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giovedì 16 ottobre 2014

L'esigenza di restituire il giusto valore al tempo della vita


Tratto dal saggio L'illusione della libertà, disponibile in download gratuito al seguente indirizzo.

Ogni essere vivente possiede una certa quantità di un bene scarso per eccellenza, che potremmo senza alcun dubbio annoverare tra i più preziosi in assoluto.

Si tratta di una dimensione in grado di contrarsi e dilatarsi, ma che pur sempre resterà finita per ogni essere umano.

Potremmo anche cercare d'intenderla come una variabile fondamentale per la nostra percezione della realtà, che può scorrere via veloce ma che può anche rallentare.

Si può spendere, ma non si può acquistare, ed è sempre accompagnata da un'intrinseca incertezza sulla sua futura disponibilità: si tratta del tempo della vita.

Alcuni affermano che il tempo sia denaro, eppure io non riesco a togliermi dalla mente che prima di tutto per un essere umano il tempo significhi vivere.

Bisogna porre molta attenzione su questo aspetto, perché chiunque tenti di fondare una società senza attribuire al tempo il giusto significato, rischia di commettere dei grossolani errori, che si ripercuoteranno inevitabilmente sulla qualità dell'esistenza degli individui.

Nell'attuale società, per poter sopravvivere, si deve svolgere un lavoro al fine di procurarsi uno stipendio, ma ogni ora destinata a un'attività lavorativa corrisponde anche a un'ora d'esistenza consumata, che nessuno potrà restituirci.

Comprendiamo così che il salario assume un significato duale come valore del lavoro svolto e valore del tempo della vita.

Il fatto che in Italia lo stipendio medio sia di 1.330 € al mese, equivale ad affermare che la vita d'un essere umano vale esattamente 8,31 € all'ora, perlomeno se si tratta di un operaio.

Il compenso, infatti, può salire fino a quota 2.077,00 € all'ora, nel caso di manager e amministratori, con un eclatante e ingiustificabile rapporto di 1 a 250.

Un valore che può salire ancora più su per alcuni milionari, sottolineando che all'interno dell'attuale società il valore dell'esistenza in termini monetari non è uguale per tutti, tant'è che si potrebbe orwellianamente affermare che gli esseri umani sono tutti uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

E nel mondo c'è chi sta decisamente peggio degli italiani, anche se non per molto, a causa della crisi economica scientemente attuata e strumentalizzata per far diminuire salari e diritti dei lavoratori, oltre che per realizzare dei grandi affari privatizzando i settori pubblici.

Lo stipendio medio in Polonia è di 630 € al mese2, in Serbia si guadagnano 414 €, anche se i dipendenti dell'azienda Fiat-Serbia percepiscono una retribuzione di 300 € al mese per 12 ore di lavoro al giorno3;

lo stipendio mensile di un operaio Foxconn, l'azienda che produce gli iPhone per i ricchi, è di circa 200 € con turni di lavoro estenuanti4.

Ciò significa che la vita di un operaio polacco vale in media 3,94 €/h, quella di uno serbo 2,59 €/h, mentre quella dei  dipendenti della Foxconn 1,25 €/h5.

Il tempo relativo a un'ora di vita si avvicina al suo reale valore solo per una sparuta minoranza, una élite, mentre per la maggioranza della popolazione tende a essere prossimo allo zero.

Ma come si può anche solo pensare di far corrispondere al tempo della vita un così infimo equivalente monetario?

L'assegnazione di un valore per la cessione di una quota della propria esistenza rappresenta una delle aberrazioni che possono scaturire da un'errata interpretazione del significato del tempo esistenziale, che si concretizza all'interno di una società dedita al profitto, dove tutto diventa merce, persino gli esseri umani con il loro inestimabile tempo della vita.

Anche la tipica equazione tempo uguale denaro è un chiaro riflesso delle esigenze di un mondo malato di profitto, dove gli individui hanno ceduto la propria dimensione umana per quella economica.

Dal fatto che un'ora di vita trascorsa lavorando equivale anche a un'ora di vita vissuta per tutti, deriva un'altra importante riflessione: se ammettiamo che tutti gli esseri umani, in quanto tali, sono simili fra loro, per quale motivo un'ora di vita spesa da uno di essi dovrebbe essere retribuita in modo maggiore rispetto a quella di un altro?

Se i mestieri esistono in quanto effettivamente utili alla società e un'ora di lavoro equivale a un'ora di vita spesa, indipendentemente dalla mansione svolta e dalle intrinseche capacità dei singoli individui, non c'è motivo per cui una professione debba essere meglio o peggio retribuita rispetto alle altre.

