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giovedì 13 settembre 2018

Il passaggio all'agricoltura e all'allevamento fu l'inizio del declino della civiltà



Analisi dell'andamento del coefficiente di Gini e delle condizioni sociali al verificarsi della transizione verso l'agricoltura e l'allevamento.

L'indice di Gini

Il coefficiente di Gini è uno degli indicatori sintetici più utilizzati per misurare la disuguaglianza economica.

Si tratta di un indice che può assumere valori reali compresi tra 0 e 1 (estremi inclusi) e che può essere così interpretato: più il coefficiente si avvicina ad 1 e più la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi individui o, se preferite, maggiore è la disuguaglianza sociale. 

Un indice di Gini pari a 0 caratterizza una società totalmente egualitaria in cui la ricchezza è perfettamente equidistribuita; all'opposto, quando l'indice è pari a 1, si verifica una situazione in cui la ricchezza della società in esame è interamente concentra nelle mani di un solo individuo.

Il coefficiente di Gini può riferirsi sia alla ricchezza che ai redditi.

I cacciatori-raccoglitori

Da un punto di vista storico, l'organizzazione sociale più egualitaria che sia mai esistita è quella adottata dai cacciatori-raccoglitori, la quale, stando alla storia ufficiale, rappresentava anche l'unica tipologia di società, fin quando non iniziarono a diffondersi l'agricoltura e la pastorizia circa 10.000 anni fa.

Siccome l'Homo Sapiens era presente sulla Terra già 200.000 anni fa, ne deduciamo che la specie umana ha vissuto in società egualitarie non stratificate, in cui la cooperazione e la condivisione dei beni erano la norma, per più di 190.000 anni, vale a dire per almeno il 95% della sua storia. 

Chi si è divertito a stimare l'indice di Gini per le società di cacciatori-raccoglitori del passato sostiene che si attestasse mediamente sul valore di 0,17.

C’è da dire che le minime differenze di “ricchezza” rese possibili dal modo di vita dei cacciatori-raccoglitori, ammesso che ve ne siano, non sarebbero neanche percepite come tali dai membri di quelle popolazioni.

Non a caso c’è chi ha definito questo genere di organizzazioni sociali come quelle in cui le differenze tra gli individui non comportano delle connotazioni valoriali.

Le società dei cacciatori-raccoglitori sono anche note come società acquisitive, in quanto i loro membri si nutrono soltanto di ciò che la Terra è in grado di offrire spontaneamente da sé, senza intervenire su di essa per accrescerne la produttività.

Contrariamente a quanto si possa ingenuamente pensare, vivere di caccia e raccolta non era affatto difficoltoso, tanto che le antiche comunità di cacciatori-raccoglitori vengono altresì definite come società dell’abbondanza. 

Per comprendere come ciò sia possibile, si tenga presente che anche gli attuali cacciatori-raccoglitori dedicano al “lavoro” un tempo molto basso, se comparato con le modalità lavorative delle civiltà "avanzate", pur vivendo in un ambiente decisamente più ostile rispetto a quello dei loro antenati, che era assai più ricco di flora e fauna.

Ad esempio, gli odierni boscimani, una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccoglitori ancora esistenti, dedicano alla ricerca di cibo dalle 12 alle 19 ore alla settimana. Di certo, non conducono una vita d'ozio, ma è errato sostenere che lavorino più dei loro vicini agricoltori. 

Essi si procurano l'acqua succhiandola dal terreno con delle rudimentali cannucce munite di “filtri”, oppure scavando delle buche alla ricerca di grandi tuberi acquosi; per conservare e trasportare l'acqua, utilizzano delle uova di struzzo. 

La loro dieta è costituita per il 75% da alimenti di origine vegetale, principalmente raccolti dalle donne, mentre il restante 25% è fornito dalla carne procurata dagli uomini durante le sessioni di caccia condotte con archi e frecce dalla punta avvelenata. 

Traendo nutrimento da più di 70 piante diverse, la dieta dei boscimani risulta molto variegata, scongiurando così il verificarsi di carenze nutrizionali. Mediamente, nei periodi di abbondanza, l'assunzione giornaliera di cibo è in grado di fornire a ciascun individuo circa 2.140 calorie, con 93 grammi di proteine.

Nonostante la mortalità infantile sia elevata (il 50% dei bambini muore senza aver compiuto i 15 anni), l'aspettativa di vita media dei Boscimani è di circa 45-50 anni, con un 10% d'individui che riescono a superare i 60 anni di età.

Qualcuno penserà che 45 anni siano pochi, ma forse non saprà che stiamo parlando di un popolo che, a causa delle pressioni esterne esercitate da allevatori, agricoltori e aziende interessate all'estrazione di diamanti, è stato cacciato dalle proprie terre natie per esser confinato nella zona desertica del Kalahari!

Inoltre, bisognerebbe valutare se il trascorrere 75-80 anni di vita nello stress e nel grigiore delle città, sacrificando la maggior parte del proprio tempo per uno studio ed un lavoro forzosi, garantisca effettivamente un'esistenza più lunga e serena rispetto al vivere "soli" 45-50 anni in libertà, immersi nella pace e nella bellezza della natura... ma per il momento lasciamo stare.

