Scarica le Opere di Mirco Mariucci



martedì 11 settembre 2018

La verità è che se i ricchi non fossero ricchi, non esisterebbe più la povertà.


Approfondimento sulla distribuzione della ricchezza in Italia e nel mondo.

Se mi chiedessero d'individuare un indicatore tra tutti per far comprendere l'enorme ingiustizia che caratterizza l'odierna società, risponderei al seguente modo: osservate com'è distribuita la ricchezza economica. 

Stando ai resoconti rilasciati dall'organizzazione no profit Oxfam, attualmente, un piccolo gruppo formato da 42 persone detiene tanta ricchezza netta quanta ne possiede, nel suo complesso, la metà più povera della popolazione mondiale.

In tal senso, la somma delle disponibilità economiche di 3,7 miliardi di esseri umani equivale a quella posseduta da 42 singoli individui.

Ma il dato più eclatante è stato raggiunto nel 2016, quando il numero dei super-ricchi, con una ricchezza netta equivalente a quella del 50% più povero della popolazione mondiale, era pari a 8 persone. 

Se ciò non dovesse bastare, si potrebbe dare uno sguardo alla situazione patrimoniale, scoprendo che l'1% dei più abbienti detiene più ricchezza del restante 99% dell'umanità.

Qualcuno potrebbe pensare che l'attuale livello di disuguaglianza sociale, pur essendo molto elevato, sia ben inferiore rispetto a quello che caratterizzava le civiltà del passato. Ma le cose non stanno affatto così.

Disuguaglianza sociale dal 1300 ad oggi

Dalla ricostruzione della serie storica delle disuguaglianze sociali per il periodo che va dal 1300 ad oggi (progetto EINITE - Economic Inequality across Italy and Europe), emerge che i periodi più bui, per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza, fatta eccezione per la situazione attuale, si sono verificati alla vigilia della peste nera del 1348 e agli inizi del XX secolo, proprio a ridosso delle guerre mondiali. 

Prima che la peste imperversasse nel continente europeo, sterminando circa un terzo della popolazione, il 10% più benestante deteneva una quota di ricchezza pari al 66% del totale: un dato ben più egualitario rispetto alla situazione attuale.

Per giunta, l'avvento della peste inaugurò un lungo periodo di riduzione della disuguaglianza, favorendo una crescita dei salari reali e consentendo ad ampi strati di popolazione l’accesso alla proprietà privata.

Il motivo per cui ciò avvenne è presto detto: lo shock demografico causato dall'epidemia ruppe le dinamiche sociali e causò il frazionamento dei grandi patrimoni familiari, mentre il contemporaneo aumento dei salari diede modo a molte persone di acquistare nuove proprietà.

Sta di fatto, che in nessun periodo successivo al 1450 la società italiana ed europea raggiunsero più un così elevato livello di eguaglianza: in quel periodo, il 10% più ricco della popolazione deteneva meno del 50% della ricchezza complessiva, mentre il 50% più povero ne sommava l’11%.

Successivamente il divario riprese a crescere, superando il livello pre-peste già nel 1700; a non più di un secolo di distanza, nel 1800, il 10% dei più ricchi si era riappropriato del 77% della ricchezza totale.

La disuguaglianza continuò a salire fino a raggiungere un nuovo picco agli inizi del 1900, quando il 10% più ricco della popolazione possedeva ben il 90% della ricchezza complessiva.

Al termine delle grandi guerre la disuguaglianza sociale si ridusse, e continuò a farlo fino agli anni Ottanta, quando a livello mondiale il 10% più ricco deteneva il 59% della ricchezza complessiva.

Da quel momento, però, avvenne un'inversione di tendenza, che rigetto rapidamente l'umanità in una condizione di disuguaglianza ben peggiore di quella che fu raggiunta a ridosso della peste nera.

Nel 2010, infatti, il 10% più ricco della popolazione dell’Europa occidentale disponeva del 64% della ricchezza complessiva, mentre nel 2017 la medesima quota si era accresciuta fino a raggiungere l’86% del totale.

Ci si augura che, questa volta, per riprendere la strada dell'equità sociale e convincersi che sia giusto redistribuire la ricchezza, non si debba attendere l'avvento di un altro sterminio di massa.

Critiche ai rapporti Oxfam

Prima di procedere oltre, per una mera questione di onestà intellettuale, voglio informare il lettore che i rapporti Oxfam sono stati criticati per due motivazioni principali:

la prima, riguarda la fonte utilizzata per stimare gli averi degli uomini più ricchi, ovvero la classifica “The World’s Billionaires” redatta annualmente da più di 30 anni dalla rivista economico-finanziaria Forbes, la quale scaturisce da un'inchiesta giornalistica e non da un lavoro scientifico; 

la seconda, è inerente al metodo utilizzato per misurare le condizioni economiche, sostanzialmente basato sulla valutazione della ricchezza netta, cioè sulla differenza tra attivi e passivi. 

Così facendo si rischia d’inserire nelle fasce più povere della popolazione anche le persone indebitate, arrivando alla situazione paradossale in cui un nullatenente senza debiti risulterebbe più ricco di chi avesse contratto un debito più elevato rispetto al patrimonio posseduto.

Il problema sorge allorché ci si rende conto che essere indebitati non significa necessariamente essere poveri, perché magari l'investimento effettuato consente di onorare agevolmente il debito contratto mentre si conduce una vita agiata. 