Perché mai qualcuno dovrebbe avere il diritto di poter sperimentare condizioni di agio superiori rispetto ai propri simili?

È il tempo della vita che dovrebbe essere retribuito, non il lavoro svolto in quel lasso di tempo, e si dà il caso che il tempo della vita speso in un'ora di lavoro rappresenti un'ora di vita consumata per tutti, il che pone i lavoratori sullo stesso piano.

Se lo scopo è fare in modo che gli esseri umani vivano nell'uguaglianza, le retribuzioni orarie dovrebbero essere identiche, e dovrebbero anche essere sufficientemente elevate da consentire di vivere in condizione di benessere, a prescindere dalla mansione svolta e dalle intrinseche capacità di ciascun individuo.

Un lavoro non dovrebbe essere scelto perché consente di guadagnare una cifra maggiore rispetto a un altro, ma perché si nutre una passione vera e autentica nei suoi confronti.

A giudicare dalle retribuzioni elargite ai lavoratori, che come abbiamo compreso poc'anzi prezzano il tempo della loro vita, l'insieme dei subordinati non sembra essere composto da esseri umani, piuttosto appare simile a un agglomerato di macchine, la cui esistenza, da meri oggetti esanimi, è effettivamente priva di valore e quindi legittimamente sacrificabile.

Peccato, però, che quei lavoratori non siano delle macchine, ma degli esseri pensanti, in grado di provare sentimenti ed emozioni, nonostante l'insignificante valore esistenziale a essi attribuito tenda ad affermare il contrario, assimilandoli a delle automazioni.

Al contrario, chiunque riuscisse a comprendere che quell'ora di lavoro umano corrisponde a una frazione finita di un bene che in realtà ha un un valore inestimabile, potrebbe facilmente intuire che non esiste alcun compenso ammissibile per la cessione del tempo della vita.

Adottando questa nuova ottica, il tempo esistenziale si trasforma in un bene così prezioso che non può essere sprecato.

A maggior ragione se si tratta d'impiegarlo per ridursi in schiavitù nei confronti di qualche sfruttatore parassitario oppure, più in generale, per svolgere azioni che non siano dettate dalla propria volontà.

Al contrario, quando l'esistenza assume un valore monetario finito tendente allo zero può sembrare sacrificabile.

Il capitale trova così la legittimazione necessaria affinché la massa venga asservita alle sue necessità, in virtù di un'errata valutazione sulla scala dei valori umani, secondo la quale il profitto prevarica perfino la salute e la felicità.

Eppure è evidente che vivere non dovrebbe significare assecondare le dinamiche utili a generare profitto, riducendo gran parte degli esseri umani al livello di un'automazione.

Ogni individuo dovrebbe sperimentare la propria, unica, esistenza all'interno di una società che sia in grado di garantirgli il massimo del tempo libero possibile per svolgere tutte quelle attività che lo rendono felice, senza che queste ultime interferiscano con la felicità degli altri.

Perché il senso della vita, ammesso che ci sia, non può che essere scoperto cercando di esprimere il proprio essere in condizione di libertà.

Attualmente, invece, le attività che monopolizzano le giornate degli esseri umani sono senza alcuna ombra di dubbio quelle inerenti la sfera economico-lavorativa.

Se il lavoro non c'è, ci si deve dannare lo spirito per trovarlo, e quando c'è, si devono sacrificare 10-12 ore al giorno per esso, includendo spostamenti e pausa pranzo.

Ma lavorare forzosamente non significa di certo vivere la vita.

Servire il sistema sotto la spinta coercitiva di un ricatto economico e d'incessanti condizionamenti sociali, corrisponde all'annullamento del senso dell'esistenza, oltre che a una chiara forma di violenza.

Obbligare le persone a dedicare la maggior parte del loro tempo alle attività lavorative non può essere considerata una forma di libertà, ma la sua negazione.

In una società a misura d'essere umano gli individui dovrebbero avere modo di poter lavorare per vivere, senza dover vivere per lavorare.

La vita è troppo breve per essere sprecata facendo cose contro la propria volontà. E invece, oggi, per la stragrande maggioranza degli esseri umani il lavoro non è una questione di volontà, ma una costrizione.

Il lavoro è un obbligo travestito da necessità sociale, che costringe le persone a lavorare per un orario eccessivo, svolgendo mansioni ripetitive, alienanti e logoranti.

Non tutti i lavoratori possono scegliere il proprio lavoro, i più, pur di sopravvivere, si adattano a ciò che il sistema gli mette a disposizione; la qual cosa si traduce in una palese e gravosa forma di violenza.