Trattamenti analoghi a quelli dei boscimani sono stati riservati dai membri delle civiltà “avanzate” anche alle altre popolazioni di cacciatori-raccoglitori sparse per le foreste del mondo. 

Ad esempio, negli ultimi 50 anni, alla tribù degli Hadza sono state sottratte ben il 90% delle loro terre d'origine e ormai, dopo aver subito numerose pressioni volte a farli stabilizzare, soltanto 400 di essi continuano lo stesso a vivere di caccia e raccolta, dedicando, nonostante tutto, soltanto 14 ore a settimana a quello che si potrebbe definire “lavoro”.

Ciò che accade quando alle popolazioni indigene vengono imposte la “civilizzazione” ed il “progresso” secondo la concezione occidentale, è a dir poco sconvolgente: la loro salute ed il loro generale benessere psico-fisico precipitano, i livelli di depressione salgono, così come le dipendenze, l’obesità, le malattie ed i suicidi.

Paradossalmente, se messi a confronto con i loro compagni forzosamente “civilizzati”, gli indigeni che continuano a vivere liberamente secondo la loro cultura, godono di una qualità di vita di gran lunga migliore, perfino rispetto a quella dei milioni di poveri marginalizzati nelle città o dei lavoratori sfruttati nell'odierna società capitalistica.

Ciò che fa precipitare nella miseria esistenziale le popolazioni di cacciatori-raccoglitori, sia da un punto di vista fisico che mentale, non è la loro presupposta “arretratezza” ma il sistematico furto delle terre da essi subito. 

L’evidenza empirica, infatti, mostra che fin quando i cacciatori-raccoglitori possono mantenere il controllo della loro alimentazione e dello stile di vita, disponendo liberamente della terra, essi godono di ottima salute.

Una dieta varia e naturale combinata con una quotidiana attività fisica, fa in modo che i valori di colesterolo e pressione sanguigna siano molto più bassi rispetto a quelli degli occidentali. Obesità, diabete e ipertensione sono praticamente sconosciuti, così come i tumori.

Il loro principale problema riguarda le malattie contro cui non hanno rimedi efficaci, in particolar modo quelle di tipo infettivo. Le patologie degenerative, però, sono assai rare, così come i problemi cardiovascolari.

Di norma, gli adulti si mantengono in forze e rimangono vigorosi per tutto il resto della loro vita, fin quando non sopraggiunge un peculiare processo d'invecchiamento, molto più rapido rispetto a quello che si verifica nelle società "avanzate", che li accompagna in breve tempo alla morte.

Ciò accade perché l'aspettativa di vita dei cacciatori-raccoglitori tende a coincidere con l'aspettativa di vita sana, cosa che invece non si verifica nei Paesi industrializzati. 

Ad esempio, oggi, in Italia, la speranza di vita alla nascita è di 80,3 anni per gli uomini e di 84,6 anni per le donne, ma la speranza di vita in buona salute, ovvero il numero di anni che una persona può aspettarsi di vivere prima di diventare malato cronico o disabile, è di soli 59,2 anni per gli uomini e di 57,3 anni per le donne.

Ciò significa che gli italiani dovranno “vivere” da malati per 21,1 anni, se sono uomini, e 27,3 anni, se sono donne. Un gran bell'affare, per le case farmaceutiche. 

Se consideriamo che convivere con una malattia cronica e/o invalidante non sia poi così divertente, e che l'aspettativa di vita dei cacciatori-raccoglitori coincide quasi con l'aspettativa di vita sana, ci rendiamo conto che lo scarto effettivo tra la durata di vita dei membri delle società "avanzate" e gli "arretrati" componenti delle società acquisitive, si riduce ancor più rispetto a quanto si è comunemente abituati a pensare.

Onestamente, mi resta davvero difficile credere che i cacciatori-raccoglitori del passato, disponendo di un analogo bagaglio culturale-tecnologico rispetto a quello dei boscimani ma di un ambiente decisamente più ampio, florido e accogliente rispetto ad una zona desertica, possano aver sperimentato condizioni di vita peggiori rispetto ad oggi.

Osservando gli odierni cacciatori-raccoglitori, la narrazione dominante, che descrive la passata esistenza dei lontani antenati umani come una continua, brutale e disperata lotta alla sopravvivenza, in cui si moriva come mosche, senza neanche raggiungere i 30 anni, e si doveva impiegare tutto il tempo alla disperata ricerca di cibo, sotto la costante spinta del morso della fame... è quanto di più ridicolo si possa sostenere.

Sulla base di studi scientifici effettuati sulle odierne popolazioni acquisitive “pure”, ovvero quelle che non sono state influenzate dalla tecnologia e dalla cultura occidentale (Kung, Ache, Agta, Hadza, Hiwi), è emerso un modello di aspettativa di vita del tutto peculiare così caratterizzato: il tasso di mortalità alla nascita è molto elevato, ma diminuisce fortemente durante l'infanzia e nella fase adolescenziale, fino a stabilizzarsi per tutta l'età adulta. Oltre i 40 anni, la mortalità ricomincia a salire. 

Più precisamente, da un punto di vista quantitativo: il 57% dei bambini raggiunge il 15-esimo anno di età; il 64% di chi supera l'adolescenza raggiunge i 45 anni di età; una volta raggiunti i 45 anni, l’aspettativa di vita media è di circa 20,7 anni.   