Stando ai dati, si vede che il metodo adottato entra in crisi in alcuni dei Paesi più avanzati ed egualitari, come ad esempio la Danimarca, la quale, stando al rapporto Oxfam, sembrerebbe avere uno tra i più ampi divari sociali al mondo, nonostante gli altri indicatori relativi alla disuguaglianza sociale suggeriscano il contrario.  

L'accusa è quindi di utilizzare appositamente dei metodi che sovrastimino la povertà, peggiorando così il quadro generale. 

In tutta sincerità, mi sento di dire che le puntualizzazioni mosse sono (parzialmente) corrette ma la polemica è del tutto sterile. Cerchiamo di capire il perché.

In linea di principio, il fatto che un'indagine non sia scientifica non significa necessariamente che non sia accurata. Inoltre, se l'obiettivo consiste nell'analizzare una tematica di fondamentale importanza, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica, è sicuramente meglio adottare un metodo che sovrastimi la problematica in esame, invece di un altro che la sottostimi.

Del resto, già ai più non interessa praticamente nulla di chi è in difficoltà alla luce di dati eclatanti, figuriamoci cosa accadrebbe con dei dati oltremodo rassicuranti.

Ciò detto, non è affatto chiaro se l'argomentazione di chi sostiene che Oxfam sovrastimi il numero dei poveri sia valida. Infatti, per potersi indebitare bisogna dimostrare di essere in grado di onorare i debiti. 

Intuitivamente, ciò significa che sono i ricchi ad indebitarsi e non i poveri, ai quali nessuno presterebbe alcunché, per ovvie ragioni. Ciò significa che, all'accusa di una sovrastima dei poveri, si potrebbe contrapporre, in modo duale, l'accusa di una sottostima dei ricchi.

Sarei estremamente curioso di visionare gli esiti di un rapporto analogo a quello di Oxfam effettuato facendo finta che i debiti non esistano: scommetto che la distribuzione della ricchezza risulterebbe ancora peggiore rispetto a quanto non appaia considerando la ricchezza netta. 

E infatti non manca chi sostiene che vi sia il rischio che, in realtà, la ricchezza sia più concentrata persino di quanto denunciato da Oxfam.

Le critiche di metodo sopra riportate sono già state segnalate sia ai responsabili del rapporto Oxfam che ai curatori del rapporto Global wealth databook di Credit Suisse, sulla base del quale Oxfam elabora le sue conclusioni.

Dalle repliche emerge in modo chiaro che l'errore introdotto prendendo in considerazione la ricchezza netta non altera in modo sostanziale il quadro generale.

Infatti, quasi il 70% della metà più povera del pianeta (in termini patrimoniali) è costituito da cittadini che vivono in Paesi a basso reddito: ciò rende la categoria dei falsi poveri, altamente indebitati ma benestanti, numericamente trascurabile sulla scala demografica globale.

Inoltre, nella metà più povera del pianeta figurano soltanto un 8% di europei e un 1% di nordamericani, limitando così entro il 9% del totale gli individui appartenenti a quelle aeree geografiche in cui è più facile avere accesso al credito e indebitarsi.

Complessivamente, l’indebitamento del 50% più povero costituisce lo 0,4% della ricchezza globale netta e, pur ignorando completamente la componente negativa, il valore complessivo non raggiungerebbe l'1,4% del totale.

Inoltre, è stato calcolato che se non si prendesse in considerazione il debito dei più poveri al mondo, per eguagliare la ricchezza della metà più povera del pianeta basterebbe sommare gli averi delle 100 persone più ricche, o poco più.

Se ne deduce che includere le persone con ricchezza negativa può essere rilevante per alcuni specifici Paesi, come per il già citato caso della Danimarca, ma ha un impatto modesto per il calcolo della diseguaglianza globale.

Pertanto, la polemica montata contro i rapporti Oxfam rappresenta un classico caso in cui la pedanteria è più importante dell'umanità: che i ricchi a possedere il 50% della ricchezza dei più poveri siano 1, 10, 100 o 1.000, non fa alcuna differenza, in ogni caso la situazione sarebbe intollerabile.

Eppure, invece di prendere atto dell'eclatante iniquità e dell'innegabile ingiustizia oggi in essere, proponendo soluzioni concrete per rimediare ai disastri prodotti dall'odierna organizzazione sociale, c'è chi preferisce perdere il suo tempo con questioni di lana caprina.

Sempre più ricchi

Mentre miliardi di persone vivono in miseria, nel mondo, si contano 2.043 miliardari e il loro numero aumenta di un'unità ogni 2 giorni.

Se si considera che i due terzi della ricchezza dei miliardari più facoltosi non è frutto del loro lavoro ma, o viene ereditata, o deriva da rendite monopolistiche assicurate da rapporti clientelari, si scopre che l'idea dell'imprenditore scaltro, geniale e laborioso, che si è fatto da sé, è poco più che un mito legato a qualche caso aneddotico a cui i mass media danno ampio risalto.

I dati invece mostrano che la maggior parte dei miliardari si sono arricchiti senza aver nessun merito particolare, a meno che non si voglia classificare come “merito” l'esser nati in una famiglia ricca o l'avere “amicizie” altolocate che ricoprono le cariche che contano.

Al lato opposto della scala sociale, centinaia di milioni di persone sperimentano condizioni di povertà estrema: si tratta d’individui che non dispongono affatto, con grande difficoltà o in modo intermittente, di risorse primarie per l’esistenza, come ad esempio acqua, cibo, vestiario, cure mediche e un’abitazione.