L'attività lavorativa ruba tempo ed energie psicofisiche che non vengono impiegate per vivere la vita, ma per inseguire i fini di profitto di qualche sfruttatore.

Le azioni necessarie al capitale non collimano con le vere esigenze dell'esistenza di un essere umano, né tanto meno sono state concepite per essere piacevoli o per contribuire al benessere psicofisico dei lavoratori.

Rinchiudersi quotidianamente all'interno di un ufficio per smaltire futili scartoffie burocratiche, equivale a una carcerazione temporanea, con l'ulteriore aggravio di svolgere forzosamente mansioni indesiderabili.

La stessa cosa sussiste per un qualsiasi operaio di una catena di montaggio, ma anche per un architetto o per un progettista, perché svolgere forzosamente un'attività per 8-10 ore al giorno per 40 anni della propria esistenza, al fine di poter sopravvivere, rappresenta di per sé una vera e propria tortura per ogni essere umano.

Una lunga giornata di lavoro assorbe vitalità e vigore fisico, e così un lavoratore non solo non ha più tempo, ma neanche volontà e forza necessarie per dedicarsi ai propri interessi, alle relazioni umane o a tutto ciò che potrebbe contribuire realmente a renderlo felice.

Lavorare per tutto il giorno significa non avere tempo per veder crescere i propri figli, che devono essere parcheggiati a scuola, e ancor prima negli asili.

La follia dell'odierna società diviene del tutto evidente quando si osserva come l'azione più naturale che ci sia, ovvero mettere al mondo e crescere dei figli, si sia improvvisamente trasformata in un "problema", perché si deve lavorare, e quindi non si ha tempo da dedicare a una eventuale famiglia, oppure perché non si ha denaro a sufficienza per poter assicurare un'esistenza dignitosa ai propri figli.

Per avere denaro a sufficienza, entrambi i genitori dovrebbero lavorare, ma in questo modo, pur potendosi permettere di procreare - economicamente parlando - non disporrebbero comunque del tempo necessario per poter crescere adeguatamente i propri bambini partecipando alla loro vitalità.

Le odierne attività lavorative stravolgono i ritmi naturali, che non riflettono più le esigenze di salute e le caratteristiche del singolo, ma devono adeguarsi a quelle richieste dalla propria attività lavorativa.

Non ci si può svegliare quando il corpo sente di non aver più bisogno di riposare, si deve far suonare una sveglia.

Se ci si sente stanchi e annoiati, non ci si può distrarre né coricarsi per recuperare le energie, perché si deve continuare a lavorare fino al termine dell'orario di lavoro.

Anche il tempo del divertimento subisce una distorsione, perché così come ci sono giorni nei quali si deve lavorare, ve ne sono altri nei quali si è obbligati a divertirsi.

Ma non ci si riesce a divertire quando il divertimento è comandato, e per giunta si è anche stanchi a causa di una dura settimana di lavoro.

Così si ricorre facilmente all'alcol e alle droghe, per indurre il divertimento su richiesta: una prassi assai dannosa, che invece di migliorare la propria condizione esistenziale la peggiorerà.

Sacrificando la propria esistenza per il lavoro, la vita scorre veloce, tra rinunce e costrizioni, e quando finalmente arriva la pensione, l'essere umano realizza che è troppo tardi per vivere la vita, perché deve dedicarsi a rimediare ai danni dovuti a una esistenza fatta di lavoro; un'operazione, peraltro, quasi sempre impossibile da fare.

Questo tipo di lavoro eccessivo, coatto, irrispettoso dei ritmi naturali e personali, non può che sfociare in stress, depressioni e malattie.

Qualunque attività svolta per un elevato numero di ore per molti anni induce inevitabilmente ripercussioni psico-fisiche negative sull'essere umano, soprattutto quando viene compiuta contro la propria volontà.

Eppure, il massimo ideale che l'impostazione economica capitalistica è riuscita a concepire per la società, è fatto di esseri umani che gettano via la propria esistenza svolgendo forzosamente mansioni ripetitive, logoranti e alienanti, al fine di curare gli interessi di una élite.

Senza contare che chi non riesce ad annullare la propria esistenza con il lavoro rischia di sperimentare fame e miseria, e che queste dinamiche volte al profitto sfociano nella follia della guerra e in un eclatante disastro ambientale.

Si tratta di una visione della società che solo un malato di mente avrebbe il coraggio di prospettare all'umanità.

E invece tutto ciò è esattamente il destino che oggi, grazie a un mix micidiale d'indifferenza e accettazione generalizzata, il sistema economico a stampo capitalistico ha messo in serbo per miliardi di esseri umani.