L'età modale della morte riferito all'età adulta (>15 anni), vale a dire il valore che si presenta con maggior frequenza nella distribuzione scartando i dati relativi a bambini e adolescenti, è di poco superiore ai 70 anni. 

Si tenga conto che questi dati si riferiscono a popolazioni che ignorano anche le più rudimentali procedure igieniche e che non dispongono di alcun supporto medico.

Sarei veramente curioso di vedere che cosa accadrebbe se si fornisse ad una popolazione di cacciatori-raccoglitori un'ampia ed incontaminata riserva con abbondanza di cibo, sia in varietà che in quantità, e se, al contempo, li si educasse all'igiene e gli si fornisse assistenza medica, soltanto in caso di reale necessità. 

Sono pronto a scommettere che, in media, vivrebbero più a lungo e con un vigore fisico assai maggiore rispetto ai cittadini del Principato di Monaco, i quali, ad oggi, vantano l'aspettativa di vita più elevata al mondo (circa 90 anni).

In ogni caso, la logica suggerisce che i cacciatori-raccoglitori di un tempo, posti nel loro ambiente originario, senza pressioni ambientali dovute alla scarsità di cibo, lavorassero ancor meno e vivessero più a lungo rispetto agli odierni boscimani, e non il contrario, come invece vorrebbero farci intendere.

Per giunta, la relativa abbondanza, avrebbe anche scongiurato i conflitti tra i vari gruppi di cacciatori-raccoglitori, i quali, in assenza di scarsità e di dinamiche di accumulazione, non avrebbero neanche avuto motivazioni ragionevoli per mettersi a combattere con i propri simili rischiando la vita per accaparrare del cibo in eccesso, che poi sarebbe inevitabilmente finito per marcire.

L'abbandono dello stato di natura

Ad un certo punto della storia, però, dopo centinaia di millenni di anni di caccia e raccolta, e forse ancor prima di solo frugivorismo, avvenne una transizione progressiva verso l'agricoltura e l'allevamento.

Le cause di questo cambiamento non sono del tutto chiare.

Si è sempre ritenuto che fosse l'introduzione dell'agricoltura ad aver consentito l'esplosione demografica dell'Homo Sapiens, ma ultimamente questa versione dei fatti è stata rimessa in discussione invertendo il nesso causale. 

In altri termini, siccome l'agricoltura consente di sfamare un maggior numero di persone rispetto alla caccia e alla raccolta, c'è chi ha ipotizzato che la transizione sia avvenuta in seguito a pressioni demografiche, e non il contrario. 

Da un punto di vista empirico, l'inversione causale tra avvento dell'agricoltura ed espansione demografica è supportata da recenti studi scientifici, che hanno messo in evidenza come, in realtà, l'incremento demografico sia avvenuto subito dopo la fine dell'ultima grande glaciazione, quando ancora l'umanità non coltivava la terra. 

In ogni caso, è noto che la suddetta transizione avvenne a discapito della qualità di vita degli esseri umani. 

La narrazione progressista secondo cui il passaggio all'agricoltura avvenne perché quest'ultima consentiva di migliorare l'esistenza degli individui è in contrasto con le evidenze empiriche a nostra disposizione. 

Gli scheletri rivenuti in Grecia e in Turchia mostrano che, verso la fine delle ere glaciali, l’altezza media dei cacciatori-raccoglitori era superiore al metro e 75 cm per gli uomini, mentre le donne  misuravano in media un metro e 65 cm; ma con l’adozione dell’agricoltura, la statura media crollò, tanto che verso il 3.000 a.C. aveva raggiunto una quota di soli 160 cm per gli uomini e di 152 cm per le donne.

Successivamente l'altezza media riprese ad aumentare, ma per superare i valori dei cacciatori-raccoglitori si dovette aspettare l'epoca moderna. 

È noto che all'aumentare delle generali condizioni di benessere si verifichi un incremento della statura, e viceversa. I fattori determinanti per il raggiungimento di una maggiore altezza media sono intimamente legati a miglioramenti in fatto di nutrizione, salute e qualità della vita.

Le prove a supporto di questa teoria sono numerose e possono essere facilmente individuate nella storia dell'umanità. 

Ad esempio, i sopravvissuti alla Peste nera, godettero di un lungo lasso di tempo in cui le condizioni di vita erano nettamente migliori rispetto al passato; di conseguenza la loro statura media aumentò rispetto a chi li precedette.

Si consideri che dall'inizio del Novecento c'è stato un incremento dell'altezza media di 3-5 cm in gran parte d'Europa. I 18enni italiani di oggi hanno raggiunto i 178 centimetri in media, mentre i loro coetanei di 100 anni fa misuravano appena 165 centimetri.

Un altro esempio significativo, che testimonia la diminuzione della qualità di vita degli agricoltori nella fase di transizione, è rappresentato dall'analisi di circa 800 scheletri riesumati dai tumuli funerari nelle valli dei fiumi Illinois e Ohio, due tra i principali affluenti del Mississippi.

In quella zona del mondo, verso il 1150 a.C., i cacciatori-raccoglitori diedero il via alla coltivazione estensiva di mais, pagando un prezzo in termini salutistici.