Le disuguaglianze sociali sono ben percepite dalla popolazione, tanto che il 75% dei partecipanti ad un sondaggio, che ha coinvolto 70 mila persone in 10 Paesi di 5 continenti, ha sostenuto che il divario tra ricchi e poveri nella propria nazione fosse eccessivo.

Ma l'ingiustizia sociale dovuta ad un'iniqua ripartizione della ricchezza non è soltanto percepita: è reale. E sta peggiorando! 

Fatta eccezione per alcune realtà in controtendenza, di norma, nel mondo, la forbice sociale è andata allargandosi: basti sapere che attualmente 7 cittadini su 10 vivono in un Paese in cui la disuguaglianza di reddito è aumentata negli ultimi 30 anni.

Nel periodo compreso tra il 1980 e il 2016, circa il 27% dell'incremento del reddito globale è finito nelle tasche dell'1% più ricco, mentre il 50% più povero della popolazione ha dovuto accontentarsi soltanto del 12% di quell'incremento.

Ciò significa che 3,7 miliardi di persone hanno ricevuto meno della metà di quanto è fluito verso il vertice della piramide globale dei detentori di reddito, che è composto da non più di 75 milioni d'individui.

Da un punto di vista quantitativo, dal 1988 al 2013, il 10% dei percettori di reddito più poveri ha visto aumentare in media le proprie entrate di 217 dollari, contro i 4.887 dollari del 10% della fascia più ricca; ed è andata ancora meglio ai membri dell'élite costituita dall'1% dei più ricchi, che, nel periodo che va dal 1988 al 2011, si sono mediamente aggiudicati un incremento di reddito pari a 11.800 dollari. 

Ma la situazione più scandalosa ha avuto luogo di recente, nel periodo che va da marzo 2016 a marzo 2017, quando l’1% più ricco della popolazione è riuscito ad accaparrarsi l’82% dell’incremento della ricchezza netta di tutto il mondo, mentre ai 3,7 miliardi di persone più povere non è arrivato neppure un centesimo!

Scopriamo così che, a volte, l'economia cresce al sol fine di far arricchire i ricchi sfruttando il lavoro dei poveri, i quali, a dispetto della maggior ricchezza prodotta, perseverano nella loro condizione, senza migliorarla, pur contribuendo attivamente all'incremento della ricchezza mondiale.

Disuguaglianza sociale in Italia

Guardando alla situazione italiana i dati relativi alla forbice sociale sono migliori rispetto alla media mondiale, ma non per questo possono essere considerati soddisfacenti. 

Nel 2016, in Italia, l’1% più facoltoso della popolazione deteneva il 25% della ricchezza netta nazionale, mentre i primi 7 miliardari possedevano una ricchezza superiore a quella della fascia di popolazione composta dal 30% più povero. 

Nel 2017, il 20% più ricco degli italiani si era impossessato del 66,4% della ricchezza netta nazionale, il successivo 20% della popolazione ne controllava il 18,8%, lasciando così al 60% più povero appena il 14,8% della ricchezza nazionale.

Neanche a dirlo, più si sale nella scala sociale e più le differenze si accentuano: infatti, la fascia composta dal 5% dei più ricchi d'Italia detiene il 40% del totale, concentrando una ricchezza 44 volte superiore alla quota posseduta dal 30% più povero. 

Confrontando lo stato patrimoniale netto dell'1% più ricco degli italiani, che detiene il 21,5% del totale, con gli averi del 20% dei più poveri, si scopre che il rapporto sale vertiginosamente fino a raggiungere quota 240. 

Anche in Italia il divario sociale è in crescita. 

Nel periodo 2006-2016, il reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero degli italiani è diminuito del 23,1%, mentre oltre il 40% dell’incremento di reddito complessivo registrato nello stesso periodo è finito nelle tasche del 20% dei percettori di redditi più elevati, tanto che nel 2016 l’Italia occupava la ventesima posizione sui 28 Paesi dell'UE per la disuguaglianza di reddito disponibile.

Dal 1995 al 2013, in Italia, la quota di ricchezza nazionale detenuta dal 90% meno benestante della popolazione si è ridotta dal 60% al 45% del totale, mentre il 10% più ricco ha accresciuto la sua parte fino al 55%.

Più precisamente, sia il top 1% che il top 10% della popolazione hanno accresciuto la loro quota di circa un terzo rispetto al totale, passando rispettivamente dal 15% al 20% e dal 40% al 55%, mentre la parte del resto dei loro connazionali scendeva di altrettanto.

In altre parole, dal punto di vista dei risparmi, nel periodo che va dall'inizio della crisi nel 2006 al 2016, tanto meno si aveva e tanto più si è stati colpiti duramente. 

Basti sapere che in quel lasso di tempo il 5% delle famiglie meno abbienti possedeva solo debiti netti, il secondo 5% ha subito un crollo del 63% dei propri risparmi in termini reali, il terzo 5% ha accusato una diminuzione del 51% e così via, in modo decrescente. Complessivamente, il 30% dei più poveri ha eroso quei pochi risparmi di cui disponeva per continuare a vivere.

Tutto ciò ha contribuito a creare ben 10,5 milioni di cittadini italiani in condizione di deprivazione, i quali, per definizione, sono tali se non si possono permettere almeno 5 cose ritenute “necessarie” in una società avanzata, come ad esempio: un pasto proteico ogni due giorni, vestiti nuovi per sostituire quelli inutilizzabili, un’auto, due paia di scarpe, una settimana di vacanze all'anno, una connessione a internet, un'uscita al mese con gli amici in un ristorante... e così via.