Un modello deleterio, che asserve i molti a vantaggio dei pochi ma a danno di tutti, e che vuole essere esteso all'intera umanità.

Il potere è riuscito a convincere la massa che non esiste un'alternativa, e che deve essere addirittura grata di avere la possibilità di sacrificare la propria esistenza sull'altare di un lavoro obbligato e totalizzante, barattando un risibile compenso monetario con l'inestimabile valore del tempo della vita.

Per costruire una società a misura d'essere umano è di fondamentale importanza che l'attività lavorativa non assuma una forma totalizzante.

Al contrario, è bene che sia minimizzata e che venga legata a una reale e sincera volontà.

Nella giusta ottica, ridurre il lavoro umano significherebbe aumentare la libertà, restituendo tempo all'esistenza, affinché le persone possano vivere in modo pieno la propria vita.

Miliardi di esseri umani stanno gettando la propria esistenza lavorando per conto d'una élite di personaggi dediti al profitto, quando tutto ciò è chiaramente dannoso ed evitabile.

Si potrebbe costruire una Nuova Società cambiando le logiche economiche e quelle del mondo del lavoro, non tra un secolo e neanche tra un decennio, ma oggi, proprio qui, sul pianeta Terra.

A tal fine si potrebbe iniziare a pensare a come minimizzare l'attività lavorativa, rendendo al tempo stesso accessibili beni e servizi di elevata qualità all'intera umanità.

Un simile scopo, che i più ameranno definire con il termine di utopia, in realtà, non è altro che una squisita questione di volontà, grazie all'odierna conoscenza scientifico-tecnologica.

Di certo, condannare gli esseri umani a un destino di sopravvivenza dovuto al totale diniego della libertà ottenuto mediante l'organizzazione del mondo del lavoro, è un'aberrante follia sociale figlia dell'inseguimento delle logiche di profitto, non di certo del benessere degli esseri umani;

ma fin quando non comprenderemo fino in fondo l'importanza di restituire il giusto valore al tempo della vita, non riusciremo neanche a ribellarci a questa ignobile ingiustizia e mancheremo ancora l'appuntamento con l'ambizioso obiettivo della realizzazione di una società a misura di essere umano.

Mirco Mariucci

Se le idee contenute in questo saggio ti sono piaciute, puoi acquistare o scaricare gratuitamente la raccolta completa delle riflessioni di Mirco Mariucci al seguente indirizzo.


Fonti:

10 commenti:

  1. bellissimo....sottoscrivo in toto come se lo avessi scritto io..

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    1. Grazie, si tratta semplicemente di una riflessione pensata guardando al benessere degli esseri umani, non al profitto. In fondo, è proprio questa la chiave per costruire una società migliore...

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  3. per realizzare tutto ciò che dici ci vuole un saltodi consapevolezza(o coscienza),un quantum leap di dimensioni inestimabili.

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    1. Bene, facciamo in modo che avvenga contribuendo attivamente con le nostre azioni! Dobbiamo avere fiducia nelle potenzialità del genere umano...

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  4. Gent.mo Mirco, ho scoperto il suo blog e sto divorando questi splendidi scritti, permettondomi di condividerli su G+, condivido pienamente queste riflessioni, che ritrovo pienamente nella mia esperienza di uomo che nella sua vita ha avuto la "fortuna" per lunghi periodi di accumulare 10/12 ore di lavoro al giorno.
    Quasi tutti amici e conoscenti mi dicevano:"sei proprio fortunato, in questo periodo di crisi a lavorare tanto" e io invece mi sentivo una specie di carcerato del lavoro forzato, costretto a fare tanto per rifondere il mutuo della casa che vivevo solo il tempo di dormire.....insomma un'assurdità orwelliana;
    Oggi, mi sono ripromesso di tornare ad una vita "normale", anzi, oggi la mia vera fortuna sta nel poter scegliere quanto voglio lavorare.
    Naturalmente questo comporta la rinuncia a cose che ad altri paiono irrinunciabili ma che ho capito di non voler barattare con il bene più prezioso....il tempo!
    Mi scuso se mi sono dilungato, era mio desiderio condividere una riflessione e complimentarmi per queste sue pagine

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    1. La ringrazio, la penso esattamente come lei; bisognerebbe lavorare per vivere, non vivere per lavorare. Il tempo vissuto in libertà è la più grande ricchezza di cui un essere umano può disporre.

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  5. Grazie Mirco, grande articolo come sempre. Lo riposterò sul mio blog, se non hai nulla in contrario.
    Buona serata.

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    1. Grazie, certo che puoi... mi accontento di un semplice link alla fonte originale!

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