In confronto ai loro predecessori, infatti, gli agricoltori manifestavano un 50% in più di difetti nello smalto dei denti (ipoplasia), che rappresenta un chiaro segnale di malnutrizione e malattie subite nell'età infantile, durante il periodo di sviluppo delle corone dentali;

inoltre, si riscontrarono un incremento di 4 volte dell’anemia da carenza di ferro, testimoniata dalla presenza di iperostosi porosa, e di 3 volte delle lesioni ossee dovute a malattie infettive;

per finire, vi fu anche un aumento delle condizioni degenerative della colonna vertebrale, probabilmente causato da modalità di lavoro eccessivamente dure, legate alle attività svolte nei campi.

La riprova che le nuove condizioni di vita, caratterizzate da carenze nutrizionali, maggiori sforzi fisici e malattie, stessero minando la salute dei novelli agricoltori, si ha analizzando l'aspettativa di vita delle popolazioni di quell'epoca che diminuì di circa 7 anni, passando dai 26 anni delle comunità pre-agricole ai 19 anni di quelle agricole.

Abbiamo già ricordato come gli odierni boscimani che vivono di caccia e raccolta lavorino di meno rispetto ai loro vicini contadini, ottenendo per giunta una dieta più ricca, varia e proteica. 

Ed è ragionevole pensare che qualcosa di analogo accadde anche 10.000 anni fa, quando l'agricoltura iniziò a diffondersi, dato che le conoscenze erano scarse, se comparate con quelle odierne, e i mezzi per lavorare la terra risultavano piuttosto rudimentali.

Ci sono degli ulteriori elementi di riflessione che aiutano a comprendere perché la transizione verso l'agricoltura fu dannosa per i cacciatori-raccoglitori.

Se da un lato è vero che grazie all'agricoltura e ad un maggior lavoro si riuscì a sfamare un sempre più grande numero d'individui che iniziarono a vivere in modo stanziale, dall'altro è altrettanto vero che ciò avvenne a scapito della qualità alimentare.

Mentre i cacciatori-raccoglitori si nutrivano di un vasto numero di erbe, frutti, tuberi e animali selvatici, gli agricoltori si concentrarono sulla produzione di poche monocolture. 

Così facendo, però, l'alimentazione s'impoverì. 

Si tenga presente che, ancora oggi, gli alimenti più consumati al mondo sono riso, grano e mais, ma se ci si nutrisse solo di essi, anche in gran quantità, si andrebbe lo stesso incontro a importanti carenze nutrizionali.

Inoltre, l'agricoltura esponeva i contadini al rischio di carestie, dato che se, per qual si voglia motivo (si pensi al maltempo), il raccolto fosse andato perduto, non si avrebbe avuto cibo a sufficienza per sfamarsi.

È altresì noto che le monocolture impoveriscono i terreni, oltre a rendere più vulnerabili i raccolti, in particolar modo nei confronti degli attacchi dei parassiti.

Tutto ciò minava la complessiva sicurezza alimentare.

Non a caso il problema delle carestie perseguitò l’umanità per tutti i secoli che seguirono l’introduzione dell’agricoltura, continuando a mietere vittime fino ad oggi, in particolar modo nei Paesi in via di sviluppo.

È curioso osservare come lo stile alimentare dei cacciatori-raccoglitori, tipicamente caratterizzato da una grande varietà di cibo tratto da un ambiente con colture non intensive e fortemente diversificate, fornisse loro una sorta di protezione naturale dalle carestie, mentre ancora nel 1845, in Irlanda, un milione di persone moriva di fame, mentre un altro milione migrava all'estero, perché all'improvviso si diffuse un fungo che ridusse le patate coltivate in un ammasso marcescente immangiabile.

Il peculiare stile di vita dei cacciatori-raccoglitori non li proteggeva soltanto dalle carestie, ma anche dalle epidemie; queste ultime, infatti, quando le popolazioni erano sparse in piccoli gruppi che si spostavano alla ricerca di cibo, non riuscivano a diffondersi.

Con l'avvento dell'agricoltura, invece, ed ancor più dell'allevamento, crebbero da un lato le malattie, molte delle quali vennero trasmesse agli umani proprio dagli animali allevati, e dall'altro s'incrementò anche la concentrazione demografica.

Vivendo a stretto contatto con il bestiame, le generali condizioni igieniche peggiorarono. Al contempo, la costruzione di comunità stanziali, anche di grandi dimensioni, che intrattenevano sistematicamente commerci con altre città, più o meno affollate, rappresentava un perfetto vettore per la diffusione di parassiti e malattie infettive.

Tutte queste circostanze furono esiziali in un gran numero d'occasioni: con la rivoluzione agricola si verificarono anche le prime epidemie di tubercolosi e di diarrea; con la costruzione delle grandi città si manifestarono la peste e il morbillo.

Tutto ciò avvalora le tesi dell'abbandono forzoso dello stile di vita basato sulla caccia e la raccolta dovuto alla crescente pressione demografica, piuttosto che una transizione volontaria basata sui presunti vantaggi legati all'agricoltura.

Del resto, per quale motivo si dovrebbe scegliere di lavorare di più, peggiorando la qualità della dieta ed il livello di sicurezza alimentare, se non si fosse, in qualche modo, costretti a farlo?