I poveri assoluti, invece, vale a dire quegli individui che non possono permettersi di comprare beni e servizi essenziali per condurre una vita accettabile, dal 2006 al 2016 sono quasi triplicati, passando da 1,6 a 4,6 milioni. 

Con questi dati non c'è da stupirsi se il 61% degli italiani abbia dichiarato di percepire una crescita della disuguaglianza nel proprio Paese.

Non tutti però hanno tratto nocumento dalla recente congiuntura economica, perché mentre i poveri divenivano sempre più poveri, il patrimonio netto delle 10 famiglie più facoltose d'Italia è esploso, passando dai 46 miliardi del 2006 agli 86,4 miliardi del 2016, facendo segnare un +72%, calcolato tenendo conto dell’erosione di valore dovuto all'inflazione: ciò significa che 10 famiglie valgono patrimonialmente come un terzo del Paese.

Per quanto riguarda l'iniquità della distribuzione della ricchezza italiana, sussistono le medesime riflessioni che si possono fare per la situazione globale, ma consentitemi di aggiungere un'ulteriore considerazione: il fatto che vi sia povertà in una nazione “ricca” e “avanzata” è ancora più eclatante e paradossale, rispetto al fatto che ciò avvenga nei Paesi più poveri.

Disuguaglianza sociale negli U.S.A.

Non che l'Italia rappresenti un caso isolato e in controtendenza, tutt'altro! Basti sapere che negli Stati Uniti d'America la povertà estrema cresce ininterrottamente da più di 40 anni, e nel mese di dicembre del 2014 riguardava 21 milioni di persone (~ 6,4% della popolazione). 

Nella terra del sogno, in molti stanno avendo degli incubi, dato che 40,6 milioni di persone vivono in povertà, mentre un terzo della popolazione non ha risorse a sufficienza per arrivare a fine mese e fatica a far fronte ai propri bisogni quotidiani. 

Anche negli U.S.A. tanto più è cresciuta la ricchezza del Paese e tanto più è aumentata la povertà.

Infatti, è stata la classe dei più abbienti a trovare giovamento dall'incremento del PIL, confutando per l'ennesima volta su base empirica la cosiddetta “teoria dello sgocciolamento” (trickle-down theory), secondo la quale, in qualche modo, i maggiori benefici economici riservati ai ricchi inducono, di ritorno, anche un certo miglioramento delle condizioni di benessere delle classi sociali più povere: che poi, è un po' come dire che togliere il grano ai polli per far ingrassare i maiali, farà crescere di più anche i polli! 

Tutto ciò ci suggerisce un'eventualità che non può essere ignorata: mantenendo l'attuale modello economico, se anche si riuscisse a far crescere la ricchezza media mondiale fino al livello degli italiani, o degli americani (ammesso per assurdo che un simile obiettivo sia auspicabile ed ecologicamente sostenibile), non è affatto detto che si sarebbe risolto il problema della povertà, perché potrebbe darsi che gli ulteriori incrementi di ricchezza dovuti alla crescita economica non interessino le fasce più povere della popolazione, così com'è avvenuto di recente sia negli Stati Uniti che in Italia! 

A dire il vero c'è ben poco da stupirsi, perché lo scopo dell'odierna organizzazione socio-economica (ammesso che ne abbia uno) non è di certo quello di eliminare la povertà, ma di consentire a chi ne è in grado di realizzare un profitto, anche a discapito dell'ambiente e delle condizioni di vita degli altri esseri viventi. 

C'è ricchezza per tutti

In realtà, non mancano, né i mezzi, né la ricchezza, per eradicare la povertà: manca la volontà. 

Ciò è ancor più vero ed evidente nei Paesi “avanzati”, i quali, paradossalmente, pur vantando livelli di ricchezza smisurati rispetto alla media mondiale, continuano lo stesso a produrre povertà e a fregarsene delle condizioni di vita dei più bisognosi, non solo all'esterno, ma anche all'interno dei propri confini.

A tal proposito, vale la pena di riflettere sui dati relativi al livello di ricchezza pro capite dell'Italia.

Il PIL nominale del Bel paese, nonostante anni di crisi e politiche scellerate, è prossimo ai 1.850 miliardi di dollari, le attività finanziarie superano i 4.300 miliardi di dollari ed il valore dello stock delle attività non finanziarie si attesta sui 9.500 miliardi di dollari, di cui l'84% è costituito da immobili.

Dividendo queste quantità per 60,6 milioni di abitanti, si ottiene un reddito pro capite di 30.528 dollari all'anno (corrispondenti a 2.544 dollari al mese), attività finanziarie per 70.957 dollari a testa e una ricchezza non finanziaria per 156.765 dollari per ogni persona: neonati, adolescenti, lavoratori, disoccupati, disabili e pensionati inclusi. 

Con questi numeri è semplicemente osceno che vi sia povertà in Italia. E invece, non solo c'è povertà, ed è addirittura in aumento, ma sembra che i politici non siano in grado di concepire misure serie ed efficaci per eliminarla.  

La situazione è così imbarazzante che è del tutto lecito pensare che quei soggetti agiscano in malafede, ed il loro vero scopo non sia quello di migliorare le condizioni di vita dei più bisognosi, ma di mantenerli in condizioni di miseria e schiavitù. 

