se il privato realizza profitti con un servizio, a maggior ragione tale servizio dovrebbe essere pubblico, perché, se così fosse, quella quota di profitto potrebbe essere impiegata o per migliorare il servizio o per diminuire il prezzo delle prestazioni. In ambedue le situazioni, il cittadino avrebbe un vantaggio, rispetto alla situazione in cui il profitto finisce nelle tasche di qualche capitalista. 

S'intenda che non sto asserendo che negli odierni sistemi pubblici non vi siano dei soggetti che lucrino profitto, sto sostenendo che è ridicolo aggiungervene degli altri la cui presenza è del tutto evitabile trasformando ciò che dovrebbe esser pubblico in privato.

In un sistema privato, infatti, per generare profitto per i parassiti che v'intervengono, si deve trovare il modo per ridurre i costi e/o incrementare la produttività, oppure al limite si può scegliere di aumentare i prezzi.

Nel primo e nel secondo caso, è assai probabile che i servizi peggiorino, perché per ridurre i costi si deve trovare il modo di risparmiare su strumentazioni e medicinali e/o si devono sfruttare maggiormente i lavoratori; 

nel terzo caso, a parità di qualità, il servizio diviene più caro, e quindi meno accessibile, perché si deve pagare di più per avere la medesima cosa che si sarebbe potuta ottenere ad un minor prezzo per l'utilizzatore, se solo non si fossero dovuti garantire profitti ad un maggior numero di soggetti privati.

Combinando le casistiche, nella peggiore delle ipotesi, si rischia di ottenere un servizio inferiore, ad un prezzo maggiore, sfruttando di più i lavoratori. E tutto ciò per far arricchire qualche inutile parassita. 

Disgraziatamente quest'ultima è proprio la situazione che si è puntualmente verificata se si guarda con onestà intellettuale alla realtà fattuale di ogni privatizzazione che è avvenuta negli ultimi decenni in Italia: dalla gestione dell'acqua a quella delle autostrade, passando per l'energia.  

Ciò nonostante c'è ancora chi insiste che il privato sia superiore al pubblico, andando non solo contro la logica, ma anche contro l'evidenza empirica!

Le compagnie assicurative, poi, andrebbero completamente eliminate dalla faccia della Terra (insieme alle banche, ovviamente): qui davvero è una banale questione di matematica elementare.

Se per finanziare il sistema sanitario pubblico si può prelevare, ad esempio, un 5% da tutti i redditi, in particolar modo dalle rendite e dai profitti, e destinare questa somma direttamente al servizio, per quale assurdo motivo si dovrebbe inserire un'ulteriore ente, quello delle assicurazioni, il cui scopo è di lucrare un profitto raccogliendo fondi per pagare le prestazioni sanitarie al posto dello Stato?

Chiunque può comprendere che, sostanzialmente, introducendo questa classe di parassiti si avrebbero due esiti: non potendo risparmiare sugli acquisti, o aumenterebbe lo sfruttamento dei lavoratori del sistema sanitario, o le assicurazioni ricaverebbero il loro profitto appropriandosi e/o sfruttando una parte di quel 5% riscosso, magari speculando con qualche attività finanziaria, in alternativa, dovrebbero necessariamente aumentare l’aliquota, portandola, ad esempio, al 6%.

Nel primo caso, i cittadini avrebbero a disposizione minor fondi per finanziare il servizio sanitario, perché parte dei loro soldi, che potrebbero essere interamente destinati alla sanità, in realtà, sarebbero sottratti dalle assicurazioni per i loro interessi; nel secondo caso, i cittadini dovrebbero pagare di più per ricevere il medesimo servizio, perché oltre al sistema sanitario ora dovrebbero foraggiare anche gli assicuratori e chi con essi lucra sulla sanità.

Ciò prova che, in ogni caso, l’intervento delle assicurazioni peggiorerebbe la situazione, o perché si sottrarrebbero fondi che invece potrebbero essere destinati al servizio, o perché a parità di fondi destinati al servizio quest’ultimo risulterebbe più caro.

I servizi, che siano pubblici o privati, sono sempre il frutto dell’operato di esseri umani. Le differenze sostanziali tra un sistema pubblico e uno privato risiedono nel numero di attori che lucrano alle sue spalle e nel fine perseguito. 

Per quanto riguarda i parassiti, possiamo esser sicuri che il loro numero non può che accrescersi privatizzando ciò che potrebbe esser pubblico; mentre per quanto riguarda le finalità, solo il pubblico, se vuole, può inseguire l'utilità generale, il privato invece insegue il profitto e le due cose, disgraziatamente, non coincidono.

In una società che utilizza la moneta ed in cui vi è una diffusa povertà, la logica del profitto implica in modo automatico il decadimento dell'universalità, perché, banalmente parlando, se un servizio è privato chi non può permettersi di pagare il costo di una prestazione non ha diritto ad usufruirne. 

Un simile atteggiamento, in una società che vuole definirsi civile ed avanzata, non può essere tollerato, in particolar modo in ambito medico. E anche se per assurdo un sistema sanitario pubblico fosse più inefficiente rispetto ad uno privato, si dovrebbe comunque evitare la sua privatizzazione, perché curarsi quando si è malati non è un lusso ma una necessità.   