L'inizio della disuguaglianza sociale

Come se non bastasse, l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento non comportò soltanto un incremento dell'orario di lavoro, una diminuzione dell'aspettativa di vita e dell'altezza media, esponendo gli esseri umani a malnutrizione, epidemie e carestie, ma diede anche origine ad un'altra piaga sociale, da cui l'umanità non è ancora riuscita a liberarsi: quella della stratificazione sociale.

Dopo aver vissuto per millenni e millenni in società fortemente egualitarie, basate sulla cooperazione e la condivisione, cominciarono a formarsi per la prima volta classi d'individui parassitarie, che si assicuravano condizioni di vita più elevate rispetto a quelle dei loro simili. Come? Sfruttando il lavoro altrui.

Dall'analisi dei reperti recuperati nelle tombe greche, emerge che l'élite vissuta nel 1500 a.C. godeva di un'alimentazione qualitativamente superiore rispetto ai comuni cittadini, dato che i loro scheletri misuravano dai 5 ai 7,5 cm in più ed avevano denti migliori.

Analoghe condizioni sussistono anche per le mummie ritrovate in Cile, dove gli scheletri dei più benestanti mostravano un tasso di lesioni ossee dovute a malattie infettive 4 volte inferiore rispetto agli altri cittadini. 

Ciò mostra come con l'avvento dell'agricoltura un piccolo gruppo d'individui migliorò la propria condizione di vita, mentre la restante parte della popolazione la peggiorò.

Per spiegare questo cambiamento di organizzazione sociale bisogna comprendere che il passaggio dalla caccia e la raccolta all’agricoltura e l’allevamento comportò anche una trasformazione del livello di pensiero.

I cacciatori-raccoglitori si sentono parte di un tutto e traggono nutrimento da ciò che la natura dona spontaneamente. Nel loro modo di vivere non c'è un rapporto di dominio, né verso la natura, né verso i propri simili. 

Siccome il cibo è già a loro disposizione e non bisogna lavorare per produrlo, quando vi è abbondanza, se ciascuno contribuisce alla comunità in base alle proprie capacità, non c'è alcun motivo di conflitto sociale, né ragioni per non condividere con gli altri ciò di cui si dispone.

Gli agricoltori, invece, iniziano a comprendere di poter dominare la natura. In particolare, il cibo da cui traggono nutrimento dipende direttamente dalle fatiche messe in atto per produrlo. 

Per ottenere del cibo c'è bisogno di appropriarsi ed accudire un pezzo di terreno. Inoltre, una volta che il raccolto è giunto a maturazione, bisogna difenderlo dalle eventuali razzie di chi non ha contribuito alla produzione ma vuole lo stesso entrarne in possesso. 

Così facendo viene alla luce un nuovo elemento di conflitto sociale, che si acuisce ancor più in caso di scarsità: il cibo coltivato non è più di tutti, in quanto messo a disposizione di tutti dalla natura, ma appartiene a chi ha contribuito a produrlo, a chi lo ha difeso, o a chi ha avuto l'astuzia o la forza per ottenerne il controllo.  

Ed ecco che l'essere umano si estrania dal tutto e adotta una visione dualistica, tra sé e ciò che percepisce come altro rispetto a sé. 

Il pensiero muta e diviene il seguente: così come la natura può essere sfruttata per raggiungere i miei fini, anche gli altri esseri viventi possono essere assoggettati alla mia volontà.

Il modo di rapportarsi si trasforma e diviene un rapporto di dominio, basato sull'esercizio del potere. 

Come la stratificazione sociale avvenne, e perché un'élite di parassiti non produttivi salì al vertice della piramide sociale, assicurandosi dei privilegi, non è affatto chiaro. 

È possibile che la nuova esigenza di difendere i raccolti e le mandrie abbia dato origine ad una sorta di esercito, che, per forza di cose, dovette essere mantenuto dalla collettività, e che, al contempo, i più scaltri abbiano fiutato la possibilità di non lavorare, vivendo a spese degli altri, con la scusa di coordinare l'azione sociale e/o d'incrementare la resa dei terreni invocando i presunti poteri di qualche spirito/divinità.

Resta il fatto, che i ruoli si diversificarono e, a differenza di quanto avveniva nelle società dei cacciatori-raccoglitori, ciò comportò un'iniqua distribuzione della ricchezza.

Non a caso l'indice di Gini salì, fino a raggiungere una media di 0,27, per le piccole comunità di orticoltori, e di 0,35, per le società più grandi basate sull'agricoltura. 

Nei periodi successivi ebbe luogo un fenomeno curioso: mentre nel Nuovo Mondo raramente l'indice di Gini superava quota 0,3, nel Vecchio Mondo si raggiunsero anche dei picchi di 0,59. 

Ciò significa che le popolazioni del Vecchio Mondo videro crescere maggiormente la disuguaglianza sociale rispetto ai popoli del Nuovo Mondo.

Uno dei motivi che contribuì a questa diversificazione risiede nella domesticazione dei grandi animali da soma, che, a differenza di quanto avvenne in America, nel Vecchio Mondo furono largamente utilizzati per il lavoro nei campi, per gli spostamenti di esseri umani, animali, merci e per combattere le guerre.