Del resto, i dati dimostrano in modo lampante che una semplice manovra redistributiva sarebbe di per sé più che sufficiente per risolvere il suddetto problema.

Siccome è evidente che un miliardario non abbia alcun bisogno di arricchirsi ulteriormente, si potrebbe ragionevolmente pensare di sottrarre a chi ha già accumulato fin troppo, rispetto alla media, ogni suo ulteriore incremento di ricchezza, al fine di combattere, ad esempio, la povertà estrema nel mondo.

È curioso scoprire che, non la ricchezza accumulata, ma soltanto l'incremento di ricchezza che i miliardari hanno ottenuto nell'ultimo anno, sia addirittura 7 volte superiore al quantitativo di denaro che sarebbe sufficiente a far uscire quei 789 milioni d'individui, a cui si accennava poco sopra, dalla povertà estrema.

Figuriamoci che cosa si potrebbe fare se si redistribuisse, non l'incremento della ricchezza dei miliardari, ma l'intera ricchezza dei milionari: con ogni probabilità, non ci sarebbero più poveri, perché tutti avrebbero una casa, vestiti e cure mediche, in caso di necessità, e chiunque potrebbe studiare, fino al conseguimento di una laurea. 

E chissà quant'altro ancora si potrebbe fare se l'umanità redistribuisse ulteriormente la ricchezza che è già in grado di produrre. Se poi gli esseri umani fossero così spiritualmente evoluti da riuscire a condividere equamente con tutti i membri della società beni, patrimoni e redditi già prodotti ed esistenti a livello globale, i precedenti obiettivi sarebbero di gran lunga superati!

Del resto, il PIL nominale mondiale è stimato in 77.301 miliardi di dollari, la ricchezza finanziaria globale, invece, è prossima ai 167.000 miliardi di dollari, mentre la ricchezza mondiale patrimoniale è superiore ai 280.000 miliardi di dollari.

Ora, siccome il PIL può anche essere interpretato come la somma dei redditi, ne deduciamo che, almeno da un punto di vista teorico, se l'umanità mettesse insieme tutta la ricchezza esistente e i redditi prodotti in un anno, e li dividesse in parti uguali, ognuno dei  7.618.888.106 di esseri umani presenti sulla Terra avrebbe un patrimonio di 36.750 dollari, una ricchezza finanziaria di 21.920 dollari ed un reddito di 10.150 dollari all'anno, corrispondente a circa 845 dollari al mese. 

Escludendo dal computo la fascia della popolazione con meno di 18 anni d'età (stimabile in 2,5 miliardi d'individui), si ottiene che tutte le persone in età adulta potrebbero disporre di 54.700 dollari di ricchezza patrimoniale, 32.624 dollari di ricchezza finanziaria e di un reddito di 15.100 dollari all'anno, corrispondente a circa 1.258 dollari al mese.

Questo significa che, come minimo, ogni famiglia del mondo potrebbe avere una casa di proprietà e uno stipendio sufficientemente elevato per acquistare il necessario per una degna esistenza.

Anche senza considerare gli eclatanti margini di miglioramento ancora possibili, di cui però per il momento non ci occuperemo (ad esempio, si pensi all'eliminazione dell'inefficienza legata al consumismo e alla follia delle guerre), si comprende già in modo cristallino che la realizzazione di una società in grado di assicurare a tutti gli esseri umani delle condizioni di vita più che decorose è già possibile e richiede l'attuazione di un poderoso processo di redistribuzione.

Ne consegue, che i poveri d'oggi non sono tali perché non c'è ricchezza a sufficienza per combattere la povertà: nient'affatto! 

Ci troviamo difronte ad una situazione paradossale in cui, contrariamente a quanto si possa pensare, non è la scarsità, ma la smisurata avidità dei ricchi a causare la miseria dei poveri, tanto che se s'impedisse ai ricchi d'esser tali non ci sarebbe più neanche la povertà.

Gli esseri umani non dovrebbero consentire che qualcuno di essi possa accumulare per sé la ricchezza prodotta dall'umanità, dovrebbero imparare a condividerla con tutti gli esseri viventi.

Come redistribuire la ricchezza?

Per come è strutturata l'odierna società, giustificare il tenore di vita dei ricchi equivale a legittimare l'esistenza dei poveri.

Da un punto di vista spirituale, chi ha più del necessario ha il preciso dovere morale di donare a chi si trova in difficoltà tutto ciò che ha accumulato in eccesso e di cui non ha chiaramente bisogno per assicurare a se stesso e ai propri cari una vita agiata.

Ma i ricchi non sono tali in virtù della loro bontà d'animo e della loro generosità, bensì in forza del loro egoismo e della loro avidità: se ciò non fosse vero, non sarebbero potuti esistere uomini e donne smisuratamente ricchi, perché avrebbero già redistribuito spontaneamente i loro eccessi di ricchezza in favore della collettività, una cosa che invece è assai raro che accada.

Tenuto conto dell'attuale livello di (in)coscienza presente sulla Terra, è assolutamente ridicolo pensare che il problema della povertà possa essere risolto con la carità e la misericordia di chi ha scelto come scopo di vita quello di accumulare quanta più ricchezza gli è possibile accaparrare: si tratta di una palese contraddizione.

Nell'odierna fase storica, è necessario che s'intervenga con la legge per risolvere l'eclatante ingiustizia legalizzata secondo cui un individuo può possedere averi in eccesso mentre molti altri non hanno neppure il necessario.  