Se per qual si voglia motivo un servizio pubblico non dovesse funzionare a dovere, non si dovrebbe sfruttare questa evenienza per favorirne la privatizzazione, ma si dovrebbe invece intervenire per migliorare il sistema esistente, agendo nell'interesse della collettività.

Analoghe argomentazioni possono essere estese ad ogni genere di servizio; pertanto, se si è intellettualmente onesti e si ha a cuore il bene dell'umanità, si deve concludere che non dovrebbe esistere alcun servizio privato.

Mirco Mariucci

Fonti

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  2. La top ten delle industrie farmaceutiche 2017. Aboutpharma, 21 marzo 2017. 
  3. Ecco la top ten 2016 delle industrie farmaceutiche a fatturato italiano.  Aboutpharma, 22 febbraio 2017. 
  4. La classifica delle 10 aziende farmaceutiche più grandi del mondo aggiornata al 2017. Fedaiisf, 15 marzo 2017.
  5. Outlook Deloitte: spesa sanitaria mondiale in crescita del 4% l'anno fino al 2021. Mio Welfare, Rosanna Magnano, 12 febbraio 2018. 
  6. Pharma questione di famiglia, la top 10 dei gruppi a capitale italiano. Adnkronos, 22 febbraio 2017.
  7. Outlook Deloitte: spesa sanitaria mondiale in crescita del 4% l’anno fino al 2021. Il Sole 24 Ore, Rosanna Magnano, 9 febbraio 2018.
  8. La farmaceutica continua a crescere. Il Sole 24 Ore, Roberto Turno, 5 gennaio 2017.
  9. Italia sotto media per spesa sanitaria. Usa al top mondiale. Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2017.
  10. Italia sotto la media per spesa sanitaria pro-capite. Milano Finanza, 10 novembre 2017.
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  12. Spesa sanitaria. In Italia raddoppio da qui al 2040: spenderemo quasi 6mila dollari a testa. Nel 2013 ne spendevamo poco più di 3mila. Quotidiano Sanità, Maria Rita Montebelli, 17 giugno 2016.
  13. Costi sanità negli Stati Uniti.
  14. Trump e l'Obamacare: come funziona la sanità negli Stati Uniti. Panorama, Andrea Telara, 5 maggio 2017.
  15. Che cos’è Medicare? Che cos’è Medicaid?
  16. Usa, paziente scaricata in strada: "Non poteva pagarsi l'ospedale". Il Giornale, Sergio Rame, 13 gennaio 2018. 
  17. Baltimora, paziente abbandonata seminuda al freddo perché non può permettersi le cure. Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2018.
  18. Stati Uniti al collasso: 47% dei cittadini non può permettersi cure mediche. Sott, 25 apr 2016. 
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  20. Stati Uniti, i poveri sono un terzo della popolazione, ma non si devono vedere. Repubblica, Marta Rizzo, 13 gennaio 2017.
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  41. Ecco qual è lo stipendio medio di un medico in Italia. Qui Finanza, 28 maggio 2018.
  42. Sanità, “abolire l’intramoenia”. La proposta del governatore Rossi che irrita i medici e il Pd renziano. Il Fatto Quotidiano, David Evangelisti, 20 marzo 2016.
  43. Scandalo intramoenia. Irregolarità nel 50% dei casi controllati. Ecco il rapporto dei Nas. Quotidiano Sanità, 14 marzo 2012.
  44. Tempi di attesa. “Si fa prima nel privato e costa anche meno”. La foto della situazione in 4 regioni scattata dalla Cgil e dal Crea Sanità. Quotidiano Sanità, 19 marzo 2018.
  45. Allarme sanità: sono 2,8 milioni gli italiani che vendono casa per curarsi privatamente. The Social Post, Michela Cogo, 8 giugno 2018.
  46. Spesa sanitaria di tasca propria a 40 miliardi: 7 mln di italiani indebitati e 2,8 mln vendono la casa. Il Sole 24 Ore, Barbara Gobbi, 6 giugno 2018.
  47. Vola la spesa per la sanità privata: 7 milioni di italiani indebitati per pagarsi le cure. Repubblica, 6 giugno 2018. 
  48. Medici Smi, meno 70 mila posti letto in 10 anni. ANSA, 11 giugno 2018.
  49. Smi, in dieci anni chiusi 175 ospedali con oltre centomila posti letto. Dot Net, 6 giugno 2018.
  50. Il Ssn “perde” 10.000 dipendenti in un anno. In calo anche i costi. Sale età media e cresce lavoro precario. Ecco i numeri del Conto annuale 2015. Quotidiano Sanità, 19 gennaio 2017.
  51. Così stanno uccidendo la sanità pubblica. L'Espresso, Gloria Riva, 23 gennaio 2018.

1 commento:

  1. ottimo articolo; da utente assiduo ho potuto verificare i cambiamenti positivi nella sanità delle Marche, che sono in cima alle classifiche per qualità del servizio e abbastanza ovviamente anche per aspettativa media di vita

    aggiungo che nel settore delle case di riposo il privato è già preponderante a causa dei ritardi dell'intervento pubblico: nei prossimi decenni l'età media della popolazione continuerà a salire e così il numero degli ospiti; data la pochezza delle future pensioni è facile prevedere che molti non saranno in grado di pagare la retta

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