Si pensi solo che quando gli europei sbarcarono in America alla fine del XV secolo, non vi trovarono alcun cavallo, in quanto le specie autoctone si erano estinte già da molto tempo: furono gli spagnoli a reintrodurli, ripopolando l'intero continente.

Così facendo, mentre nel Vecchio Mondo, grazie all'impiego degli animali lo sfruttamento della terra si intensificava, gli appezzamenti di terreno coltivati divenivano sempre più ampi, vi era un minor bisogno di forza lavoro umana per lavorare i campi, gli scambi commerciali si accrescevano e i guerrieri disponevano di mezzi d'offesa assai efficaci, nel Nuovo Mondo il progresso socio-economico raggiunse una sorta di plateau e con esso si stabilizzò anche l'incremento del divario sociale.

In altre parole, la domesticazione degli animali da soma agì come elemento amplificante: da un lato, consentì ai ricchi di accrescere le possibilità di controllo mediante l'esercizio del potere, e quindi di arricchirsi ulteriormente, dall'altro, fece impoverire ancor più i poveri, ai quali vennero progressivamente sottratte le risorse necessarie al loro sostentamento, fin quando non vennero a crearsi intere classi d'individui senza terra, i cui membri per sopravvivere erano costretti a lavorare per conto di altri.

Ai lettori più giovani suonerà strano, ma nel mio paese natio, in Umbria, fino agli anni '70 del Novecento, c'erano delle persone nullatenenti che lavoravano "sotto padrone", vale a dire per conto di proprietari terrieri; il loro compito era quello di coltivare la terra e accudire il bestiame del padrone, in cambio di vitto, alloggio e poco più.

Non bisogna dimenticare che la pratica della schiavitù proliferò proprio con l'avvento dell'agricoltura, divenne comune nei Secoli bui e perdurò per tutto il Medioevo. Com'è facilmente intuibile, ciò fece decollare l'indice di Gini.

Anche la formazione di una classe di guerrieri e l'accrescersi dei conflitti armati contribuirono all'aumento del divario sociale, perché a ben pensare la guerra può essere intesa come un meccanismo di redistribuzione della ricchezza a vantaggio dei pochi e a danno dei molti. 

L'indice di Gini nel mondo

C'è da dire che, in tempi recenti, alcune nazioni del Nuovo Mondo si sono date un bel da fare per accrescere la loro ricchezza e per incrementare il divario sociale.

Stando alle valutazioni della società finanziaria Allianz, contenute nel rapporto Global Wealth Report 2017, negli Stati Uniti il coefficiente di Gini (calcolato valutando gli asset finanziari netti) era pari a 0,81, mentre in Italia il medesimo indice raggiungeva un valore di 0,58.

Ciò significa che, da questo punto di vista, gli U.S.A. detengono l'attuale record mondiale per la più ampia disuguaglianza di ricchezza, mentre gli italiani di oggi sperimentano un divario sociale comparabile a quello raggiunto dalla società più diseguale che vi sia mai stata nella storia del Vecchio Mondo.

Focalizzando l'analisi sugli ultimi due secoli, si può osservare come, a livello globale, se si guarda alla distribuzione dei redditi, la disuguaglianza sociale sia aumentata in modo considerevole.

Da un punto di vista numerico, il coefficiente di Gini è cresciuto dallo 0,43 del 1820 allo 0,65 del 2013, facendo registrare degli accrescimenti progressivi fino agli anni Ottanta del Novecento quando, dopo aver raggiunto un picco massimo prossimo allo 0,80 si è verificata un’inversione di tendenza.

Questo fenomeno è complessivamente attribuito alle politiche di alcuni Paesi in via di sviluppo (in particolar modo all'azione della Cina), che hanno incrementato i redditi di centinaia di milioni di poveri facendoli uscire dalla soglia di povertà. 

Ovviamente, le dinamiche a livello nazionale differiscono profondamente da quelle globali, variando sensibilmente a seconda del contesto. 

Ad esempio, la Cina, pur essendo il Paese che ha sottratto dalla povertà assoluta il maggior numero di poveri, è anche la nazione che nel periodo che va dal 1985 al 2015 ha fatto registrare il maggior incremento dell'indice di Gini calcolato relativamente al reddito disponibile, vale a dire rispetto al reddito effettivo a disposizione di ogni individuo a seguito della tassazione e dei contributi dovuti ed erogati dallo Stato (+ 0,20). Seguono la Russia (+ 0,12), l'Indonesia (+ 0,10), il Bangladesh (+ 0,08) e la Nigeria (+ 0,05).

Evidentemente in Cina l'élite si è arricchita molto di più di quanto non abbiano fatto i milioni di poveri usciti dalla soglia di povertà. In altri termini, i benefici dovuti allo sviluppo economico non sono stati affatto condivisi in modo equo con tutta la popolazione (alla faccia del comunismo!). 

In Italia, invece, è stata proprio la tanto odiata tassazione a contenere l'incremento della disuguaglianza sociale. 

Per comprenderlo, è sufficiente sapere che nel periodo che va dal 1980 al 2005, l'indice di Gini riferito al reddito lordo è salito da 0,42 a 0,56, mentre il medesimo coefficiente riferito al reddito netto è aumentato soltanto di qualche centesimo, passando da 0,31 a 0,34. 