Se si consente di realizzar profitto, allora si deve anche porre un limite all’accumulazione, superato il quale ogni ulteriore incremento di ricchezza debba essere sottratto al fine d’essere impiegato per finalità sociali.

Perciò io affermo che fin quando esisterà anche un sol povero sulla faccia della Terra, l’accumular ricchezza oltre misura dovrebbe essere considerato un fatto illegale.

Fin tanto che si continuerà a riconoscere il diritto di arricchirsi senza alcun limite, è assai difficile che l’umanità riuscirà a risolvere il problema della povertà; se invece gli esseri umani condividessero ciò che hanno, sconfiggerebbero la miseria con grande facilità.

Qualunque persona di buon senso dovrebbe pretendere l'imposizione di un tetto massimo all'accumulazione della ricchezza individuale, così da redistribuire in modo pressoché automatico gli eccessi in favore delle fasce più povere della popolazione.

E se nonostante la volontà popolare la legge continuasse a curare gli interessi dell'élite, e non quelli dell'umanità, che s'intervenga a furor di popolo per redistribuire la ricchezza, perché, in ultima analisi, non c'è alcuna valida ragione che giustifichi l'esistenza dei ricchi in presenza dei poveri.

Che sia ben chiaro: una simile misura redistributiva rappresenterebbe soltanto un primo passo verso la realizzazione della giustizia sociale, ma di per sé non sarebbe affatto sufficiente.

Dal momento che i membri della società sono tutti esseri umani, qualunque divario economico dovrebbe essere considerato intollerabile: si dovrebbe raggiungere una condizione di uguaglianza sociale effettiva, non solo dal punto di vista dei diritti formali, ma anche da quello delle condizioni reali.

È inutile sancire un'uguaglianza teorica se poi, nei fatti, c'è chi possiede 10 e chi possiede 1.000; chi per sopravvivere deve farsi sfruttare 10 ore al giorno e chi non ha alcuna necessità di lavorare; chi non ha né da mangiare né medicinali e chi spende denaro per guarire dai guasti dovuti agli eccessi alimentari; chi non ha nemmeno una casa e/o deve vivere in affitto e chi invece possiede diverse abitazioni; chi può studiare negli atenei più prestigiosi e chi non ha neanche la licenza elementare... di che genere di uguaglianza stiamo parlando, se le condizioni di vita reali sono così dissimili?

E a cosa serve stabilire un'uguaglianza formale, se di fatto già vi è un'uguaglianza effettiva nell'organizzazione sociale? I cacciatori-raccoglitori non scrivono leggi, eppure le loro società sono le più egualitarie che siano mai esistite sulla Terra.

Il massimo ideale concepibile è quello di una società di liberi ed eguali, dove tutti gli esseri umani sperimentino delle comparabili condizioni esistenziali, valorizzando e rispettando la vera natura e la reale volontà dei singoli individui: ecco la meta a cui si dovrebbe ambire.

Fin quando una simile condizione non si sarà realizzata non si potrà parlare di giustizia sociale.

In verità, da un punto di vista teorico, non è affatto difficile organizzare la società su principi di reale ed effettiva eguaglianza: basta produrre e mettere a disposizione di tutti beni e servizi di alta qualità in quantità tali che tutti possano usufruirne. 

Ma per raggiungere un simile obiettivo bisogna cominciare a cooperare, e bisogna anche essere disposti a condividere la ricchezza prodotta dall'umanità con l'umanità.

Oggi, invece, esiste un mondo di diseguali, infelici e oppressi, troppo occupati a lottare contro i propri simili per rendersi conto che esistono milioni di poveri che soffrono la fame a causa della smisurata avidità di un'élite di criminali, che trova la piena collaborazione di un'ampia massa di soggetti privi di coscienza, i cosiddetti consumatori, a loro volta sottomessi e sfruttati dalla medesima élite.

Perché se da un lato è vero che è la ricchezza dei pochi la causa della povertà dei molti, dall'altro è ancor più vero, che è la collaborazione dei molti a far sì che i ricchi possano esser tali. 

Possiamo così enunciare un'altra verità fondamentale: se non ci fosse collaborazione il sistema capitalistico crollerebbe in un sol istante, e sia lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo che la povertà dei molti non potrebbero più aver luogo nella società. 

Infatti, se si guarda in profondità, ci si accorge che l'esistenza dei ricchi, dei poveri e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sono resi possibili dal generale convincimento che sia giusto, utile e inevitabile che all'interno della società vi sia un certo divario sociale e che taluni individui si approprino della gran parte del frutto del lavoro prodotto dagli altri. 

Se così non fosse, gli esseri umani si sarebbero potuti organizzare in strutture sociali egualitarie, dove nessun soggetto avrebbe sottomesso gli altri per sfruttare il lavoro altrui a proprio vantaggio, come invero è già accaduto nella storia dell’umanità e come accade ancora all’interno di alcuni gruppi sociali, perché una simile organizzazione sociale è fisicamente possibile e dunque, in ultima analisi, la sua attuazione si riduce ad una questione di volontà.

Nelle odierne società “avanzate”, l'evidenza empirica mostra che chi ha più degli altri non è affatto disposto a donare l'eccesso rispetto alla media per fare in modo che i più poveri possano migliorare le proprie condizioni di vita, fino a raggiungere una situazione di reale eguaglianza; al contrario, chi può cerca di accumulare e trattenere per sé tutto quanto gli è concesso, arrivando ad organizzare strutture di potere piramidali appositamente concepite per concentrare e mantenere la ricchezza e il potere nelle mani di un ristretto gruppo di soggetti, con il preciso scopo di sottomettere e sfruttare il resto dell'umanità. Questo è ormai ben noto.

Ma la cosa più eclatante non è che un'élite di malati di mente tenti di concentrare averi e potere a scapito del resto dell'umanità, bensì che la massa sfruttata e oppressa accetti suo malgrado l'esistenza dell'organizzazione sociale che rende possibile che ciò avvenga, senza neppure ribellarsi, e invece sia essa stessa complice e attuatrice delle dinamiche responsabili delle ingiustizie sociali che, così facendo, si auto-condanna a subire. 

Per quanto paradossale possa essere, si deve concludere che è la stessa umanità, sfruttata e oppressa, che genera la realtà sociale responsabile della propria condizione. Questo è possibile perché le masse sono addormentate, non in senso fisico ma metafisico.

Se in un certo istante l'umanità si risvegliasse, e non offrisse più la propria collaborazione, tutto avrebbe fine: l'élite sfruttatrice e parassitaria, che oggi domina il mondo, non potrebbe più esistere. 

La “soluzione”, quindi, non consiste nell'adattarsi alle storture dell'odierna società, cercando di aggiudicarsi un posto migliore tra gli sfruttati, e ancor meno di escogitare un modo “geniale” per sfruttare gli altri, ma nel cooperare per trasformare l'attuale ordine sociale nell'interesse generale. 

C'è bisogno di un'azione collettiva: l'umanità deve sottrarsi al gioco del Potere, rigettando le sue regole, per costruire un'altra società, più equa ed umana, fondata su altri principi.

Gli esseri umani dispongono degli strumenti per risvegliarsi e dare origine ad una nuova organizzazione sociale, ma disgraziatamente, se mi guardo attorno, io non vedo persone consapevoli che interagiscono per costruire una società migliore.

Io vedo individui che “pretendono il lavoro”, ovvero che invocano a gran voce la possibilità di essere sfruttati da qualche capitalista e dallo Stato.

Io vedo automi privi di coscienza che pensano a come migliorare esclusivamente la propria condizione esistenziale, prevaricando sugli altri e fregandosene altamente delle conseguenze che il loro modo di vivere ha nei confronti dei propri simili, e che ancor meno hanno cura degli animali e dell'ambiente, finendo per divenire essi stessi la causa della propria rovina esistenziale, ancor più dei capitalisti e dello Stato.

Io vedo schiavi che remano nell'esatta direzione indicata dagli schiavisti; fedeli che credono ciecamente a ciò che le loro guide religiose gli dicono di creder per vero; elettori che legittimano consenso alle forze politiche che propagandano programmi economici confacenti alla volontà delle élites di potere; pazienti che si lasciano iniettare sostanze chimiche, senza avere la più pallida idea né del contenuto dei farmaci né degli effetti che essi causeranno... è così che ha luogo il capolavoro del Potere.