Analoghe dinamiche sono accadute anche in Francia ed in Germania, le quali rispetto all'Italia sono riuscite a redistribuire ancor meglio la ricchezza prodotta, dato che nel 2010 il loro indice di Gini relativo al reddito disponibile era prossimo allo 0,30.  

Se ne deduce che in quei Paesi l'aumento della pressione fiscale ha contribuito al riequilibrio sociale della ricchezza prodotta. 

Ciò nonostante, l'attuale governo italiano ha inserito nel suo programma la “flat tax” (tassa piatta), che prevede un'aliquota unica del 15-20%, così da poter abbassare notevolmente le tasse ai ricchi a nocumento dei poveri, esattamente in un periodo storico in cui, al contrario, bisognerebbe sottrarre ricchezza e profitti ai ricchi, per fare in modo che i poveri non siano più tali. 

La cosa interessante da osservare è che tale proposta sia stata avanzata esattamente da quelle forze politiche che si autodefiniscono, e che vengono definite, come “populiste”, inscenando l'ennesimo inganno per continuare a servire gli interessi dei ricchi con il consenso dei poveri (chapeau!).  

Attualmente, a livello europeo, l’Italia occupa la ventesima posizione su 28 nella classifica della disuguaglianza, facendo registrare un coefficiente di Gini pari a 0,331. Tra i Paesi più diseguali troviamo: Romania (0,383), Bulgaria (0,347), Spagna (0,345), Grecia (0,343) e Portogallo (0,339).

Al lato opposto della classifica, vale a dire tra i Paesi più egualitari, ci sono: Slovacchia (0,243), Slovenia (0,244), Repubblica Ceca (0,251), Finlandia (0,254) e Belgio (0,263).  

A livello mondiale, gli Stati con un minor divario sociale (indice di Gini compreso tra 0,25 e 0,3) sono i Paesi scandinavi, la Germania e i già citati Paesi dell’est (Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca). Nel resto del mondo, tra le economie “avanzate”, simili valori sono raggiunti solo in Giappone.  

Stati Uniti e Russia oscillano nella banda che va da 0,40 a 0,45, mentre la Cina ha un valore per l'indice di Gini compreso tra 0,45 e 0,50. 

Tra i Paesi con il più alto indice di concentrazione della ricchezza citiamo Bolivia e Colombia, in Sud America, con valori compresi tra 0,55 e 0,60, oltre a Namibia, Botswana e Sud Africa, in Africa, con valori che oscillano tra 0,60 e 0,66. 

Conclusioni

In ogni caso, dopo l'avvento dell'agricoltura, nessun Paese al mondo è più riuscito a redistribuire la propria ricchezza in modo così equo ed egualitario come invece avveniva, in modo spontaneo, nelle “arretrate” tribù di cacciatori-raccoglitori.

Di certo, il verificarsi di epidemie e carestie, lo sfruttamento indiscriminato di esseri umani, animali e risorse ambientali, così come la stratificazione ed il divario sociale, non possono essere considerati come un qualcosa di positivo. 

Molte delle piaghe sociali nate 10.000 anni fa, non appena l'umanità abbandonò la caccia e la raccolta, sono presenti ancora oggi a tormentare le esistenze degli esseri umani e sembra quasi che gli individui non riescano nemmeno a concepire un modo per liberarsene, nonostante le soluzioni esistano e siano del tutto evidenti. 

Negli ultimi decenni, le condizioni di vita dei membri dei Paesi più "sviluppati" sono sensibilmente migliorate, ma non bisogna dimenticare che ciò vale soltanto per una minoranza della popolazione mondiale. 

Milioni di persone, oggigiorno, soffrono atrocemente a causa della povertà e della malattia, e tanti altri ancora conducono delle non-esistenze a causa del loro sfruttamento quotidiano e di vari malesseri esistenziali tipici della modernità, del tutto sconosciuti tra le popolazioni che vivono a stretto contatto con la natura.

Senza contare che il cosiddetto “benessere” dei membri delle società più “avanzate” è stato ottenuto a caro prezzo: quello della devastazione ambientale.

Mentre i cacciatori-raccoglitori sono sopravvissuti per migliaia e migliaia di anni, senza produrre alcun tipo d'inquinamento e di disastro ambientale, e avrebbero potuto continuare a fare altrettanto per milioni di anni, i membri della cosiddetta "civiltà", in brevissimo tempo, hanno creato le condizioni per il declino dell'umanità. 

Dopo aver causato morte, dolore e distruzione a non finire, in poco più di un secolo, con la moderna società dei consumi, gli esseri umani sono addirittura riusciti ad innescare quella che gli scienziati non hanno esitato a definire come la sesta estinzione di massa.

E mentre nel mondo si continua a lottare per accaparrarsi le risorse da impiegare per sostenere un'economia mortifera, ipertrofica e predatrice, aria, acqua e terra cominciano ad essere inquinate a tal punto da provocare le più terribili malattie. 

L'ecosistema è così stravolto che non è affatto chiaro per quanto tempo ancora la natura consentirà all'umanità di perseverare nella sua ordinaria follia.

Ma non c'è niente da fare, perché l'essere umano è insensibile perfino al male che con i suoi comportamenti sta arrecando a se stesso e a tutti gli altri esseri viventi, e invece di apprendere la lezione ed invertire la rotta, procede a passo spedito verso la completa rovina. 