Mirco Mariucci

Fonti
  1. I concetti di ricchezza, patrimonio e reddito. DirittoEconomina.net.
  2. Oxfam, rapporto -choc sulla diseguaglianza nel mondo: "L'1% più ricco possiede più del restante 99%". Rai News, 22 gennaio 2018.
  3. Disuguaglianza: Oxfam denuncia l’ingiusta distribuzione della ricchezza. Osservatorio Diritti, Marco Ratti, 22 gennaio 2018.
  4. Nel mondo è allarme sulle disuguaglianze: “La ricchezza concentrata nell’1%della popolazione”. La Stampa, 21 gennaio 2018.
  5. Rapporto Oxfam, otto uomini possiedono la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone nel mondo. Il Fatto Quotidiano, Luisiana Gaita, 16 gennaio 2017.
  6. Rapporto Oxfam. Nel mondo 8 super ricchi possiedono beni quanto 3,6 miliardi di persone. Avvenire, Eugenio Fatigante, 16 gennaio 2017.
  7. Crescita della ricchezza record a dieci anni dalla grande crisi. Il Sole 24 Ore, Lucilla Incorvati, 14 novembre 2017.
  8. Ricchezza mondiale superiore del 27 per cento rispetto a dieci anni fa, trainata dagli Stati Uniti. Credit Suisse, 11 novembre 2017.
  9. La ripresa? I padroni sempre più ricchi, i lavoratori sempre più poveri. La Riscossa, 20 novembre 2017.
  10. Dal 300 al 700 solo la peste ha frenato la disuguaglianza economica. In Toscana, Federico di Vita, 11 aprile 2017.
  11. La concentrazione della ricchezza? Oggi come nel Medioevo. Guido Alfani, 27 aprile 2017.
  12. Un’economia medioevale: oggi in Italia la disuguaglianza è tornata ai livelli del 1300. Green Report, Luca Aterini, 20 gennaio 2017. 
  13. Elezioni 2018, in Italia il 5% dei Paperoni possiede il 40% della ricchezza. Affari Italiani, 22 gennaio 2018.
  14. Ricchezza mondiale superiore del 27 per cento rispetto a dieci anni fa, trainata dagli Stati Uniti. Credit Suisse, 14 novmbre 2017. 
  15. Ricchezza mondiale: 341 mila miliardi di dollari entro il 2022. Credit Suisse, 6 dicembre 2017. 
  16. La distribuzione della ricchezza nel mondo. Orizzonti.
  17. Ricchezza finanziaria mondiale raddoppia in 10 anni. Affari Italiani, 6 novembre 2017.
  18. FINANZA/ I (veri) numeri dei private banking in Italia e nel mondo. Il Sussidiario, Marina Marinetti, 10 novembre 2017.
  19. In Italia l’1% più ricco possiede il 25% della ricchezza nazionale. Il Sole 24 Ore, 16 gennaio 2017.
  20. Povertà. Più disuguaglianza in Italia. Il sorpasso dei super-ricchi. Avvenire, Nicola Pini, 22 dicembre 2017.
  21. Disuguaglianze, Oxfam: “In Italia l’1% più ricco ha 240 volte il 20% più povero. E il divario si allarga”. Il Fatto Quotidiano, 22 gennaio 2018.
  22. La ricchezza a due velocità degli italiani. Corriere della Sera, Federico Fubini, 3 aprile 2018.
  23. Povertà, “Italia primo Paese europeo per numero di cittadini in condizioni di deprivazione. Sono 10,5 milioni”. Il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2017.
  24. Povertà, Istat: “Nel 2016 poveri assoluti 4,7 milioni di italiani. Sostanziale stabilità”. Ma in dieci anni sono triplicati. Il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2017.
  25. Si fa presto a dire "America": il 33% della classe media non arriva a fine mese. Vita, Marco Dotti, 4 aprile 2016.
  26. Stati Uniti, i poveri sono un terzo della popolazione, ma non si devono vedere. Repubblica, Marta Rizzo, 13 marzo 2017.
  27. ‘Guai ai poveri’, anche questo è l’America. E l’Europa deve capirlo. Il Fatto Quotidiano, Fabio Balocco, 18 ottobre 2017. 
  28. Usa, da 40 anni la povertà estrema continua a crescere. La Stampa, Andrea Tornielli, 30 gennaio 2017.
  29. Giornata mondiale poveri. Negli Stati Uniti oltre 40,6 milioni di persone vivono in povertà. L’impegno della Chiesa. SIR, Maddalena Maltese, 17 novembre, 2017.
  30. PIL Italia, 2017. Banca Mondiale.
  31. Il risparmio delle famiglie italiane sfiora i 4.300 miliardi. Money, Francesca Caiazzo, 14 febbraio 2018.
  32. La ricchezza (finanziaria e non) delle famiglie. Tgcom24, 1 febbraio 2018.
  33. Ricchezza non finanziaria in Italia. ISTAT. 
  34. Lo stock della ricchezza non finanziaria in Italia supera i 9.500 miliardi. Il Messaggero, 2 gennaio 2018.
  35. Oxfam e quel vizio di guardare ai ricchi per parlar di poveri. Il Foglio, Carlo Stagnaro, 16 gennaio 2017.
  36. Le bufale sulla diseguaglianza nel mondo svelate con altri numeri poco noti di Oxfam. Il Foglio, Luciano Capone, 18 gennaio 2017.
  37. Su ricchezza e povertà estrema. Ecco perché Oxfam non esagera. Oxfam Italia, 20 gennaio 2017.
  38. Quel rapporto sulla ricchezza nel mondo è una cosa seria? Il Post, Luca Sofri, 23 gennaio 2017.
  39. Siete tra i più ricchi del mondo? Il Post, Ana Swanson, 22 gennaio 2016.

1 commento:

  1. Grazie per l'articolo, molto interessante. Mi ha sollevato alcuni (parecchi) punti, ne scrivo un paio, riservandomi di aggiungerene più avanti.

    - Quando parliamo di ricchezza e povertà, parliamo (di solito) di denaro. Eppure i teorici della decrescita (es. Pallante) ci dicono che la ricchezza è la ricchezza di beni, non per forza di merci, per cui un cittadino italiano che vive in città con uno stipendio di 1000 euro, magari è più povero di uno che vive in campagna con 800 euro e un orto. Quando si parla di ricchezza, di solito parliamo di soldi, ma non dovremmo parlare anche di altro, per applicare il "retto pensiero"?

    - Impressionanti i dati sulla ridistribuzione della ricchezza a livello mondiale ed italiano. Per eliminare la povertà, non potremmo realizzare un "movimento" di ridistribuzione economica, tale da ridistribuire la ricchezza tra chi volontariamente desidera condividerla? Sarebbe un movimento sulla scia dell'insegnamento evangelico (l'episodio del giovane ricco), ma potrebbe essere l'inizio di qualcosa di grande. L'unica cautela sarebbe che in un sistema del genere (una fondazione? una comunità diffusa sul territorio?) non venga prelevata ricchezza per reintrodurla nei soliti sistemi neoliberisti, però credo che l'azione nel qui ed ora sarebbe la migliore forma educativa per il popolo, ora che i problemi sono così evidenti.

    - riguardo al fatto che l'unica via per ridistribuire sia quella legale, che "obbliga" i ricchi, io penso che l'avidità dei ricchi non sia solo un difetto morale, ma anche una specie di malattia psicologica, che potrebbe essere curata tramite una forma di educazione. Credo che questa malattia si trasmetta da padre in figlio insieme all'eredità, e quindi, curando i figli dei ricchi, faremmo in modo che questi ridistribuiscano volontariamente la loro ricchezza. Analizzando questa malattia "famigliare" potremmo avere utili indicazioni per scardinarla.

    Grazie, mi farebbe molto piacere una discussione su questi temi, anche in vista di azioni pratiche :)

    Christian

    RispondiElimina