In tal senso, si può affermare che l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento, lungi dall'aver gettato le basi per un sano progresso, sancì l'inizio del declino della civiltà. 

Chissà come sarebbe andata la storia dell'umanità, se invece di cominciare a coltivare la terra e a dominare gli animali, gli esseri umani avessero continuato a vivere di caccia e raccolta?

In fin dei conti, per migliorare drasticamente le loro condizioni di vita, i cacciatori-raccoglitori non avrebbero dovuto far altro che aumentare il numero delle piante da frutto e smettere di uccidere gli animali... ed ecco che avrebbero ottenuto una completa armonia con tutti i viventi.

Mirco Mariucci


Fonti
Cacciatori-raccoglitori VS agricoltori-allevatori
  1. Le disparità economiche risalgono al Neolitico. Le Scienze, 16 novembre 2017.
  2. Researchers chart rising wealth inequality across millennia. Washington State University. Eric Sorensen, 15 novembre 2017. 
  3. How taming cows and horses sparked inequality across the ancient world. Scienze Magazine, Lizzie Wade, 15 novembre 2017. 
  4. Le disuguaglianze tra gli uomini sono partite con l'introduzione dell'agricoltura. Evolutamente.
  5. La felicità? La conoscono meglio coloro che vivono di sussistenza. Evolutamente.
  6. L'Agricoltura è sempre un vantaggio? Il terzo scimpanzé, Jared Diamond, Bollati Boringhieri, 1994.
  7. Il peggior sbaglio nella storia della razza umana. Jared Diamond, 1987. (Fonte alternativa 1, 2).
  8. Le Società dell’Eguaglianza e la Distribuzione Egualitaria del Sociopotere. L'Anarco-Antropologo.
  9. Cacciatori-raccoglitori, società di. Treccani.
  10. La timeline dell'evoluzione dell'uomo. Focus, 10 settembre 2015.
  11. Il popolo San. Exploring Africa.
  12. Gli Hadza. Survival.
  13. Hadza: gli ultimi cacciatori-raccoglitori. Terra Nuova, 17 Gennaio 2013.
  14. Il progresso può uccidere. Rapporto Survival. 
  15. Imporre ai popoli indigeni lo “sviluppo” e il “progresso” non contribuisce a renderli più felici né più sani. 
  16. Gli ultimi cacciatori-raccoglitori ci mostrano il valore dell’esercizio fisico. Green Report, 25 novembre 2016.
  17. L’ambiente e le forme di società. Gabriela Giudici, 13 febbraio 2017. 
  18. Nutrire il pianeta: a tavola con i cacciatori-raccoglitori. Fiore Longo, 8 settembre 2017.
  19. Il ruolo delle storie nell'evoluzione sociale. Le Scienze, 05 dicembre 2017.
  20. I cantastorie facevano più figli: come le narrazioni ci hanno reso umani. La Mela di Newton, Andrea Meneganzin.
  21. Italiani: vita lunga, salute breve. True Numbers, 10 ottobre 2017.
  22. Altro mito da sfatare: i cacciatori-raccoglitori vivevano 30 anni. Evolutamente. 
  23. Un boom demografico prima dell'avvento dell'agricoltura. Le Scienze, 19 ottobre 2012. 
  24. Gli uomini saranno sempre più alti? Www.Pazienti.it, Paolo Patè, 20 maggio 2015.
  25. Altezza nel mondo, come è cambiata nell’ultimo secolo. Wired, Giulia Annovi, 26 luglio 2016.
  26. Cos'è l'ipoplasia dello smalto dei denti. Www.Odontoiatria.it.
  27. Riso, frumento e mais: gli alimenti più consumati al mondo. Www.cucinare.it, 18 agosto 2015. 
  28. Gli indiani, il cavallo e altri animali. Www.Farwest.it.
Coefficiente di Gini
  1. Il coefficiente di Gini. Repubblica, Piergiorgio Odifreddi, 5 ottobre 2016. (Fonte alternativa 1).
  2. La politica che aiuta i ricchi. Repubblica, Carlo Clericetti, 7 ottobre 2016. 
  3. La disuguaglianza nel mondo e in Italia. Dati, cause e soluzioni. Lenius, Matteo Margheri,  8 marzo 2018. 
  4. La mappa mondiale della concentrazione della ricchezza. Termometro politico, Alessandro Faggiano, 21 gennaio 2017.
  5. Tackling global inequality through research. Northwestern, 21 giugno 2016. 
  6. Le diseguaglianze crescono in Europa: l'Italia va anche peggio. La città futura, Ascanio Bernardeschi, 23 dicembre 2017.
  7. Si allarga nel mondo la forbice tra ricchi e poveri. Repubblica, 27 giugno 2016.
  8. Istat, in 20 anni disuguaglianza in Italia è aumentata più che in ogni altra nazione Ocse. Green Report, Luca Aterini, 20 maggio 2016.
  9. Quanto siamo disuguali: Italia vs. Ocse. Il Conformista, 16 settembre 2014.
  10. Disuguaglianza, la Cina batte tutti nonostante il super deficit (l’Italia invece no). Il Sole 24 Ore, Maurizio Sgroi, 26 aprile 2017.
  11. Allianz Global Wealth Report 2017. Economic Research.

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